lunedì 19 gennaio 2015

SATIRA: "IL RE È IN MUTANDE"


L’orribile massacro di qualche giorno fa, compiuto presso la sede del settimanale parigino Charlie Hebdo, ha suscitato lo sdegno dell’umanità intera. L’obiettivo che gli attentatori si ponevano era, com’è noto, punire la satira sfacciata e sbeffeggiante che caratterizzava, e distinguerà ancora, secondo quanto dichiarato dai portavoce del magazine, la linea editoriale del giornale. Inevitabile la querelle che ne è seguita sulla premessa, accettata all’unisono, che comunque l’assassinio di massa compiuto è, e rimane, un atto criminale inaccettabile ed esecrabile sotto ogni punto di vista. Gli attentatori hanno espressamente ammesso che gli eroi reclutati “hanno agito come una vendetta per le offese contro il profeta Maometto”; in altre parole hanno ritenuto inaccettabile l’offesa blasfema arrecata al proprio credo religioso. E allora, satira sì o satira no? Ma soprattutto, considerato lo scopo che si pone giuridicamente parlando, legge e giurisprudenza che approccio hanno verso la satira, sia essa politica o religiosa? La satira, destinata per tradizione e cultura a far arrabbiare, è di per sé espressione di un diritto giuridicamente rilevante o semplice manifestazione del diritto di critica e, dunque, soggiace agli stessi limiti di liceità previsti per l’esercizio di tale diritto? Il mio contributo naturalmente non può che essere di natura giuridica, senza tralasciare qualche utile citazione… 
SATIRA È quella manifestazione di pensiero, talora di altissimo livello, che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores (espressione che dobbiamo allo scrittore e poeta seicentesco Jean de Santeuil, detto Santolius), ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, ovvero correttivo e, quindi indirizzato verso il bene (Cassazione penale, Sezione I, Sentenza del 16 marzo 2006, n. 9246). Nella determinazione dei limiti al diritto di satira va considerata la natura di tale forma di manifestazione del pensiero, che non ha funzione informativa e non deve perciò obbedire a canoni di verità e di razionalità espressiva, né può essere commisurata ad astratti parametri di adeguatezza; anzi, la sua particolarità consiste proprio nell’essere condotta con moduli fittizi e irrazionali o nell’essere scandita su sequenze di elementi finti od esagerati, al dichiarato scopo di irridere il personaggio e la vicenda (Tribunale di Milano, Sezione I, Sentenza del 16 marzo 2011). 

UN DIRITTO COSTITUZIONALE Esso trova fondamento negli articoli 9, 21 e 33 della Costituzione che più in generale tutelano la libertà di pensiero degli individui. Più nello specifico gli articoli 9 e 33 della Costituzione tutelano le espressioni artistiche e culturali. La giurisprudenza e gli studiosi del diritto si sono occupati a più riprese del bilanciamento tra diritto di satira, ormai comunemente considerata una forma d’arte e al contempo libera espressione del pensiero, e altri diritti costituzionalmente protetti quali il diritto al sentimento religioso, alla reputazione, al decoro e all’onore. La questione è complessa e non è semplice coglierne i tratti fondamentali ma sinteticamente si può affermare, in linea generale, che laddove un’opera assuma il carattere artistico (si pensi alla vignetta satirica), per una sua pur minima originalità, la stessa rimanga svincolata dai canoni etici, religiosi o sociali, ovvero resti svincolata dal concetto di buon costume che costituisce, invece, il limite della libertà di pensiero tutelata dall’art. 21 della costituzione. Ciò significa che quando il giudice riconosce che nell’opera vi sia una componente artistica dovrà, per tale solo fatto, escludere che la stessa sia oscena, proprio in quanto espressione d’arte e, quindi, sempre libera e lecita secondo quanto stabilito dall’art. 33 della costituzione. La satira è, dunque, espressione artistica nella misura in cui opera una rappresentazione simbolica che propone quale metafora caricaturale e ciò in modo particolare nella vignetta (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 31 gennaio 2013, n. 5065; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 novembre 2007, n. 23314).

IL LINGUAGGIO DELLA SATIRA NON PUÒ CHE ESSERE VIRULENTO, SFACCIATO, INSULTANTE È quanto dichiarava Dario Fo in un’intervista di qualche tempo fa aggiungendo: “la satira è un atto di rifiuto e come tale non può che essere acceso, è una contro aggressione che risponde allo smacco del potere con uno sghignazzo che non può essere elegante”. La satira è "nata per mettere il re in mutande". Lo sghignazzo e la derisione cui allude il celebre attore e personaggio satirico è, dunque, evidentemente, l’attacco che proviene dal basso sferrato contro il potere, più spesso politico, attraverso appunto uno sghignazzo; attraverso il grottesco ed il linguaggio graffiante si deride il personaggio pubblico in un modo che non può essere elegante. Comunque si esprima e, cioè, in forma scritta, orale, figurata, la satira costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso. Ne è espressione anche la caricatura e, cioè, la consapevole e accentuata alterazione dei tratti somatici, morali e comportamentali di una persona realizzata con lo scritto, la narrazione, la rappresentazione scenica (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 febbraio 2012, n. 1753; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 novembre 2007, n. 23314). 

IRRIDERE I POTENTI È UN’ESIGENZA SOCIALE È quanto specifica la giurisprudenza, precisando che la satira talvolta svolge persino una funzione di “controllo sociale verso il potere esercitata con l’arma incruenta del sorriso ed idonea ad attenuare le tensioni sociali e ad accrescere il valore fondamentale della tolleranza” (Tribunale di Roma, Sentenza del 5 giugno 1991). In altre parole la popolarità dei personaggi pubblici comporta, come contropartita, la possibilità che gli stessi siano irrisi e sbeffeggiati con riguardo ai loro tratti caratteriali noti con lo scopo di strappare un sorriso, o, il più delle volte, un riso amaro. I giudici della Suprema Corte sottolineano che il diritto di satira ha un fondamento complesso individuabile nella sua natura di creazione dello spirito, nella sua dimensione relazionale ossia di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l’ironia ed il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 13 settembre 2013, n. 37706; Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 31 gennaio 2013, n. 5065; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 novembre 2007, n. 23314).

