martedì 20 maggio 2014

CASALINGHE (NON) DISPERATE: UN LAVORO IMPORTANTE E DI VALORE



Qualche mese fa si sono rivolte a me due signore prossime, entrambe, al compimento del settantesimo anno d’età. Le due donne erano state investite da un automobilista, poco accorto, mentre attraversavano regolarmente una strada, servendosi del passaggio pedonale all’altezza di un semaforo. Nell’affidarmi l’incarico di assisterle per ottenere il risarcimento di tutti i danni che avevano patito, entrambe, mi ponevano il quesito circa la possibilità di essere ristorate anche del danno patrimoniale patito in relazione alla loro attività di casalinga che per un lungo periodo di tempo non avevano potuto svolgere e che oggi, almeno per una di loro, era ugualmente difficoltoso affrontare in ragione delle rilevanti lesioni riportate. La questione mi è tornata alla mente in virtù della notizia, appresa sul web, della sentenza emanata di recente dal Tribunale di Genova riguardante, appunto, il riconoscimento del risarcimento del danno patrimoniale lamentato da una casalinga. La decisione, comunque importante, non è, tuttavia, unica e anzi rappresenta la sintesi e la conferma di un orientamento ormai consolidato, non solo tra i giudici del merito, ovvero quei giudici chiamati a decidere sull’accoglimento di una domanda, ma ribadito a più riprese dalla stessa Suprema Corte nei giudizi di legittimità. Vediamo quali sono questi principi …

IL TRIBUNALE DI GENOVA E LE FACCENDE DOMESTICHE Il tribunale di Genova ha stabilito, in sintesi, che la persona dedita alle faccende domestiche, quale occupazione principale e unica, che non percepisce, dunque, un reddito da lavoro, ha comunque diritto al ristoro del danno patrimoniale per la riduzione di tale capacità lavorativa, cagionata dal fatto illecito di un terzo. Il ménage familiare è, infatti, considerabile un vero e proprio lavoro, perché, grazie ad esso, si riducono le spese per la gestione dell’abitazione e della prole. E, pertanto, la perdita di una funzionalità motoria, che incide su tale attività in modo specifico, va risarcita. Secondo il giudice genovese per la determinazione dell’ammontare di tale danno, non essendo possibile far riferimento ad un reddito certo, occorre far riferimento al criterio del triplo della pensione sociale previsto dall’attuale codice delle assicurazioni. Non è, quindi, necessaria né la prova che dopo la guarigione l’attività domestica si sia ridotta o sia cessata, né che la persona danneggiata sia dovuta ricorrere all’ausilio di un collaboratore domestico. E’ sufficiente anche solo la prova che la vittima sia costretta a una maggiore usura. Anche in relazione al calcolo della “personalizzazione del danno”, peraltro, il giudice richiama l’incidenza delle lesioni su tutte le attività reddituali del soggetto (Tribunale di Genova, Sentenza n. 549del 2014). 

ALTRE DECISIONI ANALOGHE Il Tribunale di Padova, sulla scorta di una consulenza tecnica medico-legale, disposta nel corso del giudizio, che aveva stabilito non sussistente il danno specifico alla capacità lavorativa di una casalinga e riconosciuto, invece, un periodo di inabilità totale al lavoro per giorni trenta e un ulteriore periodo di inabilità parziale a svolgere le mansioni di casalinga per altri sessanta giorni, ha deciso di liquidare il risarcimento del danno da mancato guadagno della casalinga parametrandolo, a differenza del criterio utilizzato dal giudice genovese, al costo di una domestica per otto ore di lavoro quantificandolo in euro 80,00 giornaliere (Tribunale di Padova, Sentenza del 15 ottobre 2013, Giudice Guido Marzella, nella causa civile rubricata al n. di R.G. 1917 del 2009). In altre parole, il giudice padovano fondando la propria decisione sul parere tecnico di un medico-legale ha deciso che la casalinga in questione, potendo in futuro svolgere ancora tale attività (assenza di danno specifico alla capacità lavorativa), doveva essere risarcita per il danno patrimoniale subito, in termini di mancato guadagno o lucro cessante, per il periodo di inabilità al lavoro, causata dalla malattia patita per il fatto di un terzo, che il medico ha reputato sussistere per un primo periodo in modo assoluto (giorni trenta), e per un successivo in modo parziale (giorni sessanta) non essendo la stessa riuscita a svolgere appieno le proprie mansioni di casalinga. 
Anche per il giudice padovano, per procedere alla liquidazione del pregiudizio patrimoniale, non è necessaria né la prova che l’attività domestica si sia ridotta o sia cessata (essendo invece sufficiente anche solo la prova che la vittima sia stata costretta ad una maggiore usura), né la prova che la vittima sia dovuta ricorrere all’ausilio di un collaboratore domestico, giacché, diversamente, il risarcimento non potrebbe essere liquidato proprio a coloro che, per insufficienza di risorse economiche, non abbiano potuto affrontare tale.

E LA CONFERMA DELLA CASSAZIONE Chiunque svolga attività domestica, a tempo pieno o a tempo parziale, e, quindi anche chi svolga un’attività di lavoro diversa e al contempo si occupi delle incombenze casalinghe, ha diritto di essere risarcito del danno patrimoniale subito, sia in termini di lucro cessante sia con riguardo al danno emergente ovvero alle spese che si devono affrontare, per la perdita di tale capacità lavorativa specifica o per la compressione di tale capacità in periodi determinati. Questo tipo di attività è, infatti, suscettibile di valutazione economica al pari di tutte le altre attività di lavoro e, quindi, la sua tutela trae origine dagli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione che tutelano rispettivamente la scelta di qualsiasi forma di lavoro e i diritti del lavoratore e della donna lavoratrice. L’unica prova da fornire è quella relativa al fatto che il soggetto in questione svolgesse tale attività e che, a seguito dell’infortunio o sinistro subito, per causa di terzi, ha riportato lesioni che impediscono e impediranno, per la loro gravità, di svolgere tali mansioni o lo permetteranno ma con maggior usura (danno specifico alla capacità lavorativa), o ancora che comportano una limitazione temporanea totale o parziale (inabilità temporanea assoluta e relativa al lavoro) nello svolgimento delle stesse (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 13 dicembre 2012, n. 22909; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’11 novembre 2011, n. 23573; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 20 luglio 2010, n. 16896; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 20 ottobre 2005, n. 2034).

LA CASALINGA NON È UNA COLF In particolare la Suprema Corte ha precisato che il pregiudizio economico che subisce una casalinga menomata nell’espletamento della sua attività in conseguenza di lesioni subite è pecuniariamente valutabile come danno emergente, secondo quanto previsto dall’art. 1223 del codice civile (richiamato “in parte qua” dal successivo art. 2056) e può essere liquidato, pur in via equitativa, anche nell’ipotesi in cui la stessa sia solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità, responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 20 luglio 2010, n. 16896). 

COME SI DETERMINA IL REDDITO Sul punto gli ermellini precisano che nella liquidazione del danno alla persona, il criterio di determinazione della misura del reddito previsto dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, art. 4 (triplo della pensione sociale), pur essendo applicabile esclusivamente nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, può essere utilizzato dal giudice, nell’esercizio del suo potere di liquidazione equitativa del danno patrimoniale conseguente all’invalidità, che è danno diverso da quello biologico, quale generico parametro di riferimento per la valutazione del reddito figurativo della casalinga. Altro criterio è quello che pone riguardo al reddito di una collaboratrice familiare, con gli opportuni adattamenti per la maggiore ampiezza dei compiti esercitati dalla casalinga (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 13 dicembre 2012, n. 22909; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 24 agosto 2007, n. 17977; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 12 settembre 2005 n. 18092).

IL RISARCIMENTO ANCHE AI FAMILIARI DELLA CASALINGA DECEDUTA La Suprema Corte ha, inoltre, stabilito in diverse occasioni che in caso di morte di una casalinga, sempre dovuta al fatto di un terzo, i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento sia del danno non patrimoniale, per la perdita della congiunta, sia del danno subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura e assistenza dalla stessa fornite, le quali, benché non produttive di reddito, sono valutabili economicamente. In relazione, poi, alla prova delle attività concretamente svolte dalla casalinga i Giudici di legittimità affermano che le stesse possono essere provate per presunzioni. Ciò significa che si presume che una madre di famiglia, con marito e figli, tutti conviventi, non trascorra le sue giornate a letto. È chiaro che laddove il danneggiato lamenti un danno di particolare rilievo economico oppure inconsueto e abnorme, rispetto a quanto avvenga nella normalità dei casi, avrà l’onere di fornire la prova specifica di tale danno (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 13 dicembre 2012, n. 22909).

CASALINGA: UN LAVORO PREZIOSO In conclusione alle signore, già al tempo dell’assunzione dell’incarico e, quindi, prima ancora dell’emissione della sentenza del giudice genovese, è stata data risposta affermativa. Il loro è un lavoro prezioso, fondamentale per il benessere familiare, che contribuisce alla riduzione di costi e al buon funzionamento del ménage, un contributo essenziale, che va valutato economicamente al pari di un qualsiasi altro lavoro. Tra l’altro la preziosa attività di tante brave compagne di vita e madri di famiglia è connotata da una peculiare e rara caratteristica, difficilmente quantificabile, rappresentata dall’amore con cui quotidianamente si prodigano.

Avv. Patrizia Comite - Studio Comite