giovedì 5 settembre 2013

QUEGLI STRANI COMPORTAMENTI SONO GRIDA D’AIUTO. LA SCUOLA HA IL DOVERE DI PROTEGGERE GLI ADOLESCENTI



Recenti fatti di cronaca hanno riportato alla mia memoria una questione spinosa, che per la verità non riguarda solo aspetti giuridici ma anche di altra natura. I fatti cui mi riferisco sono la recente iscrizione nel registro degli indagati del professore di italiano e storia di Saluzzo, Valter Giordano, per “istigazione al suicidio” di una studentessa di quindici anni, sua allieva, nonché il suicidio di un ragazzino quindicenne, avvenuto alla fine dell’anno passato a Roma, e ancora quello dei due tredicenni ragusani che si sono tolti la vita, a distanza di pochi mesi uno dall’altro e che frequentavano lo stesso istituto scolastico. Ebbene al di là della particolarità dei casi in cui è possibile ravvisare addirittura il dolo ovvero la volontarietà dell’atto, (come in quelli di dileggio continuo degli allievi o come nell’ipotesi del professore di Saluzzo, laddove la responsabilità di quest’ultimo risultasse effettivamente acclarata), oltre allo sgomento e alla tristezza che sempre accompagnano tali notizie ci si domanda: in quale misura l’insegnante e la scuola rispondono per tali eventi?

Innanzitutto è d’obbligo sottolineare, benché ciò esuli dal mio compito di giurista, quanto sia indispensabile una preparazione e un addestramento degli insegnanti e del personale ausiliario scolastico in relazione alla individuazione e alla gestione di quei comportamenti che potrebbero potenzialmente essere indirizzati alla realizzazione del pensiero suicidario dell’adolescente. In ogni caso, qualunque sia la modalità attraverso cui si giunge alla percezione o alla semplice conoscenza di tale rischio, ciò che il docente non dovrà mai dimenticare è che, in genere, i segnali che si registrano altro non sono che grida di aiuto e pertanto, non dovrà aver timore di violare il segreto svelato dallo studente. Accade spesso che il personale scolastico non riveli il segreto confidato dall’allievo, per non tradire la fiducia che costui ha riposto in tali figure. Non solo non è opportuno assumere una simile responsabilità, per i motivi che di seguito verranno meglio specificati, ma l’alunno potrebbe, invece, sentirsi sollevato dal fatto che qualcuno sappia come si sente e cerchi di aiutarlo. Infatti è importante sottolineare come, da parte dell’adolescente disperato molto spesso, ci sia una richiesta d’aiuto contro la morte (Poland S., Prevenzione del suicidio nell'adolescenza - Interventi nella scuola, Edizioni Centro Studi Erikson, Trento, 1995).

Venendo all’esame degli aspetti più prettamente giuridici va detto che penalmente l’insegnante risponderà unicamente nelle ipotesi di dolo, mentre civilmente le cose vanno molto diversamente. La giurisprudenza civile è infatti ormai orientata nell’affermare un “dovere di protezione” in capo al precettore dell’istituto scolastico (così Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza 27 giugno 2002, n. 9346; Tribunale Catanzaro, Sez. I civile, sentenza 18 maggio 2009; Cassazione Civile, Sez. III, 3 marzo 2010, n. 5067; Cassazione Civile, Sez. VI, Ordinanza 24 novembre 2011, n. 24835; Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 8 febbraio 2012, n. 1769; da ultimo Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza 15 maggio 2013, n. 11751). Ne consegue che, a seguito dell’iscrizione all’istituto scolastico, “tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona”. E inoltre che “la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante per i danni che l’alunno cagiona a sé stesso ha natura contrattuale ed, a fronte di ciò, è applicabile il regime probatorio di cui all’art. 1218 c.c., cosicché mentre l’attore deve provare soltanto che il danno si è verificato nello svolgimento del rapporto, ossia in orario scolastico, il convenuto ha l’onere di provare che il danno è stato determinato da una causa non riconducibile né alla scuola, né all’insegnante”. 

Ciò significa che il MIUR (il Ministero della Pubblica Istruzione che verrà citato quale legittimato passivo poiché il personale docente della scuola si trova in rapporto organico con l'Amministrazione statale, e non con i singoli istituti, fatta salva la facoltà di rivalsa dello stesso Ministero in caso di accertata responsabilità dell’insegnante), risponderà tutte le volte in cui i genitori (c.d. attori) avranno provato che l’evento dannoso (lesioni o suicidio) si sia verificato all’interno dell’istituto e in orario scolastico e quando il medesimo Ministero non sarà stato in grado di dimostrare, l’adozione da parte dei soggetti preposti alla vigilanza (insegnanti), di tutte quelle cautele necessarie al fine di scongiurare l’evento quali, ad esempio, il controllo circa la presenza di tutti gli allievi all’interno dell’aula. Il danno subito, ovvero la perdita o compromissione del rapporto parentale, benché di natura non patrimoniale, sarà suscettibile di risarcimento poiché di rilevanza costituzionale. Lo stesso codice civile all’art. 1174 stabilisce, inoltre, che “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore”. 

Concluderei sottolineando che a mio giudizio, e di altri esimi autori (vedi fra tutti Paolo Cendon e Luigi Gaudino), ove si presentino evidenze di rischi suicidari, la responsabilità del docente rimasto inattivo sia assolutamente e immediatamente da affermarsi e ciò anche se l’insegnante non sia tenuto a possedere le conoscenze di un medico o di uno psicologo. Spesso, infatti, la posizione stessa che egli occupa gli consente di avvertire per primo, e meglio di chiunque altro, i sintomi del pericolo.