Come era prevedibile, la
recente sentenza della Corte Europea di Giustizia, che ha stabilito che
un’azienda privata può vietare a una dipendente di portare il velo islamico
durante i contatti con i clienti, ha sollevato un vespaio di polemiche.
Sebbene, infatti, gli euro-giudici abbiano chiarito che il divieto non
costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione, ma mira ad
un’esigenza di neutralità dell’impresa, applicabile a chiunque indossi in
modo visibile simboli politici, filosofici o religiosi sul luogo di lavoro, dai
più la sentenza è stata vista come una legittimazione a fare discriminazioni
religiose e non solo. Ed il rischio che può nascondersi dietro ad una tale
sentenza diviene ancor più concreto se pensiamo al crescente diffondersi, a
livello internazionale, di rigurgiti conservatori, protezionistici,
nazionalistici. Anche in Italia, dove la società negli ultimi decenni è
diventata sempre più multietnica anche per il drammatico fenomeno dei migranti,
l’ordinamento giuridico si è dovuto sempre più adeguare a una realtà
multiculturale e multireligiosa, contemperando principi consolidati con
l’evoluzione sociale.