Come promesso, eccomi di nuovo ad esaminare le caratteristiche professionali e i profili giuridici della figura dell’assistente sociale, allo scopo di soddisfare l’esigenza di informazione che alcuni lettori hanno manifestato nelle loro e-mail specialmente con riguardo al tipo di responsabilità che grava su tale professionista e tenendo ben presente il fatto che il soggetto in questione si trova, di fatto, a svolgere la propria attività in una società in divenire estremamente complessa. Come anticipato nel corso del precedente post sull’argomento, il compito primario dell’assistente sociale sostanzialmente si realizza nel creare un collegamento tra il cittadino bisognoso e le istituzioni, intervenendo materialmente in aiuto dell’utente che necessita di sostegno. I Servizi Sociali, all’interno dei quali opera tale figura professionale, infatti, sono stati creati proprio per intervenire laddove sorgano difficoltà nel vissuto esistenziale di una persona o di una comunità. Vediamo, dunque, insieme quali sono i principi etici su cui si fonda il lavoro dell’assistente sociale e quali sono le conseguenze del cattivo operato del profilo in esame.
TRA PROFESSIONE E MISSIONE La professione di assistente sociale, infatti, proprio perché avvicina tra loro le vite degli operatori con quelle di chi necessita di sostegno, si fonda sul riconoscimento del valore fondamentale della dignità dell’essere umano in quanto tale, ragion per la quale è stata avvertita l’esigenza, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, di predisporre un codice deontologico di detta professione, ossia un codice di comportamento contenente le regole etiche cui ispirarsi. Tale codice, infatti, oltre ad essere interamente incentrato sulla responsabilità che grava sulla figura dell’assistente sociale in quanto professionista che opera al servizio delle persone, è altresì un documento vincolante, in quanto riporta per iscritto regole a cui gli assistenti necessariamente devono fare riferimento nell’esercizio del loro lavoro. Il codice è costituito dai principi e dalle regole che gli assistenti sociali devono osservare e far osservare nell’esercizio della professione e che orientano le scelte di comportamento nei diversi livelli di responsabilità in cui operano. Esso, inoltre, si applica agli assistenti sociali ed agli assistenti sociali specialisti, con la conseguenza che la non osservanza di quanto prescritto comporta l’esercizio della potestà disciplinare. Nel titolo II, infatti, vengono elencati i principi cardine cui ispirarsi, imprescindibili e umanamente doverosi.
…E PRINCIPI FONDAMENTALI Tra le regole principali cui si deve necessariamente ispirare l'operato dell'assistente sociale vi sono le seguenti:
1) La professione si fonda sul valore, sulla dignità e sulla unicità di tutte le persone, sul rispetto dei loro diritti universalmente riconosciuti e delle loro qualità originarie, quali libertà, uguaglianza, socialità, solidarietà, partecipazione, nonché sulla affermazione dei principi di giustizia ed equità sociali.
2) La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nel processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione.
3) L’assistente sociale riconosce la centralità della persona in ogni intervento. Considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda, di un bisogno, di un problema come unica e distinta da altre in analoghe situazioni e la colloca entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico culturale che fisico.
4) L’assistente sociale svolge la propria azione professionale senza discriminazione di età, di sesso, di stato civile, di etnia, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione psichica o fisica, o di qualsiasi altra differenza che caratterizzi le persone.
5) Nell’esercizio delle proprie funzioni l’assistente sociale, consapevole delle proprie convinzioni e appartenenze personali, non esprime giudizi di valore sulle persone in base ai loro comportamenti.
6) L’esercizio della professione si basa su fondamenti etici e scientifici, sull’autonomia tecnico professionale, sull’indipendenza di giudizio e sulla scienza e coscienza dell’assistente sociale. L’assistente sociale ha il dovere di difendere la propria autonomia da pressioni e condizionamenti, qualora la situazione la mettesse a rischio.
IL DANNO INGIUSTO VA QUINDI RISARCITO Nella professione in parola, pertanto, proprio in ragione del fatto che la stessa riguarda essenzialmente la gestione e la tutela degli individui, eventuali condotte illecite non possono che rientrare nella previsione di cui all’art. 2043 del codice civile, il quale disponendo che “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, ben si presta a tutelare chi subisce un danno ingiusto in conseguenza di comportamenti illeciti posti in essere da soggetti che sono chiamati a preservare l’integrità sociale e personale delle persone a favore delle quali lavorano.
