Qualcuno di Voi avrà già letto la notizia su alcune riviste di informazione cui ho voluto trasmettere la sentenza, la n. 3477 pubblicata il 12 marzo 2014, affinché fosse resa nota e soprattutto venisse diffuso, non solo tra gli operatori del diritto, il principio giuridico sul quale ho ritenuto di fondare la domanda, poi accolta, sebbene parzialmente, di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti da un uomo e una donna che, avendo consapevolmente scelto, per motivi strettamente personali, insindacabili e comunque gravi, di non essere genitori, si sono rivolti al medico curante per ottenere la prescrizione di un farmaco anticoncezionale. Il medico, tuttavia, sbagliando clamorosamente, in luogo del farmaco anticoncezionale richiesto dall’assistita, prescriveva un modulatore ormonale in menopausa. La donna, giovane e fertile, com’era prevedibile, è rimasta incinta e successivamente ha messo al mondo un bimbo sano. Il giudice meneghino cui è stata assegnata la causa ha, quindi, ritenuto di riconoscere il risarcimento del danno per lesione del diritto all’autodeterminazione commisurandolo a quanto necessario a mantenere il nascituro. Più nel dettaglio …
LA DOMANDA È FONDATA La dott.ssa Anna Cattaneo, cui si deve il merito della decisione in parola, ha dichiarato fondata la domanda di risarcimento in quanto è risultato assodato:1) che il medico prescrivente fosse il curante; 2) altrettanto pacifica la circostanza per la quale il generalista avesse prescritto un modulatore ormonale in menopausa in luogo del cerotto transdermico anticoncezionale, come dallo stesso, peraltro, ammesso adducendo a giustificazione che la paziente avesse richiesto una cura per la dismenorrea, ovvero irregolarità del ciclo, e non un farmaco inibitore del concepimento; 3) è risultato pacifico che il farmaco prescritto non era un anticoncezionale così come indicato nel bugiardino e nelle certificazioni mediche prodotte; 4) le testimonianze attraverso cui è emerso che la paziente aveva richiesto un farmaco anticoncezionale, ovvero il cerotto transdermico, sono risultate attendibili; 5) il medico non ha affatto provato l’irregolarità del ciclo addotta e, anzi, la stessa è stata smentita dall’istruttoria orale; 6) l’inadempimento del medico è stato provato con certezza in quanto lo stesso ha prescritto, contrariamente a quanto richiesto dalla paziente per scongiurare il pericolo di una gravidanza indesiderata, un farmaco certamente non contraccettivo.
DI CHE NATURA È LA RESPONSABILITA’ DEL MEDICO? Il decidente, dunque, subito dopo l’elencazione dei motivi per i quali ha ritenuto fondata la domanda ha evidenziato, correttamente, che la natura di tale responsabilità è indubbiamente contrattuale sia che la si ricolleghi alla conclusione di un contratto di prestazione d’opera professionale tra paziente e medico di base, sia che si faccia riferimento alla teoria del contatto sociale elaborata dalla giurisprudenza (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 12 settembre 2013, n.20904; Cassazione Sezioni Unite, Sentenza 11 gennaio 2008, n. 577; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 19 aprile 2006, n. 9085; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 29 settembre 2004, n. 19564; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 21 giugno 2004, n. 11488; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 22 gennaio 1999, n.589). In ogni caso, infatti, sorge in capo al medico o un obbligo di prestazione, oppure obblighi di protezione della persona che con lui è entrata in relazione, la cui violazione porta il medico a rispondere del proprio operato in base all’art. 1218 del codice civile. Da ciò deriva che il danneggiato, da un punto di vista processuale risulta avvantaggiato sia con riguardo all’onere della prova, che incombe sul professionista per il principio della vicinanza alla fonte di prova, sia in relazione ai termini prescrizionali (dieci anni). E’ risultata, pertanto, certa la responsabilità contrattuale del medico di base per grave negligenza o grave imperizia, avendo clamorosamente sbagliato la prescrizione di un anticoncezionale per la quale non erano certo necessarie particolari competenze tecnico scientifiche. Negligenza e imperizia che hanno indotto il curante a prescrivere ad una donna perfettamente sana, fertile, senza alcuna problematica di irregolarità del ciclo mestruale, di anni trentadue, un farmaco per la terapia sostitutiva ormonale in menopausa per deficienza estrogenica; non solo, quindi, inefficace all’inibizione del concepimento ma potenzialmente persino dannoso vista l’età della paziente
C’È NESSO CAUSALE TRA COLPA DEL MEDICO E LA GRAVIDANZA NON VOLUTA Questo è quanto evidenzia la dott.ssa Cattaneo, poiché non vi è motivo di dubitare che la paziente, qualora le fosse stato prescritto il farmaco corretto, lo avrebbe assunto e, quindi, la gravidanza sarebbe stata scongiurata.
MA NON IL CONCORSO DI COLPA DELLA PAZIENTE Infatti, non si può esigere che quest’ultima verifichi la prescrizione effettuata dal medico sia che abbia le competenze scientifiche sia che non le abbia. La precisazione appare, peraltro, a parere della sottoscritta, assolutamente coerente con quanto stabilito da una sentenza piuttosto recente della Suprema Corte in base alla quale ciò che prevale è l’affidamento del paziente sulle capacità tecniche del professionista anche, paradossalmente, nell’ipotesi in cui il paziente sia anch’egli medico (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 27 novembre 2012, n. 20984).
IL DANNO ESISTE E VA RISARCITO PERCHÉ LA SCELTA DI PROCREARE È LIBERA La sentenza, pur ribadendo un principio già timidamente affermato, ritengo costituisca un precedente decisamente interessante poiché, per la prima volta, viene associato ad un erronea prescrizione farmacologica e non ad un intervento di sterilizzazione, maschile o femminile, non riuscito. Riconosce, dunque, il diritto dell’individuo a una genitorialità cosciente e consapevole e pone in evidenza la libertà del singolo di pianificare “la famiglia” (Birth Control Family Planning) espressione del più ampio principio all’autodeterminazione dell’individuo in ogni ambito sociale e quindi anche nella dimensione familiare, quale libera scelta di procreare, su cui nessun altro individuo può interferire. Tale diritto che non può essere leso e, al pari di tutti quelli costituzionalmente garantiti e riconosciuti anche dalla CEDU (Convenzione Europea Diritti dell’Uomo), ritengo debba essere tutelato. Va da se’ che il medico che si rende responsabile di un’erronea prescrizione farmacologica non idonea a inibire il concepimento, così come richiesto dalla paziente e condiviso dal compagno, si rende responsabile di una violazione di diritti cui necessariamente, deve seguire un risarcimento avente connotati sia patrimoniali sia non patrimoniali. Con riguardo in particolare a questi ultimi, il Giudice, li riconosce astrattamente risarcibili anche se non nel caso di specie poiché non comprovati nella loro componente biologica, morale ed esistenziale. Il punto potrebbe costituire motivo di appello e, dunque, mi astengo da qualsivoglia ulteriore precisazione che potrebbe avere valenza anticipatoria, non utile alla difesa.
NON SI TRATTA DI UNA QUESTIONE ETICA Tale questione viene erroneamente inquadrata da qualcuno nell’ambito dei “temi a sfondo etico” per i quali inevitabilmente una siffatta richiesta risulta quale immorale tentativo di arricchimento ingiusto. Nulla di più erroneo: nella causa in argomento non si è dibattuto sulla giustizia o meno di chiedere il risarcimento per la nascita di un figlio nato sano. Il Giudice si è guardato bene dal cadere nel tranello dell’etica, limitandosi a riprendere un principio tutelato dall’ordinamento giuridico, ovvero “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”. Una tale impostazione, d’altro canto, non sarebbe corretta, poiché non terrebbe conto del diritto, ormai ampiamente riconosciuto, di ogni individuo di autodeterminarsi liberamente in funzione di ciò che ritiene meglio per se stesso e, quindi, dando piena soddisfazione ai propri bisogni. In sintesi la sentenza in commento riconosce la facoltà di un individuo di decidere quando, come e se vuole avere dei figli a prescindere dalle ragioni che lo inducono a tale scelta. Al pari, il medico cui viene richiesta una prescrizione anticoncezionale, ha il diritto, uguale e contrapposto, di rifiutarsi perché ciò non risponde al proprio credo religioso. In ogni caso, quest’ultimo, non può mai e in alcun modo ledere il principio secondo cui l’uomo è libero di attuare per se stesso le scelte che più ritiene utili al soddisfacimento dei propri bisogni.
IL RICONOSCIMENTO RIGUARDA UOMO E DONNA La decisione del giudice meneghino è, dunque, apprezzabile sotto diversi punti vista. Oltre ad essere coerente con le disposizioni dell’ordinamento giuridico che garantiscono ai cittadini il diritto alla procreazione cosciente e responsabile (art. 1 Legge 194/1978), diritto di libertà che trova la sua matrice costituzionale negli artt. 2 e 13 della Costituzione, riconosce la possibilità di far valere tale tutela non solo in capo alla figura materna ma anche a quella paterna. L’inadempimento del medico curante all’obbligo assunto al momento del contatto/contratto, di compiere la propria prestazione secondo la diligenza del buon medico ai sensi dell’art. 1176, comma 2, codice civile, ha comportato la lesione del diritto della paziente di decidere, con il proprio compagno, liberamente, sulla base di valutazioni assolutamente personali ed insindacabili, se mettere o meno al mondo un bambino. Il giudice conclude, pertanto, per il riconoscimento di un danno patrimoniale risarcibile in capo a entrambi i genitori. In particolare lo commisura a quanto occorre per il mantenimento del piccolo ovvero l’importo di euro 400,00 per 12 mesi per 20 anni, quando verosimilmente si renderà economicamente autosufficiente
UN CASO SIMILE Il Tribunale di Monza il 19 aprile del 2005, in un caso per certi aspetti analogo (anche in quella circostanza era stata sbagliata la prescrizione farmacologica), aveva invece riconosciuto il solo danno morale a una coppia di giovani genitori per la nascita di un figlio, anch’esso nato sano, ma prima di quando fosse stato pianificato. Nella specie, dunque, era emerso nel corso del procedimento che la coppia non aveva escluso la possibilità di avere in futuro dei figli, ma era stato altresì provato che tale volontà non corrispondeva alla scelta operata nel presente.
Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite
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