Qualche settimana fa la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di tornare nuovamente sul dibattuto e attualissimo argomento della risarcibilità dei danni da nascita indesiderata. La problematica coinvolge infatti non solo, come evidenziato nel caso che ho affrontato personalmente di recente avanti al Tribunale di Milano, l’ipotesi di lesione del diritto all’autodeterminazione e alla scelta di una genitorialità libera e consapevole ma anche le ipotesi in cui la gestante, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell’esistenza di malformazioni congenite del feto, perda la possibilità di esercitare il diritto all’aborto. Per la verità nel caso affrontato si è limitata a confermare un recentissimo orientamento della stessa Corte sulla base del quale non si può dare luogo al risarcimento, poiché non vi è prova della lesione di un diritto, se la gestante non ha dimostrato che se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe senza dubbio interrotto la gravidanza, né tale prova può essere desunta dal solo fatto della esistenza della richiesta di essere sottoposta agli esami finalizzati alla verifica dell’esistenza di eventuali anomalie del feto. In altre parole è la donna che deve provare che se avesse saputo delle malformazioni del bambino avrebbe scelto indiscutibilmente di non portare avanti la gravidanza perché ciò avrebbe inciso sulla sua salute psichica. Cerchiamo, dunque, di capire meglio il processo logico che ha indotto a confermare questo principio …