Le considerazioni che seguono hanno tratto spunto da un recente quesito sottopostomi da una lettrice la quale, vittima di sinistro stradale, mi chiedeva quale risarcimento potesse pretendere dalla compagnia di assicurazione, a fronte di un danno alla propria auto per la cui riparazione veniva preventivato un costo, con pezzi di ricambio nuovi, che superava il valore commerciale del mezzo di circa il 30% e, invece, un costo di poco inferiore al valore del veicolo per una riparazione con pezzi di ricambio usati. In sintesi mi chiedeva: posso riparare con pezzi di ricambio nuovi anche se il preventivo supera il valore del bene di circa il 30% o devo riparare in economia, con pezzi di ricambio usati, e contenere il costo in modo che non superi detto valore, per non incappare in un rifiuto da parte dell’obbligato al pagamento?
L’antieconomicità della riparazione, a seguito di un sinistro stradale, è per la verità assai discussa in giurisprudenza, e ciò per il fatto che spesso le compagnie di assicurazione rifiutano di “default” di risarcire il danno al veicolo superiore al valore commerciale di quest’ultimo al momento del sinistro. C’è da dire che diverse sentenze della Cassazione (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 26 febbraio 2008, n. 4990; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 22 maggio 2003, n. 8052; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 14 giugno 2001, n. 8062; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 4 marzo 1998, n. 2402) hanno effettivamente ribadito il concetto secondo cui il risarcimento non può eccedere il valore ante sinistro del bene danneggiato e, quindi, dovrà essere parametrato al valore di mercato del bene (Risarcimento per equivalente). La ragione di tale orientamento risiedeva e risiede nella circostanza per cui il fatto illecito del terzo (nella specie il sinistro stradale) non può mai essere un’occasione di indebito arricchimento.
Recentemente, tuttavia, diverse pronunce, sia dei Giudici di Pace sia dei Tribunali (Giudice di Pace di Firenze, Sentenza del 16 maggio 2013 n. 3413, est. dott.ssa Elena Mereu; Giudice di Pace di Prato, Sentenza del 19 ottobre 2012 n. 1204, est. Avv. Pietro Vittorio Trolli; Tribunale di Prato, Sentenza del 10 ottobre 2012 n. 4496, est. Dott.ssa Raffaella Borgi; Tribunale di Bologna, Sentenza del 20 maggio 2009, n. 2626, est. Candidi Tommasi) e anche di legittimità (Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza del 9 ottobre 2012, n. 17217; Cassazione Civile, Sezione III, sentenza del 1° giugno 2010, n. 13431; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 12 ottobre 2010, n. 21012), hanno stabilito principi di segno opposto all’orientamento precedente, partendo dall’analisi dell’art. 2058 del codice civile il quale dispone che “il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore”.
Come si può notare non sono gli assicuratori a stabilire quale forma di risarcimento dovrà essere seguita (in forma specifica o per equivalente) ma il danneggiato stesso. Al limite potrà essere il giudice che, nell’esercizio del suo potere discrezionale, potrà stabilire che il risarcimento in forma specifica, risulta troppo oneroso per il debitore ovvero per la compagnia di assicurazione chiamata a risarcire il danno. In poche e semplici parole il caso della lettrice è emblematico, e rappresenta esattamente l’inversione di rotta assunta di recente dai giudici. Sarà, dunque, indubbiamente possibile la riparazione con pezzi di ricambio nuovi poiché la riparazione non eccede del 30% il valore commerciale del mezzo.
La riparazione non è quindi da considerarsi eccessivamente onerosa. Il principio viene ribadito a chiarissime lettere in una recente pronuncia, decisamente significativa ed esplicativa di quanto sopra affermato, del Giudice di Pace di Firenze (Sentenza del 16 maggio 2013 n. 3413 est. dott.ssa Elena Mereu): “Il metro di giudizio da utilizzarsi nella valutazione dell'eccessiva onerosità (ex art. 2058 c.c.) dei lavori di riparazione di un mezzo danneggiato, non può essere solamente il confronto fra il costo della riparazione e il costo necessario al reperimento di una utilità sostitutiva. Il Giudice deve valutare l'onerosità sulla scorta di tutti gli elementi disponibili, e, in ogni caso, non potrà dirsi "eccessivo" uno scarto di un terzo fra la spesa di riparazione e il costo di un altro mezzo. Nel caso di specie il Giudice di Pace liquida quindi una fattura di riparazione di € 7.128,00 a fronte di una soglia di economicità di € 5.050,00. Vengono inoltre liquidate, in quanto eziologicamente connesse e dovute, le spese di assistenza legale ed il fermo tecnico”.
In conclusione, tutto è lasciato alla discrezionalità del giudice che, in applicazione di quanto stabilito nell’art. 2058 del codice civile, per stabilire che tipo di risarcimento applicare, considererà la differenza fra valore ante sinistro e costo della riparazione e terrà conto di altri criteri quali ad esempio la facilità di reperire sul mercato un veicolo simile o le particolari ottime condizioni dello stesso (chilometraggio basso e manutenzione periodica) al momento del sinistro. Se il costo delle riparazioni non verrà considerato, dunque, eccessivamente oneroso rispetto al valore del veicolo (come è nel caso della lettrice), il danneggiato avrà diritto al risarcimento in forma specifica e quindi all’intera somma necessaria per la riparazione del danno. In caso contrario verrà risarcito il valore che aveva l’auto prima dell’incidente.
Anche in tale ultima circostanza, tuttavia, qualora il danneggiato optasse per la demolizione dello stesso, non reputando conveniente procedere alla riparazione, ritenuta eccessivamente onerosa, il risarcimento dovrà tenere conto di altre spese accessorie quali le spese di immatricolazione di una nuova autovettura, il fermo per il reperimento di analogo mezzo, il bollo e l’assicurazione non goduti, le spese di soccorso stradale e quelle di demolizione del relitto.