lunedì 17 ottobre 2016

SCUOLA: SE MI SBATTI FUORI DALLA CLASSE, MI RISARCISCI


Oggi, si parla tanto di buona scuola, di scuola che finalmente stimola e dà risalto al merito ed alla preparazione degli insegnanti, che offre agli studenti progetti formativi sempre più ricchi, che con l’autonomia scolastica può liberamente gestire le risorse economiche disponibili, la didattica, la progettualità. Insomma, di una scuola sempre più svecchiata ed efficace per l’educazione, l’istruzione e la crescita dei ragazzi, e sempre meno regimentata. Eppure, sono ancora molti, troppi, gli episodi che vedono insegnanti, di ogni ordine e grado, applicare metodi educativi inadeguati, talvolta repressivi, forse frutto di vecchi retaggi culturali ed educativi, che vogliono ancora il maestro con la bacchetta in mano. Episodi che hanno spinto il Parlamento a vagliare l’opportunità di installare telecamere e sottoporre a test psicoattitudinali gli insegnanti, almeno nelle scuole dei più piccini. Ma, al di là di quei comportamenti che possono rivestire rilevanza penale, l’insegnante può cacciare fuori dalla classe l’alunno indisciplinato e fastidioso o contravviene a precisi obblighi impostigli dal suo ruolo?
 
LA SCUOLA È APERTA A TUTTI recita l’art. 34 della Costituzione. Ma, scuola aperta a tutti non va intesa solo come diritto-obbligo di accedere all’istruzione, rimuovendo ogni ostacolo (non solo economico) che possa limitare o impedire l’istruzione, la cui mancanza si traduce in un ostacolo che limita la libertà, impedisce l’uguaglianza degli individui. Scuola aperta a tutti va intesa anche come reale e piena partecipazione di tutti alle attività scolastiche, come coinvolgimento degli studenti nella vita e nella comunità scolastica, come scuola inclusiva e non mero parcheggio di ragazzi problematici, come scuola che affronta e gestisce le difficoltà e le differenze e non le accantona, dimenticandosene. Da ciò discende, evidentemente, il divieto nel processo educativo per ogni elemento contraddittorio rispetto ai valori e principi consacrati nella Costituzione, per ogni metodo o comportamento posto in essere per uno scopo diverso dall’educazione, dall’istruzione, dalla cura degli studenti, per esempio a scopo vessatorio, di punizione esemplare, di emarginazione, di esclusione, per umiliare la dignità della persona, per mero esercizio d’autorità o di prestigio. E quanto più l’alunno è debole o in maggiore difficoltà (per l’età o per le condizioni psico-fisiche) e più è frequente l’utilizzo per tali scopi dei predetti metodi, tanto più si avrà un comportamento contrario alla funzione educativa, lesivo per un armonico sviluppo della personalità, nonché opposto ai fondamentali valori di pace, tolleranza, convivenza e solidarietà (Cassazione Penale, Sez. 6, sentenza n. 34492/2012; Cassazione Penale, Sez. 6, sentenza n. 11734/2012).

MANDARE FUORI DALLA CLASSE L’ALUNNO seppure indisciplinato o fastidioso, risolvendosi in un allontanamento dello stesso dalla classe, sottraendolo ai compagni e alle attività che in essa si svolgono, rappresenta chiaramente una punizione che, soprattutto agli studenti più sensibili ed emotivamente esposti, può creare una condizione di disagio, di vergogna, uno stato di sofferenza ed umiliazione, dei quali peraltro essi non percepiranno alcun messaggio educativo. Ma, oltre che contravvenire ad un chiaro valore costituzionale, l’insegnante che infligge siffatta punizione rischia anche di vedersi condannato al risarcimento dei danni arrecati o subiti dall’alunno durante la punizione, potendo incorrere in una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 codice civile (per non aver adottato le cautele necessarie, suggerite dall’ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e luogo) ovvero contrattuale ex art. 2048 codice civile (per non aver adempiuto diligentemente all’obbligo di sorveglianza, vigilanza ed assistenza, che gli deriva dalla sua specifica funzione).

SUL PUNTO LA GIURISPRUDENZA È CHIARA affermando infatti quale principio generale che, nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, si configura una responsabilità contrattuale in capo sia all’istituto scolastico sia all’insegnante. Infatti, con riguardo all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso. Con riguardo all’insegnante, si instaura tra questi e l’allievo, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, a cui evidentemente l’insegnante si sottrae o non adempie pienamente laddove metta l’alunno alla porta senza affidarlo eventualmente ad un bidello o ad altro insegnante. E trattandosi di responsabilità contrattuale, in caso di danno, si applica il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 codice civile, per il quale incombe all’istituzione scolastica l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante (Cassazione Civile, Sez. 3, sentenza n. 5067/2010).

L’ESPERIENZA INSEGNA ALMENO IN TEORIA… infatti, vuoi per una maggiore sensibilità al problema vuoi per evitare condanne di risarcimento, oggi ormai gli stessi regolamenti adottati dagli istituti scolastici in materia di sanzioni disciplinari ai sensi del Testo Unico sull’istruzione (Decreto Legislativo n. 297/1994), tendenzialmente sconsigliano o addirittura vietano di mandare fuori dell’aula gli alunni come forma di punizione. Solo in casi particolarissimi o eccezionali, e laddove il docente ritenga che l’alunno non possa rimanere nell’aula, si consente l’affidamento dello stesso, ma per breve tempo, a collaboratori scolastici idonei ed in grado di assolvere alla sorveglianza dello studente, che gli viene così affidata.

…NELLA PRATICA INVECE è ancora attuale e frequente l’utilizzo di tale mezzo punitivo nei confronti degli alunni, aggiungendosi così in capo all’insegnate, che vi fa ricorso ed accanto alle responsabilità civilistiche sopra ricordate, l’eventuale ulteriore responsabilità disciplinare per inosservanza delle regole di condotta fissate dai regolamenti scolastici.


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente Parlando