È quanto ha affermato la
Corte di Cassazione con una recentissima sentenza che, sebbene estremamente
stringata nel contenuto e non nuova nei principi e nelle conclusioni a cui
giunge, ha avuto notevole eco e ampio risalto mediatico. Infatti, il
riconoscimento e la consapevolezza dell’esistenza anche nel nostro Paese di
fasce sociali che sfiorano la povertà, se da un lato hanno indotto il
Legislatore ad avere finalmente maggiore e concreta attenzione nei confronti di
chi versa in condizioni economiche disagiate (si veda il reddito di inclusione
di recente approvazione), dall’altro lato hanno portato giudici e opinione
pubblica in genere a giudicare con un occhio meno severo reati commessi appunto
per ragioni di necessità economiche. Un precedente in tal senso è stata la
sentenza di assoluzione pronunciata lo scorso anno dalla Corte di Cassazione
nei confronti di un giovane senza fissa dimora e senza lavoro che aveva
commesso un furto per fame (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 2 maggio
2016, n. 18248). Con la sentenza in commento, invece, la Cassazione sembra
cambiare completamente registro. Vediamo perché.