PAGA LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Inoltre, proprio perché l’assistente sociale svolge la propria attività prevalentemente all’interno di strutture pubbliche, la Pubblica Amministrazione diviene responsabile dell’operato dei propri ausiliari, in quanto, in questo caso, si applica quanto stabilito dal codice civile all’art. 2049: “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. In altre parole, il datore di lavoro, in questo caso, la Pubblica Amministrazione, è chiamato a rispondere dei danni arrecati dai propri dipendenti a titolo di responsabilità per fatto altrui, ovvero nella specie, gli assistenti sociali, connessa al rischio che il datore stesso assume nel momento in cui inserisce dei lavoratori nel proprio organico.
RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE, PENALE E CIVILE Laddove un assistente sociale ponesse in essere una condotta illecita in danno di un soggetto, in particolare un proprio assistito, venendo così meno al dovere di decoro cui è tenuto e ledendo altresì la dignità della professione, magari addirittura abusando della stessa, non solo sarà soggetto a sanzioni disciplinari, stante la violazione del codice deontologico, ma ben potrà rispondere penalmente e personalmente degli eventuali reati commessi (si pensi ad esempio all’abuso della professione, alla violazione del segreto professionale o d’ufficio, all’omissione o al ritardo degli atti d’ufficio). Quanto alle conseguenze civilistiche ovvero risarcitorie per gli illeciti commessi, sarà il preponente ovvero la Pubblica Amministrazione a risponderne in virtù di un criterio di imputazione di tipo oggettivo. Ciò significa che la Pubblica Amministrazione verrà condannata a risarcire il danno commesso colposamente dal proprio preposto, in tal caso l’assistente sociale, tutte le volte in cui sarà dimostrato un rapporto di preposizione che consiste semplicemente nel conferimento di un incarico da parte di un soggetto ad un altro, per svolgere una determinata attività per conto e nell’interesse del primo, all’interno di una relazione non necessariamente contrattuale (così scrive Emanuela Marcoccia nel “Trattato dei nuovi danni” diretto da Paolo Cendon, Volume V, pag. 533, Edizioni Cedam, Anno 2011).
UN ESEMPIO CHE CHIARISCE In ipotesi di necessità grave e urgente i Comuni, in persona del loro sindaco, hanno la facoltà di porre in essere provvedimenti a tutela di soggetti deboli, quali per esempio minori in danno dei quali si ipotizzino situazioni di abuso o maltrattamento. Tali provvedimenti, in genere di allontanamento dal nucleo familiare, vengono assunti sulla base di relazioni redatte ed elaborate appunto dai servizi sociali ovvero dagli assistenti che al loro interno svolgono il proprio operato professionale. È chiaro, dunque, che la responsabilità dei contenuti e delle risultanze trasferiti all’interno di tali relazioni è assai grave e necessita di seri approfondimenti. Laddove, al contrario, gli assunti contenuti in tali elaborati siano frutto di esami sommari e superficiali si corre il rischio di commettere un gravissimo danno proprio nei confronti di quei soggetti che il nostro sistema giuridico mira a tutelare. Nell’ipotesi in cui, dunque, quanto segnalato nelle suddette relazioni si rivelasse, a un esame più attento, infondato si verifica un’ipotesi di chiara responsabilità proprio in capo ai soggetti che hanno preso in carico il caso e lo hanno gestito con poca accortezza. Le conseguenze, come ho evidenziato, potranno essere a seconda dei casi disciplinari, penali o civili singolarmente o addirittura, nelle ipotesi più gravi, la sommatoria di tutti tali aspetti. Il danno più grave resta, tuttavia, privo di qualsiasi congruo ristoro. L’esperienza vissuta in tali circostanze dal minore stravolge l’esistenza e mina nel profondo l’anima di tali soggetti che all’improvviso subiscono l’allontanamento dagli affetti più cari o, nella migliore delle ipotesi, vengono sezionati e sottoposti a percorsi di analisi a volte decisamente logoranti.
Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite