mercoledì 20 gennaio 2016

SALUTE: NON ESISTE UN DIRITTO A NON NASCERE SE NON SANO


È questo il succo di un’articolata e raffinatissima sentenza emessa poco prima di Natale dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, che, chiamate a pronunciarsi su un caso di responsabilità medica per nascita indesiderata, hanno negato ai genitori di una bimba affetta da sindrome di Down non rilevata dal medico ginecologo durante la gravidanza, il risarcimento del danno, affermando che il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da vita ingiusta, in quanto il nostro ordinamento ignora il diritto a non nascere se non sano. È una sentenza, in contrapposizione a precedenti orientamenti di cui tra l’altro ci eravamo occupati già nel gennaio 2013, che, indubbiamente, lascia il segno non solo per l’egregia esposizione di articolati concetti e principi giuridici, nazionali e sovranazionali, ma anche per la delicatezza e complessità della materia che affronta e che induce a riflessioni giuridiche, ma anche filosofiche, etiche, religiose, intimistiche, di coscienza. Riflessioni che non cesseranno dopo questa sentenza, ma anzi ancor più si soffermeranno sul rapporto, spesso di contrapposizione, tra rispetto e tutela della vita umana, già nata o nascente e dignità e salute della persona. Infatti…
 
LA SENTENZA E I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ I diritti della personalità che entrano in gioco nella sentenza sono il diritto alla vita, da un lato, e il diritto alla salute, alla dignità ed all’integrità, dall’altro lato, il cui reciproco rapporto, ai fini della rispettiva tutela, è stato variamente inteso dalla giurisprudenza precedente alla sentenza in esame. Una certa parte, infatti, affermando che l’ordinamento positivo tutela il concepito e l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, ha escluso la configurabilità di un diritto a non nascere o a non nascere se non sano, ritenendolo, peraltro, un diritto privo di titolare fino al momento della nascita, che, una volta avvenuta, determinerebbe paradossalmente l’inesistenza del diritto stesso (Cassazione Civile, sez. III, sentenza 14/07/2006 n. 16123). 

ALTRE SENTENZE E I DIRITTI IN DIVENIRE Altra giurisprudenza, già ampiamente commentata da Giuridicamente parlando, invece, sostenendo che, una volta venuto a esistenza, il nascituro ha diritto al risarcimento da parte del sanitario del danno consistente nell’essere nato non sano, gli ha riconosciuto quella soggettività giuridica che gli consente di essere titolare del diritto alla vita, alla salute, all’onore, alla reputazione ed all’identità personale quali diritti in divenire che diventano attuali al momento della nascita. Ma non solo: ha anche affermato l’esistenza e la tutelabilità in capo al nato malato dell’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando né che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata della malformazione, avrebbe verosimilmente scelto di abortire (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza dell’11 maggio 2009, n. 10741; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 2 ottobre 2012, n. 16754).

LA VITA È IL BENE SUPREMO protetto dall’ordinamento da sempre e comunque. Questo è il concetto basilare da cui partono i giudici delle Sezioni Unite, che, discostandosi dagli orientamenti giurisprudenziali sopra ricordati e cercando di dirimere tali contrasti giurisprudenziali, hanno sì riconosciuto la risarcibilità di un danno senza soggetto in quanto non ancora nato al momento della condotta colposa del medico, ma hanno ribadito l’inesistenza nel nostro ordinamento di un diritto a non nascere se non sano. La vita umana, infatti, è preziosa sempre e sempre va tutelata, non solo quando c’è integrità psico–fisica. Ritenere il contrario, infatti, legittimerebbe le teorie eugenetiche di selezione delle nascite. Equivarrebbe a considerare un danno la vita di un bambino disabile perché di valore inferiore a quella di un bambino sano. Equivarrebbe a riconoscere un diritto a non nascere, che il nostro ordinamento non riconosce e non va confuso con il cosiddetto diritto di staccare la spina, in quanto questo presuppone comunque un precedente testamento biologico, laddove nel nostro caso invece sarebbero i genitori ad attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia. Inoltre, secondo le Sezioni Unite, riconoscere il diritto a non nascere malati comporterebbe, accanto alla responsabilità del medico, un’analoga responsabilità della stessa madre, qualora, nelle circostanze contemplate dall’art. 6 della legge n. 194/1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), benché correttamente informata, portasse a termine la gravidanza (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 22/12/2015 n. 25767). 

UNA VISIONE CHE DIVIDE La sentenza in esame rigetta quella che essa stessa definisce una patrimonializzazione dei sentimenti, una visione unitaria delle sofferenze psicofisiche che comunque fanno parte della vita, che in ogni caso va accolta e tutelata. È una visione delle cose che senza dubbio non è passata indenne da critiche e non troverà tutti d’accordo, riguardando una questione che, proprio perché tocca i sentimenti umani, la sofferenza e la malattia, non può risolversi in una asettica e distaccata valutazione puramente di diritto, ma è inevitabilmente percepita, vissuta ed affrontata in maniera diversa da persona a persona, in base alla propria esperienza, sensibilità ed estrazione culturale, sociale e religiosa. 

PER CONCLUDERE, UNA DOMANDA Come dovrebbe, infatti, comportarsi la mamma di quel bimbo che pochi giorni fa a Parma è nato senza arti inferiori senza che il medico ginecologo se ne fosse accorto durante la gravidanza? D’altronde, a comprova di come non si possa affermare l’inammissibilità di un diritto a una nascita e un’esistenza sana porterei una recente campagna di comunicazione dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, sull’impiego dei farmaci in gravidanza, nella quale si afferma il potere-dovere della mamma di curarsi in gravidanza perché la sua salute è quella del suo bambino. La mia domanda allora è: se c’è un dovere a far nascere sani (quello imposto al sanitario), non c’è corrispondentemente un diritto in capo al nascituro o la questione, alla fin fine, è solo morale ed etica? Per quanto apprezzabile tecnicamente la decisione lascia, dunque, qualche dubbio di coerenza con il sistema. 

Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando