La malattia è un fatto tragico nella vita di un essere umano, comporta limiti, sofferenze e mutamenti importanti del vivere quotidiano. Quando ciò accade a uno dei coniugi, il “vincolo solidaristico” che discende dal matrimonio comporta, tra gli altri, anche il dovere di assistenza che diviene più pregnante proprio nei momenti di grave difficoltà. Se è pur vero, infatti, che l’obbligo di assistenza si estende a tutte le esigenze di vita dell’altro coniuge e quindi non va e non può essere circoscritto alle esigenze essenziali nel caso di estremo bisogno, è altresì vero che nell’ipotesi di malattia, intendendosi con ciò non solo quella che colpisce il fisico ma anche quella psichica, tale dovere assume connotati più importanti. E allora, l’amore, la stima, il conforto che in condizioni normali i coniugi reciprocamente si scambiano, si moltiplicano e si amplificano nel momento di maggior vulnerabilità. E’ per tale motivo che i giudici, nell’interpretazione del dettato normativo, assumono decisioni piuttosto severe e significative nei confronti di tutti coloro che violano tale dovere, stabilendo, a carico di questi ultimi, non solo la responsabilità della fine del vincolo coniugale ma anche il risarcimento del danno per l’illecito commesso all’interno della famiglia. Sul punto la norma all’art. 143 del codice civile, nominato “Diritti e doveri reciproci dei coniugi”, dice che…
MATRIMONIO: DIRITTI E DOVERI “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. La violazione dell’obbligo di assistenza morale e materiale, in particolare, non solo legittima una richiesta di separazione con dichiarazione di “addebito” a carico del coniuge, inadempiente a tale dovere, ma la condotta in questione rappresenta, altresì, la violazione di una norma penale e integra, pertanto, una fattispecie di reato. L’ipotesi di cui si discute è disciplinata dall’art. 570 del codice penale il quale rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare” stabilisce che “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma. Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge”.
E’ UNA PROMESSA Quanto si recita durante la celebrazione del matrimonio concordatario altro non è che l’esplicazione di quel dovere, legislativamente sancito, e poc’anzi citato. Con la formula “… prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita …”, si conferma, infatti, il vincolo solidaristico tra coniugi che discende dal matrimonio e che consiste in ogni forma di aiuto reciproco ovvero nel sostegno morale, materiale, fisico e intellettuale.
E QUINDI I GIUDICI della Suprema corte hanno recentemente stabilito che andava confermata la sentenza dei colleghi del merito, in quanto coerente, rispettosa del dettato legislativo e conforme alle prove acquisite, che disponeva l’addebito della separazione in capo al marito per aver tenuto un comportamento arrogante e sprezzante nei confronti della moglie, affetta da sclerosi multipla di grado avanzato, e che, per di più, aveva lasciato la casa familiare per instaurare una relazione di convivenza con la collaboratrice domestica di famiglia. Nella stessa decisione gli ermellini confermano inoltre la correttezza di quanto disposto dai giudici degli altri gradi in ordine all’assegno di mantenimento, posto a carico del marito nella misura di euro 1.500, sino a quando la consorte inferma avesse vissuto nell’abitazione adibita a residenza familiare e aumentato a euro 3.000 successivamente al rilascio della stessa (Cassazione civile Sezione I, Sentenza del 18 gennaio 2013, n. 1239). Ancora più recentemente gli ermellini hanno confermato il contenuto della sentenza emessa dai giudici della Corte d’Appello di Perugia, i quali avevano ritenuto che il dovere reciproco di accudimento tra coniugi non cessi neppure nel caso di sopraggiunta infermità psichica che abbia colpito uno di essi ritenendo, quindi, non giustificato l’allontanamento dalla casa familiare per un addotta intollerabilità della convivenza; al contrario la sopravvenuta infermità psichica impone un dovere di sostegno e assistenza maggiormente intenso e attento (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 16 ottobre 2013, n. 23443).
SE NON MANTIENI LA PROMESSA DEVI RISARCIRE Significativa appare inoltre la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli la quale evidenzia che i doveri che derivano dal matrimonio e che fanno capo a entrambi i coniugi non sono di carattere esclusivamente morale ma hanno natura giuridica così come facilmente si desume dall’esame dell’art. 143 del codice civile, che fa espresso riferimento alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto, e dall’esplicito riconoscimento contenuto nell’art. 160 del codice civile circa la loro inderogabilità. Poiché, inoltre, l’ordinamento giuridico fa derivare conseguenze in relazione alla loro violazione, i giudici partenopei, giustamente, hanno ritenuto che l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo e, pertanto, la violazione di detti doveri non solo genera le sanzioni tipiche del diritto di famiglia, quali appunto il citato addebito della separazione, ma altresì tutte le conseguenze proprie dell’illecito civile e dunque anche il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che ne siano derivati. Ciò significa che la violazione dei doveri di solidarietà e assistenza familiare, attraverso una condotta volontaria e consapevole, nei confronti del coniuge infermo genera una responsabilità da cui consegue la legittimazione alla richiesta risarcitoria ai sensi di quanto dispongono sia l’art. 2043 e sia l’art. 2059 del codice civile. Nella specie dunque i giudici, in parziale riforma della decisione assunta dal collega di prime cure, stabilivano che il prolungato abbandono della moglie, in gravissime condizioni di salute, da parte del marito, presentasse profili di particolare disvalore che avevano procurato un ingiusto e grave turbamento alla moglie stessa, poi deceduta, da cui consegue la sussistenza di danni morali liquidati, agli eredi, nell’importo di euro trentamila oltre che di un danno patrimoniale quantificato in euro settemila (Appello Napoli, Sentenza del 18 luglio 2013, nella causa civile iscritta al n. 353\13 del ruolo generale).