Soprattutto negli ultimi anni, si registra una vera e propria esplosione del fenomeno della violenza sulle donne, quasi come se si fosse radicata una perversa moda nell’odierna società a rigor della quale un uomo (sempre se di uomo possiamo parlare..) pare si senta autorizzato non solo a perpetrare violenze fisiche nei confronti della propria compagna, piuttosto che madre, sorella o figlia, ma anche psicologiche, atte a creare un clima di paura e sudditanza nelle proprie vittime, sfocianti in un circolo vizioso di sofferenza ed alienazione infinito. Ovviamente essendo donna questa tematica non può non starmi particolarmente a cuore, soprattutto in ragione del fatto che le vittime di questi abusi, nella maggior parte dei casi, non solo si autoconvincono di meritarsi simili inqualificabili trattamenti, ma addirittura si annullano come persone giustificando i propri aguzzini, dimenticandosi che un uomo che alza le mani su una donna altro non è che una bestia, se non peggio. A tal proposito, infatti, una sconcertante recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, mi da lo spunto per approfondire questo delicato argomento, soprattutto dal momento che non ne condivido in alcun modo né il contenuto né la ragione ispiratrice. La sentenza in parola, a mio modesto avviso, rappresenta senza dubbio una sconfitta, in quanto annulla l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un soggetto indagato per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 del codice penale) per mero formalismo.