venerdì 30 ottobre 2015

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: QUANDO IL CARTELLINO SI TIMBRA IN MUTANDE


La notizia dell’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari per un cospicuo numero di dipendenti del Comune di Sanremo ha destato un certo clamore mediatico. Il fatto è, per la verità, noto e arcinoto, e non si tratta di una condotta isolata ma, anzi, di una modalità comportamentale che, a mio sommesso avviso, riguarda l’intera Pubblica Amministrazione e alla quale bisognerebbe riservare maggiore attenzione. Certo, generalizzare è sbagliato e non è rispettoso per tutti coloro che, invece, il lavoro lo svolgono bene, con puntualità e rispetto delle regole. In ogni caso, com’era ovvio aspettarsi, l’opinione pubblica è veramente indignata, talmente offesa dal comportamento di questi fannulloni che è sorta la necessità morale di indire delle vere e proprie petizioni popolari per stabilire quale sia il pensiero comune con riguardo all’immediato licenziamento dei dipendenti furbetti. E allora, mi sono chiesta anch’io, come tutti, perché ancora i responsabili degli illeciti non siano stati licenziati in tronco, considerata la giusta causa che sorreggerebbe tale provvedimento. La questione occorre, come sempre, affrontarla da un punto di vista giuridico…

INNANZITUTTO SPIEGHIAMO COSA È ACCADUTO… A seguito di un’indagine, durata a lungo (denuncia del 2012, effettuata dall’ex Sindaco Zoccarato, e indagini svolte sino al 2014), condotta dagli agenti della Guardia di Finanza, coordinati dal Capitano Jacopo Allera, è emerso che circa duecento dipendenti del Comune di Sanremo, su un totale di circa 500 assunti, si sono resi responsabili, con grado di colpa diverso e commissione di illeciti più o meno gravi, di plurimi reati, quali il peculato, l’interruzione di pubblico servizio, la truffa in danno della Pubblica Amministrazione e, personalmente a spanne, aggiungerei il falso, la sostituzione di persona e, perché no, persino l’associazione a delinquere. In concreto c’era chi timbrava il cartellino e poi se ne andava, altri se lo facevano timbrare dai colleghi conniventi, per coprire ritardi o uscite anticipate. In un caso, un dipendente risultava regolarmente in ufficio, addirittura in straordinario, ma in realtà andava in canoa vantandosi dei propri risultati sportivi sui social network. In un altro filmato, invece, un vigile urbano, custode dell’anagrafe, ha timbrato in ciabatte e mutande prima di allontanarsi di fretta dal posto di lavoro. In sintesi, si è trattato di una gestione dell’orario di lavoro opportunistica, quasi sartoriale e quindi ordita sulla base di bisogni personali e palesemente in violazione di norme e regolamenti. Nei casi più gravi (circa 35 dipendenti) è stata addirittura disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari al fine di impedire la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove.

IL QUADRO TRACCIATO DALLE FIAMME GIALLE È INQUIETANTE! Dall’informativa di reato trasmessa dalle Fiamme Gialle alla Procura si spiega già la rilevanza penale delle condotte poste in essere dai dipendenti fannulloni. Solo per fare qualche esempio, all’omessa timbratura del cartellino presenze per la pausa pranzo, corrisponde il reato di truffa e interruzione di pubblico servizio. Infatti, la giurisprudenza ritiene che i cartellini marcatempo, una volta installati, costituiscano prova della presenza sul luogo di lavoro degli intestatari, tra l’ora di ingresso e quella di uscita, con la conseguente rilevanza delle relative attestazioni, sia ai fini della regolarità del servizio (nel caso in cui gli interessati siano adibiti a funzioni o servizi pubblici), sia ai fini della retribuzione. Ciò significa che la mancata timbratura costituisce un espediente per evitare che, attraverso questi sistemi automatizzati di calcolo delle retribuzioni, la Pubblica Amministrazione non si accorga di tale anomalia e continui a pagare l’intera retribuzione. Quanto al dipendente che fa timbrare ad altri il proprio cartellino per risultare presente quando invece non c’è, le Fiamme Gialle evidenziano che tale condotta richiama il reato di truffa aggravata.

LA CAUSA DI LICENZIAMENTO SAREBBE INDUBBIAMENTE GIUSTA! Secondo quanto indicato nell’informativa, sia il Contratto Collettivo di Lavoro del Commercio del 18 luglio 2008 sia quello del Turismo del 2003 prevedono la sanzione disciplinare del licenziamento per giusta causa nel caso di irregolare, dolosa scritturazione o timbratura di schede di controllo delle presenze al lavoro. Oltre alle normative richiamate, nella relazione sottoposta all’attenzione della Procura viene sottolineato che il Legislatore, qualche anno fa (Riforma Brunetta, Decreto Legislativo 150 del 2009), ha espressamente disciplinato, proprio in relazione al rapporto di lavoro pubblico, il licenziamento disciplinare (art. 55 quater) e le false attestazioni o certificazioni ( art. 55 quinquies). Tali norme, in sintesi, attribuiscono rilievo, anche dal punto di vista disciplinare, alla falsa presenza in servizio attestata attraverso l’omessa timbratura del cartellino di presenza. Un altro articolo ha previsto che “fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600”.

SOPRATTUTTO NEL CASO SANREMESE Ciò che più ha lasciato sgomente le autorità, sia quelle che hanno indagato sia quelle che ora procederanno a carico degli autori degli illeciti, è il fatto che l’indagine ha portato a galla un sistema collaudato per il quale gestire e timbrare il cartellino dei colleghi o lasciare ad altri il proprio, era una sorta di comportamento naturale. Il sostituto procuratore, Maria Paola Marrali, ha parlato di “sistema scellerato” posto che tale malcostume andava avanti da tempo. Insomma, se è vero che l’evento in sé non è nuovo, tanto da destare l’attenzione particolare del Legislatore, quanto accaduto negli uffici pubblici della ridente cittadina ligure, visti la percentuale dei dipendenti coinvolti, è proprio da guiness dei primati!

L’IMPORTANZA DEL CONTROLLO DEL DIRIGENTE Mi sia concessa questa piccola considerazione, peraltro già evidenziata da qualche giornalista: le urla di indignazione da parte di tutti sono perfettamente comprensibili e naturali, ma per fare in modo che condotte come quelle appena emerse abbiano fine occorre rimettere in discussione le figure dirigenziali. Ora, non pare francamente ipotizzabile che i dirigenti nulla sapessero o ignorassero e questo, a mio avviso, è un fatto gravissimo. La giurisprudenza, dal canto suo, sottolinea, in alcune pregnanti decisioni, anche di legittimità che il dirigente che protegge il dipendente in caso di assenteismo, e quindi non soltanto impedisce che alcuni dipendenti pongano in essere reiterate violazioni dell’osservanza dell’orario di lavoro, aggirando in modo fraudolento il sistema computerizzato di controllo presenze, ma favorisca intenzionalmente tale comportamento creando segni esteriori di un atteggiamento di personale favore nei confronti dei correi, concorre nella condotta omissiva. Abbiamo, quindi, bisogno di dirigenti veri, e non fasulli, che interpretino la responsabilità sulle azioni dei collaboratori e non si limitino allo status della sovraintendenza. Bisognerà anche sceglierli meglio e, perché no, se necessario pagarli meglio!

INDIPENDENZA DI GIUDIZI, MA ATTENZIONE… Tornando al nocciolo della questione, ovvero al fatto che l’opinione pubblica non si spieghi come mai il procedimento disciplinare a carico dei fannulloni sia stato sospeso e non abbia già avuto l’auspicato e auspicabile epilogo del licenziamento in tronco, occorre dire che in linea di principio il processo penale e il procedimento disciplinare, o la causa civile per l’eventuale impugnativa del licenziamento, procedono su binari paralleli e non interferiscono tra loro, poggiando su criteri diversi. Ciò, tuttavia, ha un senso solo se in entrambi gli ambiti sia disponibile la prova dell’illecito. Nel caso sanremese, attualmente, la prova è nella sola disponibilità dell’autorità giudiziaria penale, secretata e non disponibile ad altri, neppure agli indagati. Solo quando l’attività istruttoria di indagine sarà ufficialmente conclusa, gli atti e le prove saranno messe a disposizione delle parti, anche di quelle lese quale è appunto la Pubblica Amministrazione, e quindi sarà possibile utilizzarle anche per portare avanti il procedimento disciplinare.

CONCLUDENDO Pur apparendo umanamente ingiusto che i furbetti non abbiano ancora perso il posto di lavoro, opportunisticamente sfruttato, ciò risponde ad una logica giuridica equa. In altre parole, sino a quando le prove non saranno sciolte dal segreto che oggi le governa, non potranno essere utilizzate nel predetto ambito disciplinare.


Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite