mercoledì 10 giugno 2015

CONDOMINIO: IL VERBALE PUÒ ESSERE CORRETTO DOPO LA CHIUSURA DELL’ASSEMBLEA?


Grazie ad un quesito posto da una lettrice oggi ho voluto cogliere l’occasione per parlare di un argomento che ai più potrebbe sembrare banale rispetto ad altri temi più scottanti che riguardano il condominio ma che, invece, non lo è affatto poiché comporta questioni, pratiche e giuridiche che, se non risolte adeguatamente, potrebbero avere serie ripercussioni sulla validità e legittimità delle delibere e, di conseguenza, sulla vita stessa condominiale. Ci scrive Annalaura da Pisa chiedendoci appunto se la redazione del verbale debba essere contestuale all’assemblea o se, invece, possa essere differita ad un momento successivo. Ci chiede inoltre se è legittimo che in fase di trascrizione del contenuto il verbale stesso venga corretto o, comunque, modificato dopo la chiusura dell’assemblea. Vediamo insieme cosa bisogna sapere per non sbagliare…

IL VERBALE CONTIENE LE DICHIARAZIONI DEI CONDOMINI Le questioni poste dalla lettrice necessitano di una breve premessa. È importante ricordare che il codice civile detta solo una concisa norma relativamente al verbale dell’assemblea condominiale. L’ultimo comma dell’art. 1136, infatti, stabilisce soltanto che “delle riunioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall’amministratore”. Quindi le modifiche introdotte sul punto dalla L. n. 220/2012 riguardano ora direttamente l’oggetto della verbalizzazione (che prima, invece, faceva riferimento alle sole “deliberazioni”) e, indirettamente, lo stesso registro dei verbali delle assemblee. È utile ricordare che curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee rientra tra le attribuzioni dell’amministratore, così come delineate in maniera particolareggiata dal nuovo art. 1130 n. 7) c.c. in cui devono, altresì essere annotate anche “le eventuali mancate costituzioni…nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta”. Con l’entrata in vigore della Riforma del Condominio viene, pertanto, superato il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, avendo il verbale la sola funzione di documentare la valida costituzione dell’assemblea, la formazione ed il contenuto della volontà condominiale espressa attraverso le deliberazioni assunte, non sussisteva alcun obbligo ex lege (e, specularmente, alcun diritto dei condòmini) di vedere riprodotta nel verbale ogni loro osservazione, richiesta o dichiarazione che esulasse dai suddetti contenuti. 

…E TUTTO QUELLO CHE SUCCEDE DURANTE L’ASSEMBLEA In effetti, il contenuto del verbale va necessariamente correlato all’intero iter, al procedere, allo svolgimento della stessa assemblea: il verbale deve, quindi, anche riportare le verifiche preliminari nonché la fase centrale dell’adunanza (discussione e votazione), in quanto il processo di verbalizzazione inizia con la costituzione dell’assemblea e termina con la dichiarazione di chiusura della riunione (detto anche “scioglimento dell’assemblea”). Il verbale costituisce, infatti, il resoconto scritto di tutto quanto è stato fatto e detto durante l’assemblea e corrisponde, grosso modo, al verbale dell’udienza del processo civile di cui agli articoli 126 e 130 del codice di procedura civile. È vero che, nel verbale, è sufficiente che sia indicato il processo formativo della volontà assembleare, specificando nominativamente i condòmini intervenuti, i millesimi rappresentati, gli argomenti trattati e le singole decisioni prese, ma è altrettanto vero che il verbale deve essere una fedele trasposizione per iscritto di ogni momento degno di interesse dell’assemblea condominiale, nel quale vanno annotate non solo le deliberazioni adottate dalla maggioranza ma anche tutti gli accadimenti che si verificano durante la riunione e che sono pertinenti con la stessa (ad esempio, l’indicazione dell’ora di inizio e di fine riunione, l’annotazione che un partecipante presente si allontana, la dichiarazione rivolta dall’amministratore ai condomini, l’intervento personale di un condomino in precedenza rappresentato per delega, ecc.).

IL BROGLIACCIO: UNA PRASSI DA DIMENTICARE! Nonostante il verbale non debba essere “approvato” dall’assemblea, non essendo oggetto di deliberazione e costituendo solo una mera documentazione dell’adunanza, si ritiene, però, deprecabile la prassi di prendere in assemblea soltanto alcuni appunti, riuniti in una sorta di brogliaccio, durante la discussione, per poi, nei giorni seguenti, redigere il verbale della riunione (o addirittura, convalidarlo in una successiva seduta) perché il verbale di assemblea deve essere compilato seduta stante e non successivamente (anche se, poi, compilato dalle persone all’uopo incaricate dalla volontà unanime degli intervenuti alla riunione). Lo stesso verbale, infatti, serve per documentare quanto si è fatto e detto nella riunione, ed una sua redazione successiva potrebbe far sorgere dubbi sulla data stessa, proprio per lo spostamento del giorno della redazione. Agli effetti dell’attuale normativa, peraltro, il termine per l’impugnativa decorre sempre dalla data della riunione per i condomini presenti. Va, però, registrato che è da ritenersi valida la deliberazione di un’assemblea condominiale, anche se il risultato della relativa operazione di voto sia stato riportato poi in un separato foglio allegato verbale a patto che, però, il predetto allegato faccia parte integrante del verbale stesso. Allo stesso modo la mancata indicazione degli intervenuti e dei millesimi da essi rappresentati può essere sanata (e quindi non impugnabile) quando lo stesso verbale sia integrato da un foglio allegato nel quale sia stata debitamente presa nota degli intervenuti e dei rispettivi millesimi; detto allegato, tuttavia, deve essere, al pari del verbale, sottoscritto dal Presidente e dal Segretario. 

LA FUNZIONE PROBATORIA DEL VERBALE Come ho ricordato, l’ultimo comma dell’art. 1136 adopera l’espressione (poco categorica) “si redige”, e non quella (più vincolante) “deve redigersi”: in pratica, il verbale non è imposto, né viene sanzionata la sua mancanza. L’art. 2375 del codice civile, per le società commerciali, prevede invece che “le deliberazioni dell’assemblea devono constare da verbale”, per un’evidente certezza della volontà sociale. A causa, dunque, del tenore letterale della norma ci si domanda se la verbalizzazione sia un requisito di validità delle deliberazioni, oppure se l’atto scritto sia richiesto ai soli fini della prova dell’esistenza della relativa decisione assembleare. In altri termini si tratta di chiarire se il verbale assolva una funzione costitutiva, essendo elemento essenziale del procedimento di formazione della volontà collettiva, oppure abbia una funzione meramente probatoria, essendo prescritto per ragioni di opportunità affinché il contenuto della deliberazione resti fissato in modo irrevocabile e rappresenti la prova attendibile dello svolgimento dei fatti avvenuti in assemblea. La giurisprudenza da sempre è orientata, sia pure con qualche diversa sfumatura, in quest’ultimo senso. Invero, ritiene che la redazione per iscritto non sia prescritta a pena di nullità (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 16 luglio 1980, n. 4615; Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 3 aprile 1970, n. 882), essendo richiesta solo ad probationem, in quanto la mancanza del processo verbale rende la deliberazione non opponibile al condomino assente, che non abbia partecipato alla sua elaborazione ed alla sua approvazione, ma non impedisce affatto la conoscenza tramite una modalità diversa e l’esecuzione della deliberazione anche da parte sua. La forma scritta è, invece, da reputarsi necessaria nel caso in cui la deliberazione incida su diritti immobiliari, per cui sarebbe richiesta ad substantiam (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 17 luglio 2006, n. 16228). 

VERBALIZZAZIONE = DIRITTI E DOVERI È ovvio che se la deliberazione sia eseguita senza contestazioni da tutti (amministratore e condòmini) la stessa dovrà essere considerata valida tra gli stessi, e ciò potrà avvenire nel caso di decisioni semplici, vale a dire che non incidano in modo rilevante sulla sfera dei singoli, oppure immediate, ovvero destinate ad esaurire la propria efficacia in breve tempo. Ciò, tuttavia, non toglie che soltanto con la verbalizzazione le deliberazioni assembleari possono acquisire certezza giuridica, obbligando l’amministratore ad eseguirle, consentendo agli assenti in un breve termine di decadenza di impugnarle nel caso di eventuali invalidità, e prevenendo possibili contrasti tra i singoli partecipanti in ordine alla gestione condominiale. L’opportunità di tale redazione si coglie anche nella necessità di evitare alcune manovre ostruzionistiche che potrebbero verificarsi al fine di distruggere l’effetto giuridico di una decisione non gradita. In verità la mancanza di un processo verbale dà luogo inevitabilmente ad una situazione di incertezza, che spesso si riflette sulla ricostruzione dell’espressione della volontà assembleare (si pensi alla questione se era stato dato mandato all’amministratore di acquistare una nuova caldaia per l’impianto di riscaldamento centralizzato, oppure se si era dato semplicemente l’incarico allo stesso di acquisire le offerte da sottoporre successivamente all’approvazione dell’assemblea). La non verbalizzazione, tuttavia, rappresenta un’ipotesi meramente teorica da relegarsi ai casi di scuola ma assai rara nella prassi. Del resto, il fatto che l’art. 1136, ultimo comma, del codice civile prescriva la trascrizione della deliberazione nel registro tenuto dall’amministratore implica che le decisioni siano prese per iscritto non potendo all’evidenza trascriversi un atto non scritto!

DOCUMENTO INFORMATICO: IPOTESI PER IL FUTURO? Secondo quanto si detto si può affermare che, con l’avanzare della digitalizzazione, in ogni ambito della vita sociale e privata delle persone, in un futuro assai prossimo si potrà legittimamente redigere il processo verbale dell’assemblea, in alternativa al cartaceo, utilizzando lo strumento del documento informatico, a condizione tuttavia che venga sottoscritto dal presidente e dal segretario con le loro firme elettroniche, avanzate o digitali. Voglio, tuttavia, precisare che per documento informatico non deve intendersi solo il documento redatto tramite il computer, potendo essere un file video o audio, costituendo, infatti, il suddetto documento “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (art. 1, comma 1, decreto legislativo n. 82/2005). In questa prospettiva, le riunioni condominiali potrebbero essere registrate in formato video o audio, a condizione che siano apposte sul file digitale le firme elettroniche del presidente e del segretario. Tuttavia, per questioni di privacy sarebbe meglio ottenere il previo consenso al relativo trattamento dei dati personali da parte dei presenti (condomini o loro delegati) alla riunione, a meno che un’apposita disposizione del regolamento legittimi tale modalità di registrazione, ipotesi questa assai remota posto che la quasi totalità dei regolamenti è datata ed anche quelli attuali non prevedono di norma questa modalità. In proposito, il recente vademecum emanato dal Garante della Privacy in data 10 ottobre 2013 puntualizza che “l’assemblea condominiale può essere videoregistrata, ma solo con il consenso informato di tutti i partecipanti” aggiungendo che “la documentazione, su qualsiasi supporto, deve essere conservata al riparo da accessi indebiti”. Il file, sottoscritto digitalmente, avrebbe in tal modo l’efficacia della scrittura privata come il processo verbale di tipo cartaceo, con il vantaggio di ridurre i tempi di redazione del relativo documento e di evitare i rischi di un’errata o infedele trascrizione del medesimo documento. Non si nasconde, però, che potrebbero verificarsi problemi pratici nell’eventualità che il processo verbale assembleare rappresentato dal documento informatico debba essere esibito a terzi, ad esempio all’autorità giudiziaria per dimostrare il contenuto di una deliberazione adottata in quella riunione o all’istituto bancario per provare l’autorizzazione all’amministrazione ad aprire il conto corrente. 

CONSIGLI PER UNA PROCEDURA SNELLA Parafrasando il titolo di un celeberrimo film di Charlie Chaplin del 1936 possiamo affermare che i tempi moderni già ci aiutano e non poco. Infatti, è sempre più diffusa, tra gli amministratori che strizzano l’occhio alla tecnologia (tra cui il sottoscritto), la prassi di adottare una procedura di redazione di trascrizione del processo verbale non solo più snella di quella tradizionale ma anche più aderente alle esigenze di certezza e trasparenza. Basta dotarsi di un computer portatile e di una piccola stampante anch’essa portatile redigendo e trascrivendo il verbale “seduta stante”. Il segretario al posto di scrivere sul libro verbali o su dei fogli che andranno a loro volta trascritti (talvolta entrambi pieni di abrasioni o correzioni con il rischio di commettere errori o inesattezze) redigerà il processo verbale direttamente su pc. Il presidente dell’adunanza, poi, leggerà direttamente ai presenti quanto scritto per ogni singolo punto posto all’ordine del giorno in modo tale che potranno essere sin da subito introdotte integrazioni, precisazioni o correzioni di errori e, alla fine della seduta il verbale, approvato dai condomini nella sua versione definitiva ed originale, verrà immanentemente stampato e controfirmato dal segretario e dal presidente e sarà proprio questo medesimo documento ad essere inviato a tutti e sopratutto agli assenti i quali avranno la certezza che il verbale rappresenta fedelmente quanto avvenuto durante l’assemblea. 

IL VERBALE PUÒ ESSERE MODIFICATO DOPO L’ASSEMBLEA? Per rispondere esaustivamente alla nostra lettrice di Pisa occorre richiamare una recente sentenza della Suprema Corte (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 31 marzo 2015, n. 6552) che ha risolto proprio la questione relativa alle tempistiche di redazione chiusura e correzione del verbale di assemblea. Il caso affrontato dai giudici ha riguardato due condòmini che avevano impugnato una delibera condominiale sia per assunti vizi relativi alla sua verbalizzazione, la quale era stata modificata in alcune indicazioni riguardanti la presenza e l’assenza di altri condòmini, successivamente alla chiusura dell’assemblea stessa, sia per la legittimità riguardante la delibera concernente alcuni lavori. In primo grado i due condòmini erano riusciti parzialmente ad essere vittoriosi, mentre i giudici di seconde cure, decidendo sull’appello del Condominio, hanno sostanzialmente rigettato la domanda di annullamento della delibera. La Suprema Corte ha poi confermato la legittimità di tale decisione.

SI PUÒ CORREGGERE L’ERRORE SE NON SI TOCCA IL QUORUM La sentenza selezionata è particolarmente interessante perché evidenzia entro quali limiti e a quali condizioni il verbale di assemblea condominiale può essere modificato a seguito dell’esaurimento delle operazioni assembleari, statuendo, in concreto, che la correzione apportata nella copia del verbale assembleare consegnata ai due ricorrenti non inficiava la validità della deliberazione assunta per la quale, eliminato l’errore materiale del computo dei millesimi e tenuto conto dell’effettiva partecipazione dei condomini presenti (anche per delega), era stato raggiunto il quorum necessario. A tale proposito la Suprema Corte ha richiamato i principi espressi dalla precedente giurisprudenza secondo cui, in via generale, il verbale dell’assemblea condominiale rappresenta la descrizione di quanto è avvenuto in una determinata riunione e da esso devono risultare tutte le condizioni di validità della deliberazione, senza incertezze o dubbi, non essendo consentito fare ricorso a presunzioni per colmarne le lacune. Esso deve, pertanto, contenere l’elenco nominativo dei partecipanti intervenuti di persona o per delega, indicando i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, con i rispettivi valori millesimali, perché tale individuazione è indispensabile per la verifica della esistenza dei quorum prescritti dall’art. 1136 del codice civile. Tuttavia, con tale decisione, la Corte di legittimità ha stabilito che eventuali interventi correttivi meramente materiali apportati al verbale successivamente alla chiusura dell’assemblea su disposizione del Presidente e con l’esecuzione da parte del Segretario non comportano l’invalidità della relativa delibera allorquando le rettificazioni, comunque controllabili successivamente, non abbiano inciso significativamente sul computo della maggioranza richiesta per l’assunzione della delibera stessa, nel senso che non l’abbiano, in ogni caso, fatta venir meno.

LE DELIBERE ADOTTATE DOPO LA CHIUSURA SONO NULLE È opportuno, tuttavia, precisare che, in tema di condominio di edifici, deve invece considerarsi nulla la deliberazione assembleare che sia stata adottata dopo lo scioglimento dell’assemblea stessa e l’allontanamento di alcuni condomini, a seguito di riapertura del verbale non preceduta da una nuova rituale convocazione a norma dell’art. 66 delle disposizioni di attuazione al codice civile, risultando violate sia le disposizioni sulla convocazione dell’assemblea sia il principio della collegialità della deliberazione. 


Dottor Massimo Botti – Studio Comite