Nei
film western c’è sempre questo personaggio, che, con intenti tutt’altro che
moralizzanti e di giustizia, va a caccia di pistoleri e criminali, per
catturarli vivi o morti ed incassare la taglia posta sulla loro testa. Un vero
e proprio mestiere che, negli Stati Uniti, è sopravvissuto al tempo del Far
West, arrivando fino ai nostri giorni. Quelli che oggi vengono chiamati
“bounty-hunter”, infatti, rappresentano una vera e propria categoria
professionale che, sebbene non sia ancora regolamentata da una legge federale
organica che ne fissi i requisiti minimi, è riconosciuta e piuttosto diffusa.
Ma, a seguito della notizia di questi giorni circa una taglia posta per la
cattura di Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, il killer del barista di Budrio, molti lettori attenti alla cronaca nera si sono
chiesti se anche in Italia ci possano essere cacciatori di taglie e,
soprattutto, se sia lecito mettere taglie per la cattura di criminali, alla
quale sono deputate esclusivamente le Forze dell’Ordine. Vediamo allora di
capire meglio…
NEGLI STATI UNITI il mestiere del
cacciatore di taglie è legato all’istituto della cauzione, tipico del sistema giudiziario americano. Quando una
persona viene arrestata per un reato, infatti, il giudice ne fissa anche la
cauzione, pagata la quale, l’imputato (se non ritenuto particolarmente
pericoloso) viene messo in libertà in vista del processo. Generalmente, le
cauzioni hanno importi piuttosto alti, che non tutti sono in grado di
permettersi. In tal caso, l’alternativa al restare in prigione fino alla
celebrazione del processo, è quella di farsi aiutare dai cosiddetti “bail bondsmen”, cioè i garanti per le cauzioni, a volte vere e
proprie società, che lucrando sul particolare meccanismo di pagamento delle
cauzioni, garantiscono per l’accusato, pagandogli la cauzione. Ma può accadere
(e accade piuttosto spesso) che, al momento del processo, l’accusato non si
presenti e il garante rischi di rimetterci. Ed è qui che inizia il lavoro del
cacciatore di taglie, che – o per conto del garante o in proprio - ha il
compito di cercare e catturare l’accusato che, una volta riassicurato alla
giustizia, frutta al cacciatore una somma pari al 10/20% del valore della
cauzione. Quindi, la taglia (legale) riconosciuta negli Stati Uniti è la
cauzione.
IN ITALIA chiaramente tutto ciò
non c’è. Quindi, quale taglia potrebbe essere messa in palio, ammesso che sia
lecito poterlo fare? Certamente non per
la cattura di un criminale, perché – come già detto – ciò compete alle sole
Forze dell’Ordine. E ogni tipo di interferenza, seppure lodevole, oltre a non
essere lecita, rischierebbe di comprometterne il buon esito. Ma, da quanto
scrivono i giornali, nel caso di cronaca che ha stimolato questa nostra
riflessione, la taglia messa in palio da un comitato di amici della vittima e
certificata dal legale della vedova è in
favore di chi darà informazioni utili per la cattura del killer latitante:
50mila euro, ridotte a 25mila euro se lo si dovesse trovare morto. L’operazione
sarà valida fino al 22 ottobre di quest’anno e le segnalazioni dovranno essere
indirizzate al legale medesimo o al presidente del Comitato. Si tratta,
ovviamente, di una iniziativa che ha fatto e fa molto discutere non solo perché
fornire informazioni utili alle indagini (chiaramente però alle Forze dell’Ordine)
rientra in quel senso civico che
ognuno di noi dovrebbe sentire, naturalmente,
gratuitamente e responsabilmente, ma anche perché mettere una taglia sembra
stonare con il nostro ordinamento giuridico.
MA È PROPRIO COSÌ? Il legale che ha
certificato la taglia, redigendo un apposito
regolamento, si è richiamato all’istituto della promessa al pubblico, prevista e disciplinata dal nostro
ordinamento all’art. 1989 codice civile, a mente del quale “Colui che, rivolgendosi al pubblico,
promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione
o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena questa è
resa pubblica. Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta
dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa,
qualora entro l’anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento
della situazione o il compimento dell'azione prevista nella promessa”.
Esempi tipici di tale istituto sono le manifestazioni
a premio (“concorsi a premio” e “operazioni a premio”) e le fattispecie del
tipo “Darò 100 euro a chi mi trova il cane smarrito”, molto simili queste al
caso che ci occupa. In quanto negozio
unilaterale che vincola il promittente, non appena ha reso pubblica la sua
volontà nei confronti di una pluralità di persone, ad una prestazione a favore
di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione,
la promessa al pubblico viene generalmente distinta dall’offerta al pubblico di cui all’art. 1336 codice civile (sebbene
spesso confuse, anche etimologicamente, tra loro), principalmente perché questa
è invece volta alla conclusione di un contratto.
IN CONCLUSIONE, e senza addentrarci
nell’esame delle varie teorie sulla natura e sull’inquadramento giuridico della
promessa al pubblico, taglie di tal genere, ove ricondotte a detto istituto ed
alla sua ratio e purché aventi un oggetto ovviamente determinato, possibile e lecito (nel nostro caso, il
fornire informazioni), sono ammissibili e in linea con i principi e le norme
del nostro ordinamento giuridico. È chiaro però che iniziative del genere,
seppure per fini giusti ed apprezzabili, vadano proposte e percorse con grande
e particolare attenzione, cercando soprattutto di evitare che il pubblico
(indeterminato e perciò vario ed imprevedibile) a cui sono rivolte possa
percepirle ed utilizzarle in maniera difforme o eccessiva.
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando