Capita spesso, ad alcuni
di noi, di non riuscire a riposare la notte a causa dell’eccessivo rumore
proveniente dai locali pubblici sotto la nostra abitazione o per via dei suoi
frequentatori. Le forze dell’ordine, chiamate per risolvere la situazione, sono
spesso con le mani legate, avendo i gestori delle attività commerciali tutti i
permessi per restare aperti fino a tarda ora. Sembrerebbe che non ci sia alcuna
via di scampo. Ma è realmente così? Il famoso meritato riposo è un’utopia per
chi abita nelle vicinanze di un locale della movida notturna? La Corte di
Cassazione Penale, di recente, ha tuttavia dato una speranza...
COSA DICE LA LEGGE? L’art. 659 del codice
penale sanziona la condotta di chi arreca
disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone mediante schiamazzi,
rumori o abusando di strumenti sonori. Trattasi di una contravvenzione concernente
l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, la cui violazione è punita con
l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 309. A tale reato, si
aggiunge quello previsto dal secondo comma dello stesso articolo che, a sua
volta, sanziona il fatto di chi esercita una professione o un mestiere rumoroso in violazione della legge
o delle prescrizioni dell’autorità. Le due contravvenzioni hanno, come si
evince dalla semplice lettura, un diverso ambito applicativo. Ad esempio, la
condotta prevista dal comma 1 può essere integrata da chiunque richiedendosi,
però, alcune tassative modalità; mentre il secondo comma si riferisce
espressamente a una determinata categoria di soggetti. Le due ipotesi
contemplate dalle norme appena citate integrano dei reati di pericolo concreto
e pertanto, perché possano dirsi verificati, è necessario che la condotta sia potenzialmente idonea a propagarsi e a
disturbare un numero indefinito di persone. Tale attitudine deve, però, essere
dimostrata in termini di concreta
sussistenza.
MA NON C’È SOLO IL
CODICE PENALE…
L’Art. 10 della Legge 447 del 1995, al secondo comma, prevede che “Chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di
una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione
o di immissione di cui all'articolo 2, comma 1, lettere e) e f), fissati in
conformità al disposto dell'articolo 3, comma 1, lettera a), è punito con la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire
10.000.000”.Si tratta di un illecito amministrativo per il quale vige il principio di specialità di cui all’art
9 della Legge 689/1981. Occorre, pertanto, interrogarsi sul rapporto esistente
tra le condotte previste e punite dal codice penale e quella, invece,
disciplinata dalla Legge del 1995.
I DUE CONTRAPPOSTI
ORIENTAMENTI
Le ipotesi prese in esame tutelerebbero beni giuridici diversi. E infatti, le
contravvenzioni di cui all’art 659 del codice penale proteggono la tranquillità pubblica essendo previste
al fine di impedire che schiamazzi, rumori molesti e altro possano arrecare un
disturbo al riposo delle persone o alle occupazioni. L’illecito amministrativo previsto
dall’art 10 della Legge n. 447, invece, sembrerebbe essere posto a garanzia del
generico diritto alla salubrità
ambientale, prevedendo limiti di tollerabilità delle immissioni sonore il
cui superamento genera inquinamento acustico. Seguendo tale tesi si potrà
condannare, secondo la previsione dell’art. 659 del codice penale “allorquando l'inquinamento acustico è
concretamente idoneo a recare disturbo al riposo e alle occupazioni di una
pluralità indeterminata di persone” (Cassazione
penale, Sezione III, Sentenza dell’8 aprile 2015, n. 15919). Altra tesi, invece, ritiene che la
contravvenzione di cui al secondo comma dell’art 659 del codice penale sia
stata oggi abrogata dalla Legge del 1995 e, conseguentemente, in presenza di
una condotta di disturbo derivante dal superamento dei limiti di legge
troverebbe applicazione la sanzione prevista per gli illeciti amministrativi.
LA RECENTE TESI DELLA
CASSAZIONE
I giudici di legittimità recentemente hanno deciso di seguire un indirizzo
intermedio, sviluppatosi negli ultimi anni. In particolare, si afferma che le
disposizioni penali e quella extrapenale hanno diversi ambiti applicativi: l’art 10 della L. del 1995 troverebbe
impiego allorquando la condotta posta in essere superi i limiti differenziali
di rumore prescritti dalla legge; quanto alle previsioni penali invece, da un
lato, il comma 1 dell’art 659 si applicherebbe ogni qual volta il fatto
illecito sia qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto al mero superamento
della soglia di tollerabilità legale e, dall’altro, il comma 2 del medesimo
articolo atterrebbe alle ipotesi in cui la condotta violi prescrizioni diverse
da quelle riguardanti i limiti legali. Da ciò ne deriverebbe che un concorso
tra fattispecie penale e illecito amministrativo sarebbe teoricamente
possibile; tuttavia, in concreto, prevale quest’ultimo in forza del principio di
specialità.
IL CASO dal quale è scaturita
la sentenza in commento riguardava il gestore di un locale commerciale che, in
primo grado, veniva condannato dal Tribunale di Milano per la contravvenzione
di cui all’art 659 comma 1. La condotta contestatagli era quella di aver
disturbato la quieta pubblica attraverso l’inquinamento acustico prodotto dal
proprio locale e causato dal superamento dei limiti di cui ad un decreto del
1997. La Cassazione, aderendo alla tesi intermedia sopra esposta, ha rigettato
il ricorso dell’imputato ed ha confermato la condanna secondo la previsione
dell’art. 659 comma 1. In particolare, i giudici hanno affermato che si era
perpetrato un grave pregiudizio per la
quiete e la tranquillità pubblica e che il riferimento al decreto del 1997
aveva, meramente, una valenza probatoria atto a dimostrare il danno prodotto (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza
del 6 ottobre 2016, n. 42063).
IL FATTO PUÒ ESSERE
TENUE?
La Corte di Cassazione si è interrogata anche sulla possibilità di applicare,
al caso in commento, la causa di non punibilità legata alla particolare tenuità
del fatto. La risposta è negativa: la condotta del gestore non è
occasionale e sporadica, bensì costante per un considerevole lasso di tempo e
quindi rilevante al punto da non poter essere invocata la causa di non
punibilità.
Avvocato
Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente Parlando