lunedì 6 ottobre 2014

FERMO AMMINISTRATIVO: SE ILLEGITTIMO È POSSIBILE CHIEDERE IL RISARCIMENTO?


È noto che il fermo amministrativo è un atto con il quale le pubbliche amministrazioni o gli enti pubblici statali dotati di tale potere (Comuni, INPS, Regioni, Stato, ecc.), tramite i concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore, iscritto in pubblici registri (per esempio autoveicoli), o dei coobbligati, al fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse (può trattarsi di un credito di varia natura, ad esempio, un mancato pagamento IVA, IRPEF, Bollo auto, ICI, ecc.) oppure a multe relative ad infrazioni al Codice della Strada. Il fermo amministrativo, adottato dalle Pubbliche Amministrazioni sin dal lontano 1973, è certo considerato uno dei modi più odiosi per rivalersi sul contribuente moroso (vero o presunto) perché incide pesantemente sul soggetto impedendogli l’uso di un mezzo di locomozione (auto, moto, furgone etc.) il più delle volte indispensabile all’attività lavorativa e alla vita di relazione.
 
BASTA UN PICCOLO DEBITO Non molti sanno che per la Pubblica Amministrazione non ha importanza se il credito vantato sia irrisorio e, quindi, sproporzionato rispetto al valore del bene bloccato; potenzialmente basterebbe solo il mancato pagamento del canone Rai, per vedersi fermata l’auto o la moto. Il procedimento è noto: dopo avere ricevuto una cartella esattoriale, trascorsi 60 giorni da questa, vengono iscritte al ruolo gli importi vantati e, a discrezionalità dell’Ente creditore, si può mettere in atto tale procedura, previa comunicazione al debitore. Pertanto, in caso di mancato pagamento della cartella esattoriale nei termini di legge, il concessionario della riscossione può disporre il fermo dei veicoli intestati al debitore, tramite iscrizione del provvedimento di fermo amministrativo nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA). L’iscrizione del fermo comporta per il debitore sino a quando non provvederà a saldare il proprio debito gravi conseguenze ovvero: a) il veicolo non può essere messo in circolazione e se circola è prevista una sanzione; b) non può essere radiato dal PRA quindi non può essere demolito od esportato; c) non può essere venduto e se ciò avvenisse in un momento successivo all'iscrizione del fermo, non può comunque circolare e non può essere radiato dal PRA. Inoltre, se il debitore non paga, il concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.

MA SE IL FERMO RISULTASSE ILLEGITTIMO? Il fermo amministrativo che grava sul veicolo potrebbe tuttavia essere stato iscritto erroneamente. I casi di erronea iscrizione del fermo sono sostanzialmente due. Il primo caso ricorre quando la somma richiesta dalla P.A. non è dovuta dal contribuente (sgravio totale per indebito), il secondo quando il veicolo è stato venduto con atto di data certa anteriore all’iscrizione del fermo. In entrambi i casi il concessionario incaricato della riscossione provvederà a richiedere al PRA la cancellazione gratuita dell’iscrizione del fermo. Esiste un ulteriore errore che rende illegittimo il fermo sotto un profilo procedurale ovvero quando questo sia stato disposto senza che il debitore abbia ricevuto alcuna comunicazione preventiva, quale sollecito o preavviso, né alcuna comunicazione successiva al fermo.

CI VUOLE SEMPRE L’AVVISO Sul punto è opportuno ricordare che la Cassazione ha stabilito che “l’efficacia del fermo è condizionata dalla comunicazione che, una volta eseguita l’iscrizione del provvedimento, deve essere data al proprietario del bene, al quale, dal momento in cui il fermo diventa efficace, è inibita la circolazione; ne segue che la comunicazione del fermo costituisce atto indefettibile della serie procedimentale, in mancanza del quale non può concepirsi il venire in essere di un atto implicito, difforme da quello tipico espresso, come delineato normativamente nei suoi requisiti di efficacia”. Orbene, secondo i giudici della Suprema Corte, i fermi amministrativi, privi della successiva comunicazione dell’avvenuta iscrizione, sono nulli per la mancanza di un atto indefettibile del procedimento di fermo (Cassazione civile, Sezione II; Sentenza del 23 luglio 2008, n. 20301).

