L’argomento era già stato affrontato in un post precedente ma, visto il susseguirsi di sentenze accompagnato da domande che frequentemente mi vengono poste, vale la pena tornarci sopra per sottolineare alcuni importanti principi che ancora di recente sono stati ribaditi dai giudici della Suprema Corte. In questo post affronterò, dunque, nuovamente il tema del valore probatorio della Constatazione Amichevole di Incidente, vale a dire C.A.I., o modulo C.I.D., che sta per Convenzione Indennizzo Diretto, o ancora modulo blu. Con diverse denominazione si fa quindi riferimento allo stesso modulo che, in occasione dei sinistri stradali, viene compilato dai conducenti coinvolti; operazione che necessita, come più volte sottolineato, di calma e attenzione. Lo spunto per tornare sulla questione mi è stato, fornito da una recente sentenza della Suprema Corte che ha sottolineato cosa accade quando i compilatori, poco accorti, forniscono dati sbagliati. In questi casi l’assicurazione darà seguito alle richieste di risarcimento?...
UNA BUONA SCUSA PER RIFIUTARE IL PAGAMENTO Le imprese di assicurazione, ormai note per la loro scarsa generosità, purtroppo approfittano immediatamente per evidenziare le contraddizioni che emergono dal grafico o dai dati indicati nelle parti che necessitano di dettagliata compilazione per rifiutarsi di procedere al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che derivano dal sinistro, evidenziando che l’erronea compilazione lascia presumere che l’evento indicato non sia vero o che si sia verificato con modalità differenti. Può capitare, infatti, che i conducenti coinvolti, a causa dello shock subito o per la fretta di uno, indichino per esempio un luogo diverso da quello ove l’incidente si è effettivamente verificato o una data sbagliata o, ancora, un numero di targa differente, rispetto a quello cui fa riferimento la polizza segnalata. Insomma può accadere che gli sfortunati automobilisti, dopo la sventura dello scontro, inciampino pure nel classico errore di scrittura, detto pure errore materiale di compilazione e meglio noto, tra gli amici latinisti, come lapsus calami.
RIBADIAMO UN PRINCIPIO ORMAI CONSOLIDATO A questo punto è bene ricordare quale sia l’orientamento, ormai costante, della giurisprudenza in relazione alle dichiarazioni confessorie contenute nel modulo di Constatazione Amichevole di Incidente. Secondo i giudici, sia di merito che di legittimità, la dichiarazione confessoria, contenuta in tale modulo, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma del codice civile (citandone solo alcune tra le tante: Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 22 maggio 2014, n. 11368; Cassazione civile, Sezione VI, Sottosezione 3, Ordinanza del 19 febbraio 2014, n. 3875; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 28 novembre 2013, n. 26693; Cassazione civile,
Sezioni Unite, Sentenza del 5 maggio 2006, n. 10311).
IL GIUDICE VALUTA LIBERAMENTE Sulla base di tale principio ribadito in moltissime occasioni, parzialmente citate, i giudici hanno confermato che laddove il contenuto delle dichiarazioni confessorie inserite nella Constatazione Amichevole di Incidente, riguardi solo alcune delle parti interessate (confitente e danneggiato) dall’azione risarcitoria, il giudice, chiamato a decidere, valuterà liberamente la portata di tali dichiarazioni con riguardo agli altri soggetti rimasti estranei alla compilazione del modulo C.I.D.: in particolare l’impresa di assicurazione, non vincolata dalle dichiarazioni contenute nel C.I.D., avrà facoltà di dimostrare, anche contro il proprio assicurato, attraverso altri elementi probatori, che i fatti descritti nella C.A.I., cui è rimasta estranea, non si sono svolti secondo le modalità descritte (sia dal danneggiato sia dal confitente danneggiante o, anche, assicurato) e, quindi, che non vi è coerenza e compatibilità tra tali dichiarazioni e i danni lamentati dal danneggiato o dai danneggiati. E’ chiaro che laddove tali ulteriori elementi probatori non siano sufficientemente convincenti, prevarrà la ricostruzione del sinistro che emerge dalla descrizione operata dalle parti firmatarie del modulo blu.
MA LA CASSAZIONE È A FAVORE DELL’ASSICURATO Una volta ricordato il principio in base al quale il contenuto della C.A.I. viene liberamente apprezzato dal giudice e quindi che il valore probatorio della stessa non è assoluto e non assurge al rango di piena prova, principio che sembrerebbe agevolare le imprese di assicurazione rimaste estranee alla redazione, la Cassazione, in una decisione di qualche giorno fa, si è affrettata a precisare che l’errore materiale commesso nella compilazione del modulo C.I.D. non rende nullo il contenuto del medesimo; la C.A.I. continuerà ad avere lo stesso valore e quindi verrà liberamente apprezzata, ma il lapsus calami sarà irrilevante. L’assicurazione dovrà dunque corrispondere il risarcimento, nella misura determinata dal giudice, tutte le volte che, pur in presenza di un errore materiale di compilazione, quale per esempio l’errata indicazione della strada ove è avvenuto l’incidente, non riesca a dimostrare che il sinistro si sia verificato secondo modalità diverse o che i danni lamentati siano incompatibili con la dinamica descritta nel modulo (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 22 maggio 2014, n. 11368).
UNA PRECISAZIONE CHE CREA UN DETERRENTE La precisazione non è di poco conto poiché costituisce un deterrente per tutte le imprese che per il tramite dei propri liquidatori, ovvero degli addetti alla gestione dei sinistri, tentano di rigettare le richieste risarcitorie sulla base di pretesti del tutto irrilevanti. L’errore topografico non è, dunque, di per sé, decisivo e, pertanto, in assenza di ulteriori contestazioni, il fatto descritto nel modulo, che ha determinato il danno, dovrà essere considerato certo e l’assicurazione dovrà provvedere a versare al danneggiato il risarcimento dei danni patiti.
Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite
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