venerdì 10 ottobre 2014

LASCIARE “FIDO” IN AUTO È REATO DI ABBANDONO


Il nostro blog ha sempre avuto una particolare attenzione verso agli animali, la tutela dei quali è alla base di tutte le disposizioni attualmente vigenti che disciplinano il rapporto uomo-animale, sia per ciò che concerne il loro benessere, sia per la protezione riservata agli stessi. A tal proposito, una recentissima pronuncia della Suprema Corte ci offre la possibilità di approfondire ulteriormente la tematica in parola, dal momento che è stata ribadita, ancora una volta, la rilevanza penale dell’abbandono di un animale in una autovettura, tanto da costituire reato. Ma vediamo meglio nel dettaglio sia la sentenza sia la fattispecie di reato a cui fa riferimento….

CASSAZIONE PENALE: CHI LASCIA IL PROPRIO CANE IN AUTO DI FATTO LO ABBANDONA La Suprema Corte, infatti, ha ribadito nella sentenza suindicata, confermando in tal modo l’orientamento ormai prevalente in materia, che integra il reato di cui all'art. 727 del codice penale la condotta del proprietario che lascia il proprio cane in auto, con i finestrini chiusi, per di più in una giornata soleggiata e con temperatura particolarmente elevata, atteso che tale comportamento è assolutamente incompatibile con la natura dell’animale, potendo provocargli paura e sofferenza (Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 17 Ottobre 2014, n. 44902). L’articolo del codice penale in questione, rubricato appunto Abbandono di animali, dispone che:

1) Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

2) Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.

IL CODICE PENALE PREVEDE DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO DEGLI ANIMALI Il Legislatore italiano, infatti, conscio del mutamento dell’opinione pubblica a tal proposito, sempre più attenta e sensibile nei confronti della tutela degli animali e dei loro diritti, mediante la Legge 20 luglio 2004, n.189 recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2004, ha inserito nel II Libro del codice penale il Titolo IX bis, intitolato Dei delitti contro il sentimento degli animali, prevedendo, tra gli altri, reati come l’uccisione di animali (art. 544-bis) ed il maltrattamento di animali (art. 544-ter), e sostituendo altresì il testo dell’art. 727 così come già evidenziato. Tali innovazioni legislative, inoltre, sono frutto di anni di lotte e rivendicazioni che hanno trovato soddisfazione soprattutto grazie alla sottoscrizione della Dichiarazione universale dei diritti degli animali, documento solennemente proclamato a Parigi dall’UNESCO il 15 ottobre 1978, il quale si pone gli obiettivi, a mio avviso oltremodo nobili e pregevoli, non solo di promuovere il riconoscimento di diritti in capo agli animali, ma anche di favorire e caldeggiare l’educazione al rispetto degli stessi, così da insegnare a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali medesimi sin dall’infanzia. 

TUTTI GLI ANIMALI NASCONO UGUALI DAVANTI ALLA VITA E HANNO GLI STESSI DIRITTI ALL’ESISTENZA Con questa suggestiva affermazione di principio, contenuta nell’art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti degli animali, i redattori della stessa hanno voluto, fin da subito, chiarire quanto sia importante rispettare la dignità di tutti gli esseri viventi, tanto che proprio a questo principio si ispirano le varie pronunce giurisprudenziali, sia di merito sia di legittimità, succedutesi negli ultimi anni in tema di abbandono di animali, ultima delle quali quella oggetto del presente contributo, in quanto è opinione ormai sedimentata che: “integra il reato previsto (ossia quello ex art. 727 codice peale) il tenere un cane in un luogo angusto per un lasso di tempo apprezzabile, senza che fosse necessaria la volontà di infierire sull’animale o che questo riportasse una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti” (Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 7 gennaio 2008, n. 175; Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 21 dicembre 2005, n. 2774). Si tratta, infatti, di affermazioni di notevole portata, dal momento che viene presa in considerazione la sofferenza dell’animale stesso, dunque anche il patimento per così dire morale, non solo fisico, soprattutto a fronte del fatto che ai fini dell’integrazione di tale figura contravvenzionale, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire volontariamente sull’animale (dolo), né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti e potendo atteggiarsi l’elemento psicologico del reato anche in una semplice negligenza (colpa), così come ad esempio accade nei casi in cui, più o meno distrattamente, ci si “dimentichi” un animale in macchina, ledendo il sentimento di humana pietas nei confronti degli animali medesimi. 


IN CONCLUSIONE la sentenza commentata non fa che aggiungersi alle ormai numerosissime pronunce di legittimità che hanno stabilito che il reato di abbandono di animali comprende non solo tutti quei comportamenti dell’uomo che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali, destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore (Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 24 febbraio 2014, n. 8676; Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 22 novembre 2012, n. 49298; Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 7 novembre 2007, n. 44287). Inoltre, per la configurazione del reato stesso, è necessario non solo che le condizioni di custodia dell’animale appaiano incompatibili con la natura dello stesso, ma anche che tali condizioni siano produttive di gravi sofferenze per l’animale, tali per cui la condizione in cui vengono tenuti sia assolutamente inconciliabile con la condizione propria dell’animale stesso in situazione di benessere. A tal proposito, dunque, chiunque ravvisasse una simile biasimevole situazione e decidesse di intervenire a tutela dell’animale, altro non dovrebbe fare se non chiedere l’immediato intervento, attraverso formale denuncia, degli organi di Polizia Giudiziaria (Polizia Municipale, Guardia Forestale, Carabinieri, Polizia, Segreteria di Procura, ecc.), così da poter evitare il peggio all’animale in questione, “colpevole”, solo, di avere un padrone incosciente e insensibile. 

Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite