Oggi, si parla tanto di buona scuola, di scuola che
finalmente stimola e dà risalto al merito ed alla preparazione degli
insegnanti, che offre agli studenti progetti formativi sempre più ricchi, che
con l’autonomia scolastica può liberamente gestire le risorse economiche
disponibili, la didattica, la progettualità. Insomma, di una scuola sempre più
svecchiata ed efficace per l’educazione, l’istruzione e la crescita dei
ragazzi, e sempre meno regimentata. Eppure, sono ancora molti, troppi, gli
episodi che vedono insegnanti, di ogni ordine e grado, applicare metodi
educativi inadeguati, talvolta repressivi, forse frutto di vecchi retaggi
culturali ed educativi, che vogliono ancora il maestro con la bacchetta in
mano. Episodi che hanno spinto il Parlamento a vagliare l’opportunità di
installare telecamere e sottoporre a test psicoattitudinali gli insegnanti,
almeno nelle scuole dei più piccini. Ma, al di là di quei comportamenti che
possono rivestire rilevanza penale, l’insegnante può cacciare fuori dalla
classe l’alunno indisciplinato e fastidioso o contravviene a precisi obblighi
impostigli dal suo ruolo?
LA SCUOLA È APERTA A TUTTI
recita l’art. 34 della Costituzione. Ma, scuola aperta a tutti non va intesa
solo come diritto-obbligo di accedere all’istruzione, rimuovendo ogni ostacolo
(non solo economico) che possa limitare o impedire l’istruzione, la cui
mancanza si traduce in un ostacolo che limita la libertà, impedisce
l’uguaglianza degli individui. Scuola aperta a tutti va intesa anche come reale
e piena partecipazione di tutti alle attività scolastiche, come coinvolgimento
degli studenti nella vita e nella comunità scolastica, come scuola inclusiva e non mero parcheggio
di ragazzi problematici, come scuola che affronta e gestisce le difficoltà e le
differenze e non le accantona, dimenticandosene. Da ciò discende,
evidentemente, il divieto nel processo educativo per ogni elemento
contraddittorio rispetto ai valori e principi consacrati nella Costituzione,
per ogni metodo o comportamento posto in essere per uno scopo diverso
dall’educazione, dall’istruzione, dalla cura degli studenti, per esempio a
scopo vessatorio, di punizione esemplare, di emarginazione, di esclusione, per
umiliare la dignità della persona, per mero esercizio d’autorità o di
prestigio. E quanto più l’alunno è debole o in maggiore difficoltà (per l’età o
per le condizioni psico-fisiche) e più è frequente l’utilizzo per tali scopi
dei predetti metodi, tanto più si avrà un comportamento
contrario alla funzione educativa, lesivo per un armonico sviluppo della
personalità, nonché opposto ai fondamentali valori di pace, tolleranza,
convivenza e solidarietà (Cassazione Penale,
Sez. 6, sentenza n. 34492/2012; Cassazione Penale, Sez. 6, sentenza n.
11734/2012).
MANDARE FUORI DALLA CLASSE L’ALUNNO seppure indisciplinato o fastidioso, risolvendosi in un
allontanamento dello stesso dalla classe, sottraendolo ai compagni e alle
attività che in essa si svolgono, rappresenta chiaramente una punizione che,
soprattutto agli studenti più sensibili ed emotivamente esposti, può creare una condizione di disagio, di
vergogna, uno stato di sofferenza ed umiliazione, dei quali peraltro essi
non percepiranno alcun messaggio educativo. Ma, oltre che contravvenire ad un
chiaro valore costituzionale, l’insegnante che infligge siffatta punizione
rischia anche di vedersi condannato al risarcimento
dei danni arrecati o subiti dall’alunno durante la punizione, potendo
incorrere in una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 codice civile
(per non aver adottato le cautele necessarie, suggerite dall’ordinaria
prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e luogo) ovvero
contrattuale ex art. 2048 codice civile (per non aver adempiuto diligentemente
all’obbligo di sorveglianza, vigilanza ed assistenza, che gli deriva dalla sua
specifica funzione).
SUL PUNTO LA GIURISPRUDENZA È CHIARA affermando infatti quale principio generale che, nel caso
di danno cagionato dall’alunno a se stesso, si configura una responsabilità
contrattuale in capo sia all’istituto scolastico sia all’insegnante. Infatti,
con riguardo all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di
iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina
l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto
l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel
tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue
espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso.
Con riguardo all’insegnante, si instaura tra questi e l’allievo, per contatto
sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel
quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza,
a cui evidentemente l’insegnante si sottrae o non adempie
pienamente laddove metta l’alunno alla porta senza affidarlo eventualmente ad un
bidello o ad altro insegnante. E trattandosi di responsabilità
contrattuale, in caso di danno, si applica il regime probatorio desumibile
dall’art. 1218 codice civile, per il quale incombe all’istituzione scolastica
l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non
imputabile né alla scuola né all’insegnante (Cassazione Civile, Sez. 3, sentenza n. 5067/2010).
L’ESPERIENZA INSEGNA ALMENO IN TEORIA… infatti, vuoi per una maggiore sensibilità al problema vuoi
per evitare condanne di risarcimento, oggi ormai gli stessi regolamenti
adottati dagli istituti scolastici in materia di sanzioni disciplinari ai sensi
del Testo Unico sull’istruzione (Decreto Legislativo n. 297/1994),
tendenzialmente sconsigliano o addirittura vietano di mandare fuori dell’aula
gli alunni come forma di punizione. Solo
in casi particolarissimi o eccezionali, e laddove il docente ritenga che
l’alunno non possa rimanere nell’aula, si
consente l’affidamento dello stesso, ma per breve tempo, a collaboratori scolastici idonei ed in
grado di assolvere alla sorveglianza dello studente, che gli viene così
affidata.
…NELLA PRATICA INVECE è
ancora attuale e frequente l’utilizzo di tale mezzo punitivo nei confronti
degli alunni, aggiungendosi così in capo all’insegnate, che vi fa ricorso ed
accanto alle responsabilità civilistiche sopra ricordate, l’eventuale ulteriore
responsabilità disciplinare per
inosservanza delle regole di condotta fissate dai regolamenti scolastici.
Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente
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