L’orribile massacro di qualche giorno fa, compiuto presso la sede del settimanale parigino Charlie Hebdo, ha suscitato lo sdegno dell’umanità intera. L’obiettivo che gli attentatori si ponevano era, com’è noto, punire la satira sfacciata e sbeffeggiante che caratterizzava, e distinguerà ancora, secondo quanto dichiarato dai portavoce del magazine, la linea editoriale del giornale. Inevitabile la querelle che ne è seguita sulla premessa, accettata all’unisono, che comunque l’assassinio di massa compiuto è, e rimane, un atto criminale inaccettabile ed esecrabile sotto ogni punto di vista. Gli attentatori hanno espressamente ammesso che gli eroi reclutati “hanno agito come una vendetta per le offese contro il profeta Maometto”; in altre parole hanno ritenuto inaccettabile l’offesa blasfema arrecata al proprio credo religioso. E allora, satira sì o satira no? Ma soprattutto, considerato lo scopo che si pone giuridicamente parlando, legge e giurisprudenza che approccio hanno verso la satira, sia essa politica o religiosa? La satira, destinata per tradizione e cultura a far arrabbiare, è di per sé espressione di un diritto giuridicamente rilevante o semplice manifestazione del diritto di critica e, dunque, soggiace agli stessi limiti di liceità previsti per l’esercizio di tale diritto? Il mio contributo naturalmente non può che essere di natura giuridica, senza tralasciare qualche utile citazione…