UNA DOMANDA LEGITTIMA La domanda che sorge spontanea tra i contribuenti che sono stati “vessati” da un fermo amministrativo errato o illecito del loro veicolo è se la P.A. e il concessionario della riscossione siano tenuti a risarcire i danni che gli stessi hanno dovuto subire che non sono solo di ordine pratico e materiale ma anche spesso morale.

UNO SPIRAGLIO DI GIUSTIZIA Una coraggiosa quanto innovativa (e condivisa) sentenza è intervenuta a rendere giustizia a tutti coloro che sono stati privati del diritto di utilizzare il proprio veicolo a causa di un illecito fermo amministrativo. Un Giudice di Pace ha condannato l’ente incaricato alla riscossione (nel caso di specie Equitalia Polis s.p.a.) a risarcire al malcapitato contribuente, a cui era stato “bloccato” illegittimamente il veicolo, i danni patrimoniali e non patrimoniali (anche morali quindi) quantificati in via equitativa in euro 700,00 oltre interessi legali e spese di giustizia. Certo la somma riconosciuta non è trascendentale ma ciò che assume rilievo sono le motivazioni addotte perché aprono finalmente uno spiraglio alla tutela di importanti diritti soggettivi del cittadino violati dalla P.A. per la quale continua ad essere un “astratto contribuente” (Giudice di Pace di Castellamare di Stabia, Sentenza del 7 dicembre 2009, n. 4407).

IL CASO EQUITALIA, quale ente di riscossione, senza aver inviato alcun avviso né controllato il presunto debito del contribuente aveva provveduto ad iscrivere fermo amministrativo sul veicolo di proprietà di quest’ultimo. La scoperta del fermo amministrativo da parte del contribuente medesimo era avvenuta solo all’atto di vendita dell’autoveicolo. A causa del fermo l’auto non solo non poteva essere più venduta ma non poteva neppure essere utilizzata sia per scopi personali che lavorativi. Il contribuente citava quindi in giudizio Equitalia comprovando che l’unica cartella esattoriale posta a base del fermo amministrativo, era stata, in parte, pagata nell’anno 1998 e in parte sottoposta, nel 1999, a sgravio da parte del Comune di Castellammare di Stabia, chiedendo che gli venisse riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e all’immagine personale.

IL GIUDICE CONFERMA: IL PREAVVISO DI FERMO È NECESSARIO Il Giudice di Pace dava ragione all’attore-contribuente ricordando che “la legge prevede che del fermo sia data comunicazione al debitore”, e la nota dell’Agenzia delle Entrate, la n. 57413/2003, (richiamata e confermata da molte decisioni delle Commissioni Tributarie, per tutte vedasi la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia n. 399/2007), prevede che gli agenti della riscossione, prima di procedere al fermo, devono emettere un preventivo “preavviso di fermo”. Tale “obbligo” di preavviso, osserva il Giudice, poi, in un certo senso è previsto anche dalla nota “interna” n. 4887 del 5.07.07 emessa dalla Equitalia, che, nel rendere omogenea l’attività operativa dei vari esattori, ha stabilito, prima di procedere al fermo amministrativo, l’obbligo dell'invio di solleciti e preavvisi e ha specificato che il fermo amministrativo può riguardare solo debiti superiori ai 50 euro.

VIOLATE NORME DI BUONA FEDE E CORRETTEZZA Sulla base di tali premesse il Giudice di Pace di Castellammare di Stabia ha accertato la violazione, ad opera del Concessionario per la riscossione tributi, “oltre che delle regole sulla corretta e trasparente attività di riscossione, anche quanto statuito dal Codice del Consumo, in ordine alla correttezza, buona fede e diligenza nei rapporti contrattuali con l’altra parte, soprattutto se controparte è un consumatore. Insomma il Concessionario ha provveduto al fermo amministrativo dell’autoveicolo dell’attore, calpestando i diritti del cittadino, di fatto senza effettuare alcun controllo sulla regolarità e debenza del credito vantato, senza alcun titolo e senza alcuna comunicazione, preventiva e successiva. Il Concessionario, adottando tale comportamento, non solo palesa estrema superficialità nell’applicazione dei mezzi di riscossione – che sembrano assolutamente coercitivi, dannosi e pericolosi nei confronti dei cittadini – ma dimostra anche di aver abusato della propria posizione, pur di recuperare un credito.

