Anche questa mattina, come di consueto, ho controllato la mia casella di posta elettronica e come spesso accade ho trovato un gran numero di mail ricevute. Purtroppo, non si trattava di messaggi provenienti da mittenti conosciuti ma solamente comunicazioni commerciali di svariati siti internet. È evidente ormai, come attraverso l’utilizzo dei social network e più in generale di internet, la circolazione dei nostri dati sensibili, in primis tra tutti il nostro indirizzo di posta elettronica, sia resa molto più facile e veloce. Quante volte ad esempio ci è capitato di dover inserire tutti i nostri dati per completare l’iscrizione ad un sito in maniera tale da permetterci un acquisto on-line? E quante volte senza troppa attenzione diamo il consenso alla cessione dei nostri dati per finalità commerciali? Difendersi dagli abusi commessi dai gestori di questi siti che, anche senza la nostra espressa autorizzazione, utilizzano i dati raccolti è un’esigenza ormai attualissima. La domanda sorge spontanea: ma colui che quotidianamente constata con disappunto la presenza di decine e decine di mail pubblicitarie ed è costretto ad adoperarsi per cancellarle con certosina pazienza, non ha diritto ad un risarcimento da chi fraudolentemente le invia? Insomma chi effettua spam elettronico non sta creando un danno a quegli utenti che ricevono le comunicazioni non richieste? È superfluo dire che a tutti parrebbe logico e automatico rispondere in modo affermativo, ma a quanto pare il Tribunale di Perugia non sembra pensarla allo stesso modo…
È NECESSARIO PROVARE IN MANIERA CONCRETA IL DANNO SUBITO Il Tribunale di Perugia in una sua recentissima pronuncia, ha messo i bastoni tra le ruote a tutti quelli che pensavano fosse pacifico ottenere un risarcimento dal gestore di un sito che invii mail di spam. Per il giudice, infatti, non sembra essere sufficiente il solo fatto che sia stata violata la privacy dell’utente in questione, avendo inviato una o più mail senza che fosse acquisito il consenso dello stesso, cosi come previsto dalla legge (art. 15 e 130 del codice della privacy); non basta inoltre che si sia sprecato del tempo per fare pulizia delle comunicazioni non richieste! Per il giudice è necessario che venga provato in concreto il danno patrimoniale subito, attraverso la prova di aver patito “un pregiudizio economicamente valutabile e apprezzabile”, non solo potenziale o possibile ma “connesso all’illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità”. (Tribunale di Perugia, Sezione I, Sentenza del 24 febbraio 2015, Giudice Ilenia Miccichè, nella causa avente R.G. 980 del 2011).
TUTELA? SI FA PER DIRE! Viene spontaneo chiedersi di quale ulteriore prova concreta si è alla ricerca essendo già abbastanza manifesta la perdita di tempo consequenziale alla necessità di dover selezionare e cancellare quotidianamente tutte quelle mail ricevute senza che ne sia stato autorizzato l’invio. Inoltre, non è stata riconosciuta nemmeno l’esistenza di danni esistenziali e non patrimoniali, dovuti dallo stress di dover continuamente ricevere e gestire l’ingente mole di posta indesiderata. Questo danno sarebbe risarcibile solamente nel caso di “lesione di specifici valori della persona integranti diritti costituzionalmente tutelati e, dunque, inviolabili”, non quindi solamente per fastidi, ansie o disappunti di vario genere (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza dell’11 novembre 2008, n. 26972). Non mi resta, dunque, che constatare come una pronuncia di questo tipo non possa far altro che legittimare sempre di più questa illecita attività invece che ostacolarla, rendendola di fatto priva di conseguenze risarcitorie a favore del danneggiato ed a carico di colui che la ponga in essere. Se non vengono risarciti i danni da spamming, come potremo tutelarci in futuro da questo fenomeno?
NON BASTA RICONOSCERE L’ESISTENZA DELL’ILLECITO Il fatto che diversi magistrati abbiano riconosciuto la commissione della pratica illecita dello spamming, quale pratica di marketing attuata in violazione delle norme che tutelano il trattamento dei dati personali, e magari confermato le sanzioni applicate dall’autorità amministrativa, vale a dire dal Garante della privacy su segnalazione degli interessati, non basta a tutelare appieno i danneggiati, ovvero coloro che subiscano la lesione del diritto, riconosciuto dall’ordinamento giuridico, al trattamento dei dati personali (tra questi Tribunale civile di Milano, Sezione I, Sentenza del 5 giugno 2013, Giudice dott.ssa Loretta Dorigo, nella causa avente R.G. 36592/2012; Tribunale civile di Roma, Sezione I, Sentenza del 12 aprile 2012, nella causa avente R.G. 85425/2009). Bisognerebbe, infatti, tenere a mente ciò il codice della privacy (Decreto Legislativo n. 196/2003) dispone all’art. 15 il quale in modo molto chiaro stabilisce che “chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c...”. In pratica il rimando all’art. 2050 del codice civile significa che il trattamento dei dati personali viene considerata attività pericolosa. Il titolare del trattamento è, dunque, responsabile dei danni (patrimoniali e non patrimoniali) causati nello svolgimento di tale attività, a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
LO SPAMMING TELEFONICO È RISARCIBILE Non era certo facile immaginare un tale epilogo considerando come lo “spamming” questa volta “telefonico” (relativo perciò anche agli sms), era stato considerato idoneo a creare ansie, stress e disagi. Secondo il Giudice di Pace partenopeo, infatti, lo “spamming telefonico”, oltre a violare e disturbare la serenità, la privacy e la tranquillità dell’utente, provoca fastidi, danni e disagi, nonché continue distrazioni, stress ed ansie. I messaggi sms, quotidianamente inviati, anche più volte al giorno, propongono notizie e contenuti inutili, speculativi, promozionali, ripetitivi e fastidiosi, atti solo a disturbare e innervosire notevolmente l’utente, usurpando il suo tempo e causandogli seri danni personali, patrimoniali, esistenziali e da perdita di “chance”. Il danneggiato matura così un indiscutibile diritto al risarcimento di tutti danni subiti, personali e patrimoniali, anche a causa dell’intasamento della memoria del telefono cellulare che non permette di ricevere importanti sms relativi alla propria vita sociale (Giudice di pace di Napoli, Sentenza del 29 settembre 2005, reperibile in Corriere del Merito, 2006, 2, 169 nota di VITI). In tale circostanza è stato, dunque, riconosciuto, il risarcimento, pur simbolico, di 1.000 euro. In altra ed analoga circostanza il magistrato ha, invece, condannato lo spammer in modo decisamente più pesante, liquidando l’importo di euro 1.000 per ogni messaggio telefonico illegittimamente inviato (Tribunale di Latina, Sezione di Terracina, Sentenza del 19 giugno 2006, n. 252).
E ANCHE QUELLO VIA TELEFAX Più recentemente il Tribunale meneghino in un giudizio che traeva origine dall’illegittimo spamming attuato attraverso l’invio reiterato di fax con offerte commerciali ai numeri telefonici collegati alle utenze della vittima, nonostante non vi fosse stata alcuna preventiva autorizzazione ma anche dopo l’espressa opposizione, manifestata con diffida, ha dichiarato l’illegittimità della condotta ai sensi di quanto previsto dall’art. 15 del Decreto Legislativo n. 196/2003 ed avuto riguardo all’art. 130, comma 1 e 2, del medesimo codice della privacy. Ciò in aderenza e attuazione di quanto stabilito dall’art. 13 della direttiva 2002/58/CE che presuppone, quanto all’invio di materiale pubblicitario, di vendita diretta, di compimento di ricerca di mercato, di comunicazioni commerciali, la necessità del preventivo consenso del destinatario (modello opt-in). Ha quindi condannato lo spammer, anche in virtù del rimando all’art. 2050 del codice civile, al risarcimento dei danni non patrimoniali che la vittima aveva lamentato in relazione al disagio subito all’atto del ricevimento indesiderato dei fax, su utenze telefoniche utilizzate anche a fini professionali ed in orari lavorativi, liquidando in via equitativa, secondo il disposto dell’art. 1226 del codice civile, la somma di euro 3.000, mentre nulla è stato riconosciuto in ordine al danno patrimoniale essendo privo di riscontri probatori e di nesso causale con riguardo alla lamentata perdita di chance (Tribunale di Milano, Sezione I, Sentenza del 15 novembre 2010, Giudice dott. Serena Baccolini).
L’INVIO DI COMUNICAZIONI SENZA RICHIEDERE IL CONSENSO È REATO La conclusione a cui il giudice è giunto risulta essere ancora più oscura se teniamo presente che l’art. 167 del Decreto Legislativo n. 196 del 2003 prevede il reato di trattamento illecito dei dati personali. Sappiamo che il legislatore utilizza solo come estrema ratio la sanzione penale al fine di tutelare quei diritti che non potrebbero essere tutelati in altra maniera, elevando quindi a diritto inviolabile quello alla privacy ed alla tutela dei dati sensibili. Detto ciò come è possibile sostenere che colui che subisce spamming non riceve alcun danno se addirittura è stata creata una norma penale a sua tutela? E ciò senza considerare che, nel caso fosse accertata la commissione di un reato, il risarcimento sarebbe dovuto per il solo fatto di essere stato vittima dell’illecito. Insomma una sentenza che non convince affatto o quantomeno non sembra rendere giustizia alle tante vittime di questo fenomeno.
Dottor Michael Frasca - Studio Comite