LA SATIRA DEVE COMUNQUE RISPETTARE IL CARATTERE DELL’INTERESSE PUBBLICO E DELLA CONTINENZA Infatti, la Suprema Corte, proprio per coordinare i principi costituzionali della libertà di pensiero e del diritto di espressione artistica con il diritto degli individui a veder tutelato il proprio sentimento religioso oltre che la propria onorabilità e reputazione ha anche coniato il carattere dell’interesse pubblico, riferito al personaggio rappresentato, quale ulteriore parametro di valutazione della legittimità della satira: la satira è lecita se tra i due termini sussiste un nesso di coerenza causale. In altre parole non si sottrae al limite della continenza e, quindi, laddove la satira susciti disprezzo e sconfini nel dileggio, la stessa non può sottrarsi ad un giudizio di illiceità né può essere reclamata la circostanza per la quale la satira è di per sé esercizio di un diritto giuridicamente riconosciuto, quale forma artistica ed espressione del libero pensiero. Sul piano della continenza il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira, in particolare di quella esercitata in forma grafica, è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell’espressione. In questo ambito concettuale è stato affermato che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non va riconosciuta la scriminante, ovvero giustificazione, di cui all’art. 51 del codice penale per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell'immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’11 settembre 2014, n. 19178; Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 28 febbraio 2014, n. 9838; Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 13 settembre 2013, n. 37706; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 febbraio 2012, n. 1753; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 24 aprile 2008, n. 10656; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 novembre 2007, n. 23314).

CONTINENZA = PROPORZIONE E MISURA Come ha osservato la Suprema Corte, continenza significa proporzione e misura; non continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata della polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico. La continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati. Tale considerazione è tanto più valida, nel momento in cui il giornalista ricorra ad argomenti ironici o satirici; si pensi anche alla vignetta satirica, tutelata non solo quale libera manifestazione di pensiero, ma quale espressione culturale ed artistica, in quanto opera una rappresentazione intuitivamente simbolica che propone quale metafora caricaturale. Anche lo scritto satirico, al pari della vignetta, mira all’ironia sino al sarcasmo e comunque all’irrisione di chi esercita un pubblico potere, in tal misura esasperando la polemica intorno alle opinioni ed ai comportamenti; nell’apprezzare il requisito della continenza, allora, il giudice deve tener conto del linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale dello scritto satirico, rispetto al quale non si può applicare il metro consueto di correttezza dell’espressione. Il limite insuperabile, anche in tal caso, è quello del rispetto dei valori fondamentali, laddove la persona pubblica, oltre al ludibrio della sua immagine pubblica, sia esposta al disprezzo (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 10 ottobre 2013 n. 41869; Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 13 settembre 2013, n. 37706).

SATIRA E CRITICA: DIRITTI A CONFRONTO La critica è valutazione negativa ma lucida, che implica l’analisi di un fatto o di un comportamento. Il suo linguaggio può essere duro nella misura in cui sia utile a far meglio comprendere al pubblico quella valutazione. La satira, invece, deride, sbeffeggia, colloca il personaggio pubblico in una dimensione grottesca. Il diritto di critica si concretizza nell’espressione di un giudizio o, più genericamente, di un’opinione che sarebbe contraddittorio pretendere rigorosamente obiettiva, posto che per sua natura la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti. Per essere legittima e prevalere sul diritto alla reputazione dei singoli il diritto di critica deve essere esercitato entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dall’ordinamento positivo. Occorre, cioè, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantito; bilanciamento da ravvisarsi nell’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critiche, che è presupposto da essa ed è perciò fuori di essa, bensì di quella determinata interpretazione del fatto. Nell’esercizio del diritto di critica si possono adoperare espressioni di qualsiasi tipo che si risolvano in lesione dell’altrui reputazione, purché siano funzionali alla manifestazione di dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui; non sono, invece, ammessi apprezzamenti negativi che degradino in gratuita aggressione distruttiva della reputazione, discreditando la vita altrui in qualcuna delle sua manifestazioni essenziali (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 novembre 2007, n. 23314). La satira è riproduzione ironica e non cronaca di un fatto; essa esprime un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive ed opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità. Sul piano della continenza il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira, in particolare di quella esercitata in forma grafica, è svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell’espressione. In questo ambito concettuale i giudici della Suprema Corte hanno affermato che la satira, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non va riconosciuta la scriminante di cui all'art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’8 novembre 2007, n. 23314).

SATIRA SÌ, MA… essendo espressione di un diritto inviolabile, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero o forma d’arte, è necessario che rispetti i valori fondamentali della persona, come reputazione e dignità e che non scada nel vilipendio religioso. In altre parole laddove vi sia solo la volontà di offendere gratuitamente e intimamente l’appartenente ad una confessione religiosa e laddove non sia riscontrabile il minimo sforzo artistico concettuale che possa far intravvedere la creazione di un messaggio satirico, in modo da ricondurre le vignette all’articolo 33 della Costituzione o all’articolo 21 della medesima Carta, la satira non potrà che essere illecita poiché il pregiudizio anti religioso è l’unico messaggio che veicola. La loro pubblicazione, in tal caso, integra gli estremi del reato di vilipendio della religione. 

Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite