Probabilmente il significato di questa parola è poco noto ai più, non sono certo sconosciuti gli effetti conseguenti che sempre più frequentemente disegnano le sorti di imprenditori, aziende in difficoltà e di coloro i quali richiedono fidi e finanziamenti per fare impresa o più semplicemente per realizzare i propri sogni. In poche parole stiamo parlando di una pratica oramai consueta e diffusa che in questa sede vogliamo definire, forse con troppo garbo, "furbetta" e che prevede il calcolo degli interessi sugli interessi. Pratica che, neanche troppo alla lunga, finisce per strozzare e rovinare intere esistenze. Di tutto ciò la cronaca riporta quotidianamente storie drammatiche intrecciate di fallimenti professionali e personali sulle quali però non ci soffermeremo. Preferiamo dare il via ad una serie di post che aiutino a capire in quale modo si può evitare di essere schiacciati dalla condotta illecita di banche e finanziarie.
Gli istituti di credito svolgono un’attività d’impresa fondamentale per la vita economica dello Stato. Oltre a gestire servizi funzionali alla raccolta del risparmio (operazioni bancarie passive) si occupano, infatti, dell’erogazione del credito e di altri servizi accessori (operazioni bancarie attive). E’ evidente che pur essendo tutte operazioni dispendiose per il correntista (privato o impresa), i servizi funzionali all’erogazione di finanziamento saranno maggiormente onerosi, quanto a tasso d’interesse, costi e commissioni, quali contropartite della concessione di denaro, rispetto all’interesse concesso ai clienti quale corrispettivo del deposito di risparmi.
I problemi e le criticità del meccanismo appena delineato, che in linea di principio sembrerebbe essere né più e né meno di un normalissimo sistema d’impresa, emergono immediatamente solo se si pensa alla posizione dominante delle banche rispetto ai clienti, i quali non hanno alcun potere di determinare le condizioni contrattuali potendo unicamente accettare le clausole, troppo spesso di difficile interpretazione, già predisposte dall’istituto di credito e inserite in moduli o formulari prestampati.
Ciò ha determinato nel corso del tempo l’instaurarsi di prassi scorrette e comportamenti fraudolenti in danno di imprese e famiglie. Moltissimi sono, infatti, i falsi obblighi imposti e inventati dalle banche unicamente indirizzati a caricare di eccessivi oneri, illegali e sanzionabili, i clienti già fortemente segnati dalla crisi economica. Quante volte ci è stato detto che determinate sanzioni sono a nostro carico, che gli interessi vanno pagati pena la perdita della casa o, ancora, che è obbligatorio stipulare un contratto di conto corrente per poter pagare le rate di un finanziamento o del mutuo e che qualora non si stipulasse la polizza assicurativa imposta dalla banca non si potrà accedere al mutuo? La risposta è scontata: troppe!
Il risultato è sempre più spesso il fallimento delle imprese, strozzate da debiti che magicamente lievitano con proporzione geometrica e ovviamente la povertà degli individui, ormai incapaci di produrre risparmi e costretti a ricorrere, obtorto collo, al finanziamento.
Ebbene quando sorge il sospetto che ci si trovi di fronte al comportamento scorretto di una banca, che ha cagionato un danno economico, occorre innanzitutto verificare effettivamente di essere stati vittime di un comportamento fraudolento, attraverso le modalità che nei prossimi post sull’argomento indicherò, e poi tutelarsi e chiedere, con gli strumenti che il diritto ci fornisce, la restituzione degli importi ingiustamente versati, o incamerati dall’istituto di credito, oltre ovviamente al risarcimento del danno, patrimoniale e anche non patrimoniale, patito a seguito di tali condotte.
Vediamo nello specifico quali sono i comportamenti illegittimi più ricorrenti partendo dall’esame dell’anatocismo (dal greco anà – di nuovo, e tokòs – interesse): la fattispecie è disciplinata dall’art. 1283 del codice civile e con tale termine si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Si parla in tal caso di capitalizzazione composta che determina una crescita esponenziale del debito a differenza della capitalizzazione semplice, ritenuta legittima. Tale sistema era in uso, fino a pochi anni or sono, presso quasi tutte le banche italiane le quali liquidavano gli interessi a debito dei correntisti con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito, sui risparmi depositati, venivano calcolati annualmente.
Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi a debito e il conseguente fenomeno dell'anatocismo, proprio perché venivano calcolati interessi su interessi. L’applicazione dell’anatocismo, vietato dall’art. 1283 del codice civile, ha avuto termine, quale prassi avallata dalla giurisprudenza, a partire dal 1999 quando la Cassazione (Cassazione Civile, Sez. III, Sentenze 16 marzo 1999, n. 2374 e 30 marzo 1999, n. 3096), invertendo il proprio orientamento, ha più volte (Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 11 settembre 1999, n. 12507; Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 1 febbraio 2002, n. 1281; Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 28 marzo 2002, n. 4490; Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 28 marzo 2002, n. 4498; Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 1 ottobre 2002, n. 14091; Cassazione Civile, Sez. I, Sentenza 18 settembre 2003, n. 13739) affermato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, sostanzialmente argomentando nel senso della inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare all'art. 1283 del codice civile.
Riguardo al tempo della nullità delle clausole trimestrali, poi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che “le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal correntista devono considerarsi nulle anche se contratte prima dell’orientamento giurisprudenziale che nella primavera del 1999 ne ha negato la legittimità” (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 4 novembre 2004, n. 21095). In sostanza, la Corte ha attribuito valore retroattivo all’inesistenza dell’uso normativo della capitalizzazione trimestrale degli interessi. Inoltre, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 ha sancito definitivamente che il diritto alla restituzione di tutti gli indebiti rilevabili sui conti correnti bancari (dall’anatocismo, agli interessi ultra legali, alle commissioni di massimo scoperto illegittime, all’usura bancaria…) si prescrive nel termine di dieci anni dalla chiusura del conto corrente.
Con tale sentenza si è confermato quindi che un correntista, che ha utilizzato fidi bancari pagando interessi passivi trimestrali, può vantare il proprio diritto alla restituzione di quanto pagato illegittimamente in più alla banca, tornando indietro a rielaborare i propri conti fino al 1952. Da ultimo, è bene evidenziare come la capitalizzazione trimestrale degli interessi sia contraria anche alle norme del Trattato delle Comunità Europee, in particolare al combinato disposto degli artt. 3, lettera g) nonché 81 e 82 del medesimo Trattato. Interessante rammentare, fra l’altro che il giudice può riconoscere il risarcimento del danno esistenziale e biologico e che gli istituti di credito, che non rispettino il provvedimento del giudice, possono essere obbligati a pagare allo Stato una somma di denaro che verrà destinata a iniziative a vantaggio dei consumatori, per effetto di quanto disposto dalla legge n. 281 del 1998.
Nei successivi post sull’argomento verranno elencate ed esplicate le altre condotte bancarie “scorrette” più frequenti, ovvero l’usura, le commissioni di massimo scoperto e gli interessi ultra legali. Poiché l’argomento riscuote indubbiamente interesse, sarà inoltre mia cura precisare quali siano gli strumenti indispensabili al fine di verificare la sussistenza di una, o più d’una, delle condotte citate nonché le modalità per l’esercizio del sacrosanto diritto alla restituzione dell’indebito pagamento e della richiesta di risarcimento dei danni eventualmente patiti.