È noto che il fermo amministrativo è
un atto con il quale le pubbliche amministrazioni o gli enti pubblici statali
dotati di tale potere (Comuni, INPS, Regioni, Stato, ecc.), tramite i
concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore,
iscritto in pubblici registri (per esempio autoveicoli), o dei coobbligati, al
fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse
(può trattarsi di un credito di varia natura, ad esempio, un mancato pagamento
IVA, IRPEF, Bollo auto, ICI, ecc.) oppure a multe relative ad infrazioni al
Codice della Strada. Il fermo amministrativo, adottato dalle Pubbliche Amministrazioni
sin dal lontano 1973, è certo considerato uno dei modi più odiosi per rivalersi
sul contribuente moroso (vero o presunto) perché incide pesantemente sul
soggetto impedendogli l’uso di un mezzo di locomozione (auto, moto, furgone
etc.) il più delle volte indispensabile all’attività lavorativa e alla vita di
relazione.
BASTA UN PICCOLO DEBITO Non molti sanno che per la Pubblica
Amministrazione non ha importanza se il
credito vantato sia irrisorio e, quindi, sproporzionato rispetto al valore del bene
bloccato; potenzialmente basterebbe solo il mancato pagamento del canone Rai,
per vedersi fermata l’auto o la moto. Il procedimento è noto: dopo avere
ricevuto una cartella esattoriale, trascorsi 60 giorni da questa, vengono
iscritte al ruolo gli importi vantati e, a discrezionalità dell’Ente creditore,
si può mettere in atto tale procedura, previa comunicazione al debitore.
Pertanto, in caso di mancato pagamento della cartella esattoriale nei
termini di legge, il concessionario della riscossione può disporre il fermo dei
veicoli intestati al debitore, tramite iscrizione del provvedimento di fermo
amministrativo nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA). L’iscrizione del
fermo comporta per il debitore sino a quando non provvederà a saldare il
proprio debito gravi conseguenze
ovvero: a) il veicolo non può essere messo in circolazione e se circola è
prevista una sanzione; b) non può essere radiato dal PRA quindi non può essere
demolito od esportato; c) non può essere venduto e se ciò avvenisse in un
momento successivo all'iscrizione del fermo, non può comunque circolare e non
può essere radiato dal PRA. Inoltre, se il debitore non paga, il concessionario
della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.
MA SE IL FERMO RISULTASSE
ILLEGITTIMO? Il fermo amministrativo
che grava sul veicolo potrebbe tuttavia essere stato iscritto erroneamente. I
casi di erronea iscrizione del fermo sono sostanzialmente due. Il primo caso
ricorre quando la somma richiesta dalla P.A. non è dovuta dal contribuente
(sgravio totale per indebito), il secondo quando il veicolo è stato venduto con
atto di data certa anteriore all’iscrizione del fermo. In entrambi i casi il
concessionario incaricato della riscossione provvederà a richiedere al PRA la
cancellazione gratuita dell’iscrizione del fermo. Esiste un ulteriore errore
che rende illegittimo il fermo sotto un profilo procedurale ovvero quando
questo sia stato disposto senza che il debitore abbia ricevuto alcuna comunicazione
preventiva, quale sollecito o preavviso, né alcuna comunicazione successiva al
fermo.
CI VUOLE SEMPRE L’AVVISO Sul punto è opportuno ricordare che
la Cassazione ha stabilito che “l’efficacia del fermo è condizionata dalla
comunicazione che, una volta eseguita l’iscrizione del provvedimento, deve
essere data al proprietario del bene, al quale, dal momento in cui il fermo
diventa efficace, è inibita la circolazione; ne segue che la comunicazione del
fermo costituisce atto indefettibile
della serie procedimentale, in mancanza del quale non può concepirsi il
venire in essere di un atto implicito, difforme da quello tipico espresso, come
delineato normativamente nei suoi requisiti di efficacia”. Orbene, secondo
i giudici della Suprema Corte, i fermi amministrativi, privi della successiva
comunicazione dell’avvenuta iscrizione, sono
nulli per la mancanza di un atto indefettibile del procedimento di fermo (Cassazione civile, Sezione II; Sentenza del
23 luglio 2008, n. 20301).
UNA DOMANDA LEGITTIMA La domanda che sorge spontanea tra
i contribuenti che sono stati “vessati” da un fermo amministrativo errato o
illecito del loro veicolo è se la P.A. e il concessionario della riscossione siano
tenuti a risarcire i danni che gli stessi hanno dovuto subire che non sono solo
di ordine pratico e materiale ma anche spesso morale.
UNO SPIRAGLIO DI GIUSTIZIA Una coraggiosa quanto innovativa (e
condivisa) sentenza è intervenuta a rendere giustizia a tutti coloro che sono
stati privati del diritto di utilizzare il proprio veicolo a causa di un
illecito fermo amministrativo. Un Giudice di Pace ha condannato l’ente
incaricato alla riscossione (nel caso di specie Equitalia Polis s.p.a.) a
risarcire al malcapitato contribuente, a cui era stato “bloccato”
illegittimamente il veicolo, i danni patrimoniali e non patrimoniali (anche
morali quindi) quantificati in via
equitativa in euro 700,00 oltre interessi legali e spese di giustizia. Certo
la somma riconosciuta non è trascendentale ma ciò che assume rilievo sono le
motivazioni addotte perché aprono finalmente uno spiraglio alla tutela di
importanti diritti soggettivi del cittadino violati dalla P.A. per la quale
continua ad essere un “astratto contribuente” (Giudice di Pace di Castellamare di Stabia, Sentenza del 7 dicembre 2009, n.
4407).
IL CASO EQUITALIA, quale ente di riscossione, senza
aver inviato alcun avviso né controllato il presunto debito del contribuente aveva
provveduto ad iscrivere fermo amministrativo sul veicolo di proprietà di quest’ultimo.
La scoperta del fermo amministrativo da parte del contribuente medesimo era
avvenuta solo all’atto di vendita dell’autoveicolo. A causa del fermo l’auto
non solo non poteva essere più venduta ma non poteva neppure essere utilizzata sia
per scopi personali che lavorativi. Il contribuente citava quindi in giudizio
Equitalia comprovando che l’unica cartella esattoriale posta a base del fermo
amministrativo, era stata, in parte, pagata nell’anno 1998 e in parte
sottoposta, nel 1999, a sgravio da parte del Comune di Castellammare di Stabia,
chiedendo che gli venisse riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni
patrimoniali e all’immagine personale.
IL GIUDICE CONFERMA: IL PREAVVISO DI
FERMO È NECESSARIO Il Giudice
di Pace dava ragione all’attore-contribuente ricordando che “la legge
prevede che del fermo sia data comunicazione al debitore”, e la nota dell’Agenzia
delle Entrate, la n. 57413/2003, (richiamata e confermata da molte decisioni
delle Commissioni Tributarie, per tutte vedasi la decisione della Commissione
Tributaria Provinciale di Reggio Emilia n. 399/2007), prevede che gli agenti
della riscossione, prima di procedere al fermo, devono emettere un preventivo “preavviso
di fermo”. Tale “obbligo” di preavviso, osserva il Giudice, poi, in un certo
senso è previsto anche dalla nota “interna” n. 4887 del 5.07.07 emessa dalla
Equitalia, che, nel rendere omogenea l’attività operativa dei vari esattori, ha
stabilito, prima di procedere al fermo amministrativo, l’obbligo dell'invio di solleciti e preavvisi e ha specificato che
il fermo amministrativo può riguardare solo debiti superiori ai 50 euro.
VIOLATE NORME DI BUONA
FEDE E CORRETTEZZA
Sulla base di tali premesse il Giudice di Pace di Castellammare di Stabia ha accertato la violazione,
ad opera del Concessionario per la riscossione tributi, “oltre che delle
regole sulla corretta e trasparente attività di riscossione, anche quanto
statuito dal Codice del Consumo, in ordine alla correttezza, buona fede e
diligenza nei rapporti contrattuali con l’altra parte, soprattutto se
controparte è un consumatore. Insomma il Concessionario ha provveduto al fermo
amministrativo dell’autoveicolo dell’attore, calpestando i diritti del cittadino, di fatto senza effettuare
alcun controllo sulla regolarità e debenza del credito vantato, senza alcun
titolo e senza alcuna comunicazione, preventiva e successiva. Il
Concessionario, adottando tale comportamento, non solo palesa estrema
superficialità nell’applicazione dei mezzi di riscossione – che sembrano
assolutamente coercitivi, dannosi e pericolosi nei confronti dei cittadini – ma
dimostra anche di aver abusato della propria posizione, pur di recuperare un credito.
