Come era prevedibile, la
recente sentenza della Corte Europea di Giustizia, che ha stabilito che
un’azienda privata può vietare a una dipendente di portare il velo islamico
durante i contatti con i clienti, ha sollevato un vespaio di polemiche.
Sebbene, infatti, gli euro-giudici abbiano chiarito che il divieto non
costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione, ma mira ad
un’esigenza di neutralità dell’impresa, applicabile a chiunque indossi in
modo visibile simboli politici, filosofici o religiosi sul luogo di lavoro, dai
più la sentenza è stata vista come una legittimazione a fare discriminazioni
religiose e non solo. Ed il rischio che può nascondersi dietro ad una tale
sentenza diviene ancor più concreto se pensiamo al crescente diffondersi, a
livello internazionale, di rigurgiti conservatori, protezionistici,
nazionalistici. Anche in Italia, dove la società negli ultimi decenni è
diventata sempre più multietnica anche per il drammatico fenomeno dei migranti,
l’ordinamento giuridico si è dovuto sempre più adeguare a una realtà
multiculturale e multireligiosa, contemperando principi consolidati con
l’evoluzione sociale.
IN PRINCIPIO ERA LO
STATO CONFESSIONALE
Nel 1929, infatti, nell’ambito della stipula dei Patti Lateranensi tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, il
Concordato, che ne disciplinava i rapporti, stabiliva che “la religione
cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Stato”. L’Italia era,
pertanto, dichiaratamente cattolica e solo tollerante verso le diverse fedi. È stata
poi la Costituzione che, stabilendo
al suo art. 19 che “tutti hanno diritto
di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,
individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in
pubblico il culto”, ha delineato il principio di laicità dello Stato: non
più, dunque, una sola religione, di Stato, ma tante religioni, tutte parimenti
riconosciute e tutelate. L’art. 19, infatti, si completa con l’art. 8 della
Costituzione, che al comma 1 sancisce l’eguale libertà davanti alla legge di
tutte le confessioni religiose. Senza di essa, infatti, non ci sarebbe un reale
regime di pluralismo confessionale e
culturale e uno Stato non potrebbe dirsi laico.
NONOSTANTE LA DICHIARATA
LAICITÀ DELLO STATO ITALIANO è innegabile però che, per molto tempo, la religione cattolica abbia continuato a
godere di una posizione di maggior
rilievo e di una specifica tutela rispetto alle altre religioni. Pensiamo,
ad esempio, all’art. 724 cod. pen. “Bestemmia e manifestazioni oltraggiose
verso i defunti” o agli articoli 402 e seguenti cod. pen. “Dei delitti contro
il sentimento religioso”, che, prima che intervenisse la Corte Costituzionale
ed il legislatore nazionale, ancora richiamavano la religione dello Stato,
per la quale solo trovavano applicazione. Ma non dimentichiamo anche abitudini
e costumi, che ancora oggi riflettono un’educazione ed una cultura generalmente
cattolica (si pensi, per esempio, ai simboli cattolici che ancora trovano posto
negli uffici pubblici e nelle scuole ovvero ai palinsesti televisivi
soprattutto in occasione delle festività religiose come la Pasqua o il Natale).
UNA LIBERTÀ DI RELIGIONE
E DI CULTO NON SENZA LIMITI PERÒ! Un pluralismo religioso con eguali libertà,
infatti, non può tollerare posizioni illimitate, in quanto queste andrebbero
inevitabilmente a scontrarsi con le altre, limitandole, e ad annullare così il
pluralismo stesso. Ma c’è anche un altro limite invalicabile per la libertà di
culto o di fede sancito dalla stessa Carta Costituzionale e che trova la sua
giustificazione e la sua motivazione nella salvaguardia e tutela di superiori
interessi della collettività tutta. Affermando, infatti, ai suoi articoli 8,
comma 2, e 19 che gli statuti delle confessioni religiose diverse dalla
cattolica non possono contrastare con l’ordinamento giuridico italiano e che i riti religiosi non devono essere contrari
al buon costume, la Costituzione ha inteso affermare che la manifestazione
delle pratiche religiose devono necessariamente adeguarsi ai valori fondamentali dell’ordinamento
giuridico italiano - nella pacifica convivenza e nel rispetto delle norme a
tutela della sicurezza pubblica e dell’incolumità delle persone - con i quali
non possono entrare in contrasto, rivestendo essi un rango primario (Corte di Cassazione, sez. I pen., sentenza
del 14/06/2016, n. 24739; Corte di Cassazione, sez. I penale, sentenza del
16/06/2016, n. 25163).
ECCO PERCHÉ i rapporti tra Stato e
confessioni religiose sono regolati secondo un principio pattizio, con la
stipula di intese, ai sensi del comma 3 dell’art. 8 Costituzione. Infatti,
anche se l’assenza di una intesa con lo Stato non impedisce di professare
liberamente il credo religioso, è in funzione dell’attuazione della eguale
libertà religiosa che la Costituzione prevede che normalmente laicità e
pluralismo siano realizzati e contemperati anche tramite il sistema delle intese stipulate con le
rappresentanze delle confessioni religiose. Infatti, di regola tramite le
intese si devono garantire contemporaneamente: l’indipendenza delle confessioni
nel loro ambito, nell’accezione più estesa; il loro diritto di essere
ugualmente libere davanti alla legge; il diritto di diversificarsi l’una
dall’altra; ma anche la garanzia per lo Stato - ecco il senso della
regolamentazione dei rapporti - che l’esercizio dei diritti di libertà
religiosa non entri in collisione, per quanto è possibile, con le sfere in cui
si manifesta l’esercizio dei diritti civili e del principio solidaristico cui
ogni cittadino è tenuto (Corte di
Cassazione, sez. unite, sentenza del 28/06/2013, n. 16305).
RIASSUMENDO, indipendentemente
dalla liberta di religione o culto, che il nostro ordinamento in ogni caso
riconosce e tutela, possono essere
legittimamente vietate quelle prassi religiose che contrastano o limitano i
diritti fondamentali del nostro vivere civile. Pensiamo a quelle pratiche
religiose che comportano mutilazioni fisiche, condizioni di inferiorità fisica
o psicologica, il porto o l’utilizzo
di armi, il travisamento del volto, regimi alimentari pericolosi e così via.
Avvocato Gabriella
Sparano – Redazione Giuridicamente Parlando