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PUÒ ESSERE CHIAMATA DAVANTI AL GIUDICE ORDINARIO Per il Giudice campano, quindi, tale comportamento è senz'altro censurabile e lesivo dei diritti personali e patrimoniali, come degli interessi e qualità della vita dei cittadini. Ma la citata sentenza assume importanza anche perché afferma, richiamando la “storica” pronunzia della Cassazione a Sezioni Unite (n. 500 del 22luglio 1999), che laddove la Pubblica Amministrazione, ed in particolare nel caso di specie la Equitalia S.p.A., che è una società per azioni concessionaria di pubblico servizio, va ad incidere su una posizione giuridica avente consistenza di diritto soggettivo, può essere convenuta come un qualsiasi altro soggetto davanti al Giudice ordinario.

E IL RISARCIMENTO È DOVUTO Al pari interessante è l’iter logico giuridico seguito. Il Giudice campano, riconoscendo all’attore un risarcimento in via equitativa osserva infatti che “…nel caso di specie appare evidente che l’attore abbia subito, oltre che danni esistenziali e morali per la “persecuzione”, ed azioni esecutive di controparte, anche violazioni al suo buon nome, immagine e onorabilità, avendo dovuto, inoltre, dedicare altro tempo alla vicenda, nonostante l’intervenuto pagamento di parte della cartella e di intervenuto sgravio per l’altra parte della cartella, chiedendo spiegazioni e sottoponendosi a file disumane e lunghe attese presso la sede della convenuta Equitalia S.p.A., senza alcun apparente esito e idoneo risultato, dovendosi poi anche rivolgere ad un legale per la tutela dei propri interessi. Per non parlare poi del lungo periodo di stress che ha sofferto l’attore che, di fatto, è stato costretto a rivolgersi ad un medico per gli accertamenti e le cure del caso.

SE IN VIA EQUITATIVA, IL DANNO VA SEMPRE PROVATO Indubbiamente la sentenza del giudice di Pace di Castellammare di Stabia apre non pochi spiragli ai contribuenti che chiedono giustizia di fronte a provvedimenti adottati erroneamente dalla P.A. e che, come l’illecito fermo amministrativo del veicolo, producono danni oltre che patrimoniali anche alla loro vita privata e di relazione. Ma attenzione, i danni vanno sempre provati! Ciò è stato confermato dalla Suprema Corte che pur ribadendo il proprio orientamento in merito alla possibilità di disporre un risarcimento del danno in via equitativa, ha innanzitutto ricordato come il potere del giudice di liquidare il danno in via equitativa, previsto agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o quantomeno particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare. La liquidazione in via equitativa presuppone, infatti, che sia già stato assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno subito, residuando come margine discrezionale soltanto quello dell’esatta quantificazione di esso. Alla parte interessata, sottolinea la Corte, incombe sempre l’onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo del giudice sia ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno. In via generale, la Corte ha inoltre ricordato, in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale, come l’art. 2059 del codice civile regoli i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito richiesti dall’art. 2043 del codice civile (Cassazione civile, Sezione VI - 3, Ordinanza del 4 febbraio 2014, n. 2370),


PER CHIARIRE In altri termini, il danno non patrimoniale è risarcibile soltanto se siano presenti tutti gli elementi dell’illecito extracontrattuale e la fattispecie riguardi uno dei casi previsti dalla legge o la lesione di diritti costituzionali inviolabili, “con la precisazione in quest’ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario)”. Nel caso sottoposto all’attenzione degli ermellini, diverso da quello affrontato dal Giudice di Pace di Castellammare di Stabia (un privato aveva impugnato un provvedimento di fermo amministrativo richiedendo, al contempo, il risarcimento del danno subito a causa di esso), sulla base delle precedenti argomentazioni, la Corte è giunta alla considerazione che non fosse dovuto alcun risarcimento in quanto il ricorrente non era stato in grado di allegare e provare i fatti dai quali avrebbe dovuto dedursi la possibilità di disporre la liquidazione del danno in via equitativa. Il mero disagio, soprattutto se scollegato dalla prova della sua reale entità, non risulta risarcibile ai sensi dell’art. 2059 del codice civile. Appare, dunque, assodato che il danno non patrimoniale nei casi esaminati, seppur in via equitativa, può essere indubbiamente liquidato a condizione che la sua sussistenza venga allegata e provata.

Dottor Massimo Botti - Studio Comite