Tra le novità introdotte dalla Riforma del Condominio (Legge 220/2013), vi è quella che prevede il divieto di “accaparrarsi” deleghe oltre un certo limite. La riforma pone fine, infatti, ad un uso (che talvolta diveniva abuso) ormai consolidato secondo cui alcuni condomini, solerti, si facevano conferire da altri proprietari la delega a partecipare all’assemblea condominiale. In alcuni casi (specie se le deleghe risultavano “non dichiarate” ovvero senza indicazione di voto per i punti posti all’ordine del giorno), succedeva quindi che il condomino con molte deleghe esercitasse un potere rilevante, capace di influenzare, da solo, con l’insieme dei millesimi raggranellati, le decisioni più importanti per la vita e la gestione del condominio. Prima della “novella” solo il regolamento poteva contenere una norma che limitasse il numero di deleghe conferibili a ciascun soggetto (fosse esso condomino o estraneo). In assenza di una specifica norma regolamentare non vi era, infatti, limite al conferimento di molte deleghe ad uno stesso soggetto. Cosa cambia?
L’art. 21 della riforma, che sostituisce integralmente l’art. 67 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile, oggi prevede che: “ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta. Se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale”. Il divieto di “incetta” delle deleghe non è assoluto ma vige unicamente per i condomini con almeno ventuno partecipanti, rimanendo invariato, invece, il vecchio regime per i condomini con un numero inferiore o pari a venti proprietari, per i quali permane il limite di acquisizione delle deleghe solo se questo sia previsto dal regolamento.
Nel pensiero del legislatore questa norma tende a fissare un duplice obiettivo: oltre che limitare nei condomini medio-grandi la formazione di posizioni private di “dominio”, da parte di pochi soggetti all’interno della compagine condominiale, la novella si prefigge di incentivare la presenza in prima persona e la partecipazione dei proprietari alla formazione delle decisioni che riguardano il condominio. In pratica ogni singolo proprietario di un edificio superiore a venti unità non potrà rappresentare che 1/5 degli altri condomini (ad esempio in uno stabile con 35 potrà avere al massimo 7 deleghe) con l’ulteriore limite che i millesimi complessivi di costoro non siano superiori a 200.
Il problema, tuttavia, sorge allorché un condomino possegga deleghe che eccedano, per quantità o per valore in millesimi, il duplice limite sopra indicato. La questione va pertanto affrontata considerando due ipotesi. La prima è che la violazione del limite di deleghe venga accertata o emerga nel corso dell’assemblea. All’amministratore e al presidente della seduta incombe, infatti, l’onere di verificare che ogni proprietario non sia in possesso di deleghe superiori (per numero e valore) a quelle consentite. In questo caso assume molta rilevanza come sia stata rilasciata la delega. Se le deleghe riportano la data di quando sono state conferite andranno escluse dal computo quelle che, in linea temporale, sono successive sino al raggiungimento del limite previsto dalla legge.
Molto spesso, però, le deleghe non riportano in calce la data del loro conferimento ed allora la questione andrà risolta tenendo presente la natura giuridica delle stesse. La delega, intesa quale autorizzazione a comparire in assemblea in nome e per conto di un altro soggetto è da inquadrarsi quale mandato a rappresentare gli interessi del delegante e a compiere atti (istanze, eccezioni, espressione di voto) nel corso dell’assemblea che producono effetti giuridici direttamente in capo a chi delega. Si tratta, ovviamente, di un mandato limitato (per l’oggetto e per lo scopo) a cui non è applicabile integralmente la disciplina codicistica dell’istituto (artt. 1703 – 1730 c.c.) che, tuttavia, consente al mandatario (colui a cui è stata conferita delega) di esercitare discrezionalmente il potere di rinunzia (ad una o più deleghe) affinché sia rispettato il limite legale introdotto dalla riforma. Diversamente il presidente dovrebbe escluderle tutte poiché (non potendosi stabilire quale delega sia stata concessa prima e quale dopo) a costui non è demandabile il potere di preferire la partecipazione di un condomino piuttosto che di un altro.
Può invece accadere, quale seconda ipotesi, che né il presidente né l’amministratore si accorgano che un condomino possiede deleghe in eccesso. In questo caso le delibere assunte sono da ritenersi annullabili in quanto “affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o informazione in assemblea”, come osservato, anche precedentemente alla novella, dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza 7 marzo 2005, n. 4806). L’eccesso di deleghe costituisce infatti, e più precisamente, “un vizio nel procedimento di formazione della relativa deliberazione dando luogo ad un’ipotesi di annullabilità ai sensi dell’art. 1137 c.c.” (vedi ex multis: Tribunale Potenza 4 luglio 2008).