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PUÒ
ESSERE CHIAMATA DAVANTI AL GIUDICE ORDINARIO Per il Giudice campano, quindi, tale comportamento è
senz'altro censurabile e lesivo dei diritti personali e patrimoniali, come
degli interessi e qualità della vita dei cittadini. Ma la citata sentenza
assume importanza anche perché afferma, richiamando la “storica” pronunzia
della Cassazione a Sezioni Unite (n. 500
del 22luglio 1999), che laddove la Pubblica Amministrazione, ed in
particolare nel caso di specie la Equitalia S.p.A., che è una società per
azioni concessionaria di pubblico servizio, va ad incidere su una posizione
giuridica avente consistenza di diritto soggettivo, può essere convenuta come un qualsiasi altro soggetto
davanti al Giudice ordinario.
E IL RISARCIMENTO È DOVUTO Al pari interessante è l’iter
logico giuridico seguito. Il Giudice campano, riconoscendo all’attore un
risarcimento in via equitativa osserva infatti che “…nel caso di specie appare evidente che l’attore abbia subito, oltre che danni esistenziali e morali per
la “persecuzione”, ed azioni esecutive di controparte, anche violazioni al suo
buon nome, immagine e onorabilità, avendo dovuto, inoltre, dedicare altro
tempo alla vicenda, nonostante l’intervenuto pagamento di parte della cartella
e di intervenuto sgravio per l’altra parte della cartella, chiedendo
spiegazioni e sottoponendosi a file disumane e lunghe attese presso la sede
della convenuta Equitalia S.p.A., senza alcun apparente esito e idoneo
risultato, dovendosi poi anche rivolgere ad un legale per la tutela dei propri
interessi. Per non parlare poi del lungo periodo di stress che ha sofferto
l’attore che, di fatto, è stato costretto a rivolgersi ad un medico per gli
accertamenti e le cure del caso”.
SE IN VIA EQUITATIVA, IL DANNO VA SEMPRE PROVATO Indubbiamente
la sentenza del giudice di Pace di Castellammare di Stabia apre non pochi
spiragli ai contribuenti che chiedono giustizia di fronte a provvedimenti
adottati erroneamente dalla P.A. e che, come l’illecito fermo amministrativo
del veicolo, producono danni oltre che patrimoniali anche alla loro vita
privata e di relazione. Ma attenzione, i danni vanno sempre provati! Ciò è
stato confermato dalla Suprema Corte che pur ribadendo il proprio orientamento
in merito alla possibilità di disporre un risarcimento del danno in via
equitativa, ha innanzitutto ricordato come il potere del giudice di liquidare
il danno in via equitativa, previsto agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., è
subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile o quantomeno
particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo
preciso ammontare. La liquidazione in via equitativa presuppone, infatti, che sia
già stato assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità
materiale del danno subito, residuando come margine discrezionale soltanto
quello dell’esatta quantificazione di esso. Alla parte interessata,
sottolinea la Corte, incombe sempre l’onere di fornire gli elementi probatori e
i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento
equitativo del giudice sia ricondotto alla sua funzione di colmare solo le
lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario
del danno. In via generale, la Corte ha inoltre ricordato, in tema di
risarcibilità del danno non patrimoniale, come l’art. 2059 del codice civile
regoli i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali,
sul presupposto dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito
richiesti dall’art. 2043 del codice civile (Cassazione civile, Sezione VI -
3, Ordinanza del 4 febbraio 2014, n. 2370),
PER CHIARIRE In altri termini, il danno
non patrimoniale è risarcibile soltanto se siano presenti tutti gli elementi
dell’illecito extracontrattuale e la fattispecie riguardi uno dei casi
previsti dalla legge o la lesione di diritti costituzionali inviolabili, “con la precisazione in quest’ultimo caso,
che la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il
pregiudizio conseguenzialmente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio
non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi
la soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e
che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o
fastidi o sia addirittura meramente immaginario)”. Nel caso sottoposto
all’attenzione degli ermellini, diverso da quello affrontato dal Giudice di
Pace di Castellammare di Stabia (un privato aveva impugnato un provvedimento di
fermo amministrativo richiedendo, al contempo, il risarcimento del danno subito
a causa di esso), sulla base delle precedenti argomentazioni, la Corte è giunta
alla considerazione che non fosse dovuto alcun risarcimento in quanto il
ricorrente non era stato in grado di allegare e provare i fatti dai quali
avrebbe dovuto dedursi la possibilità di disporre la liquidazione del danno in
via equitativa. Il mero disagio, soprattutto se scollegato dalla prova
della sua reale entità, non risulta risarcibile ai sensi dell’art. 2059 del
codice civile. Appare, dunque, assodato che il danno non patrimoniale nei casi
esaminati, seppur in via equitativa, può essere indubbiamente liquidato a
condizione che la sua sussistenza venga allegata e provata.
Dottor Massimo Botti - Studio Comite