È quanto ha affermato la
Corte di Cassazione con una recentissima sentenza che, sebbene estremamente
stringata nel contenuto e non nuova nei principi e nelle conclusioni a cui
giunge, ha avuto notevole eco e ampio risalto mediatico. Infatti, il
riconoscimento e la consapevolezza dell’esistenza anche nel nostro Paese di
fasce sociali che sfiorano la povertà, se da un lato hanno indotto il
Legislatore ad avere finalmente maggiore e concreta attenzione nei confronti di
chi versa in condizioni economiche disagiate (si veda il reddito di inclusione
di recente approvazione), dall’altro lato hanno portato giudici e opinione
pubblica in genere a giudicare con un occhio meno severo reati commessi appunto
per ragioni di necessità economiche. Un precedente in tal senso è stata la
sentenza di assoluzione pronunciata lo scorso anno dalla Corte di Cassazione
nei confronti di un giovane senza fissa dimora e senza lavoro che aveva
commesso un furto per fame (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 2 maggio
2016, n. 18248). Con la sentenza in commento, invece, la Cassazione sembra
cambiare completamente registro. Vediamo perché.
ALLACCIO ABUSIVO La vicenda portata
all’attenzione della Cassazione è quella di un allaccio abusivo alla rete elettrica, quindi senza contratto di
fornitura e senza bollette da pagare. Succede molto spesso, anche per le
forniture dell’acqua e quelle del gas. Quasi sempre, si tratta semplicemente di
persone disoneste, di furbetti, che vogliono l’utenza senza pagarne il
corrispettivo o che si riallacciano abusivamente alla rete dopo che ne hanno
subito il distacco per morosità. Nel caso in esame, però, l’allaccio abusivo
sarebbe stato determinato dallo stato di
necessità in cui versava l’imputata, in quanto “sfrattata e priva di lavoro, con una figlia incinta”, e che riteneva
che tali “condizioni certamente precarie e faticose, … avrebbero dovuto portare
all’assoluzione (dal conseguente reato di furto di energia elettrica contestatole)
per mancanza di colpevolezza, in applicazione del principio di cui all’art. 54
cod. pen.”, relativo appunto allo stato di necessità.
MA NON C’È STATO DI
NECESSITÀ!
Richiamandosi ad un proprio orientamento consolidato, infatti, la Corte di
Cassazione ha chiarito che l’esimente dello stato di necessità, in quanto
postula il pericolo attuale di un danno
grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente
illecito, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad
esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente
rilevanti. Nel caso in questione, pertanto, la mancanza di energia elettrica
non comportava nessun pericolo attuale di danno grave alla persona, trattandosi
di bene non indispensabile alla vita (tant’è che l’energia elettrica veniva utilizzata anche per muovere i numerosi
elettrodomestici della casa), ma piuttosto di un bene idoneo a procurare agi ed opportunità, quasi superfluo. Stando così le cose, pertanto, non si configura
quel concetto di incoercibile necessità, insita nella previsione normativa, che
evidentemente richiede l’assoluta assenza di un’alternativa concretamente ed
utilmente realizzabile dal soggetto agente rispetto al determinarsi a commettere
una condotta illecita (Corte di
Cassazione, sezione feriale penale, sentenza del 31/08/2017, n. 39884).
QUINDI, È REATO
AGGRAVATO!
A calcare ancor più la mano, la Corte di Cassazione non solo ha escluso
l’esimente invocata (stato di bisogno), ma ha anche ritenuto che il reato fosse
aggravato ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen.. Infatti, sebbene “effettuato senza rompere o trasformare la
destinazione del cavo”, secondo i giudici di legittimità, l’allacciamento
abusivo alla rete, in qualunque modo effettuato, integra comunque la
fraudolenza sanzionata dalla norma. Insomma è fraudolento in re ipsa,
conformemente a quanto pacificamente affermato in tema di furto dalla
giurisprudenza di legittimità, per la quale la circostanza aggravante del mezzo
fraudolento è costituita dall’uso di
qualunque mezzo insidioso idoneo a far attenuare l’attenzione del
possessore del bene nella difesa del patrimonio o che consenta di eludere più
agevolmente le cautele poste dal detentore a difesa della cosa (Corte di Cassazione sez. V penale,
sentenza del 03/08/2017, n. 38752).
Avvocato Gabriella
Sparano – Redazione Giuridicamente parlando