Il problema di come ripartire le spese dell’acqua potabile all’interno di un condominio è annoso e spesso genera dissidi e contrasti tra i proprietari in sede di approvazione del consuntivo. Molti amministratori, dal canto loro, adottano criteri “personalizzati” di ripartizione di questa spesa che non sempre soddisfano i condòmini lasciando aperte diatribe e contestazioni. Il problema diventa ancor più sentito quando nello stabile sono presenti attività commerciali che, per la loro natura, utilizzano l’acqua con maggior frequenza generando, quindi, rilevanti consumi. Si pensi per esempio a tutti gli esercizi commerciali, quali bar, tintorie, ristoranti e pescherie, per i quali l’acqua è un elemento indispensabile. I consumi allora crescono in maniera esponenziale e stabilire in quale modo i relativi costi debbano essere suddivisi tra i partecipanti al condominio diventa un vero dilemma...
DIVERSI AMMINISTRATORI, DIVERSE SOLUZIONI I criteri attualmente adottati dagli amministratori sono diversi e tutti possono prestare il fianco a critiche o dar adito a diseguaglianze di trattamento tra i condòmini. Vediamo che succede. Alcuni utilizzano ancora il metodo della ripartizione in base al numero degli alloggi, ma questo metodo ha creato non pochi dissidi tra i proprietari, posto che non tutte le unità immobiliari sono abitate dallo stesso numero di persone: è altamente probabile se non certo, ad esempio, che un appartamento di cinque persone consumi di più di quello occupato da una coppia con un bambino piccolo. Un altro dei metodi utilizzati, in alcuni condomini che hanno un unico contatore d’acqua generale, è quello di suddividere l’importo totale della bolletta per il numero di persone presenti nel condominio. Si pensi all’ipotesi che un condominio riceva una bolletta di 1000 euro per il consumo dell’acqua e lo stabile sia abitato da 50 persone. L’amministratore effettuerà il riparto della spesa imputando 20 euro a chi vive da solo e 80 euro alla famiglia composta da 4 persone. Anche in questo caso sorgono dei problemi sull’applicazione di questo criterio di suddivisione, per così dire “equitativo”: c’è chi sostiene che un bambino potrebbe consumare meno acqua di un adulto, oppure che un appartamento potrebbe non essere abitato in modo continuativo dai proprietari oppure, ancora, che alcuni esercizi commerciali debbano avere un contatore a parte dedicato esclusivamente alla loro attività. In alcuni condomini, poi, la spesa per il consumo dell’acqua viene ripartita adottando il discutibile criterio del valore millesimale dell’appartamento.
MAI NESSUNO È CONTENTO! Insomma una cosa è certa: qualunque sia il criterio prescelto i proprietari di casa risultano spesso, se non sempre, scontenti. Nella pratica, infatti, tali metodi rivelano i loro limiti applicativi poiché non consentono una ripartizione giusta ed equa per tutti e, dunque, sorge il bisogno di fare chiarezza. Se è vero, infatti, che il Codice Civile non contiene alcuna specifica disposizione relativa alla ripartizione delle spese per il consumo d’acqua in condominio, è anche vero che il principio più congruo al quale bisognerebbe attenersi è quello del calcolo effettuato sull’effettivo consumo di ogni singola unità immobiliare. Peraltro, solo un regolamento contrattuale, da tutti sottoscritto al momento del rogito, potrebbe porre deroghe a tale criterio.
MA COSA DICONO I PRECEDENTI LEGISLATIVI? Per risolvere la questione viene, innanzitutto, in aiuto un decreto ministeriale, emanato nell’ambito delle disposizioni in materia di risparmio delle risorse idriche, che impone regole ben precise sull’obbligo di installazione dei contatori di ripartizione del consumo dell’acqua in ogni singola unità immobiliare. Peraltro, già la Legge 5 gennaio 1994 n. 36 recante “Disposizioni in materia di risorse idriche” all’articolo 5, comma uno, prevedeva che “il risparmio della risorsa idrica è conseguito, in particolare, mediante la progressiva estensione delle seguenti misure: ... installazione di contatori in ogni singola unità abitativa”. In attuazione di tale normativa, più conosciuta come Legge Galli, è poi intervenuto appunto il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 1996, che ha dettato disposizioni in materia di risorse idriche il quale, in tema di misurazione dei consumi, all’art. 8, paragrafo 2, punto 8, indica “La misurazione dei volumi consegnati all’utente si effettua, di regola, al punto di consegna, mediante contatori, rispondenti ai requisiti fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1982, n. 854, recepente la Direttiva Comunitaria n. 75/33. Là dove esistono consegne a bocca tarata o contatori non rispondenti, deve essere programmata l’installazione di contatori a norma. In relazione a quanto disposto dall’articolo 5, comma 1, lettera c), della Legge 5 gennaio 1994, n. 36, dove attualmente la consegna e la misurazione sono effettuate per utenze raggruppate, la ripartizione interna dei consumi deve essere organizzata, a cura e spese dell’utente, tramite l’installazione di singoli contatori per ciascuna unità abitativa. È fatto obbligo al gestore di offrire agli utenti l’opportunità di fare eseguire a sua cura, dietro compenso e senza diritto di esclusività, le letture parziali e il riparto fra le sotto utenze e comunque proporre procedure standardizzate per il riparto stesso. La disciplina degli eventi contenziosi deve essere prevista nel Regolamento di utenza”.
LA LEGGE DICE “BASTA SPRECHI!” La normativa sopra richiamata è stata poi ripresa dal Decreto Legislativo n. 152/2006 recante Norme in materia ambientale che riunisce tutta la normativa su acque, suolo, rifiuti, ecc. in un unico testo, abrogando le precedenti norme in vigore. In base all’articolo 146 del succitato decreto, confermando lo spirito e le intenzioni della previgente legislazione, si è demandata alle Regioni l’adozione di “norme e misure volte a razionalizzare i consumi ed eliminare gli sprechi e in particolare a: ...installare contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa”. In forza ed in virtù di quanto stabilito dalla legge ogni proprietario può, quindi, far mettere all’ordine del giorno dell’assemblea l’obbligo di installazione dei contatori in ogni appartamento e, in mancanza di accettazione della richiesta, ogni proprietario può agire personalmente, per il riconoscimento di tale diritto, tramite accesso al Giudice di Pace che ha competenza nella materia.
QUAL È ALLORA IL CRITERIO GIUSTO? Alla luce della normativa vigente, risulta più che mai opportuno che ogni condominio persegua e realizzi nei fatti un criterio di equità nella ripartizione delle spese per il consumo d’acqua decidendo, laddove manchi, di installare un contatore (denominato di sottrazione) per ogni singola unità immobiliare. Optando per tale soluzione, in adempimento delle indicazioni di legge, la bolletta relativa al consumo d’acqua dovrà essere calcolata in base ai consumi rilevati dal contatore generale, mentre la ripartizione interna avverrà sulla base dei consumi effettuati dai singoli condomini. Vale la pena di ricordare, inoltre, che oltre ai consumi derivanti da un utilizzo privato esiste anche un consumo diverso ovvero comune dell’acqua come quello, ad esempio, relativo all’innaffiamento del giardino o alla pulizia delle parti comuni. In questo caso questo ulteriore consumo dovrà essere ripartito diversamente ovvero secondo i millesimi contenuti nella tabella condominiale spese generali ed il suo valore in termini economici è desunto dalla differenza tra il totale riportato dalla bolletta e la sommatoria dei consumi di ogni singola unità immobiliare.
INTERVIENE LA CASSAZIONE In mancanza dei contatori di sottrazione, che misurano i consumi dei singoli condomini, le occasioni di contrasto sono assai frequenti ed in alcuni casi i proprietari scontenti si sono rivolti all’autorità giudiziaria. In particolar modo vogliamo segnalare un’interessante pronuncia della Suprema Corte che ha deciso in ordine alla ripartizione della spesa dell’acqua in un condominio con un unico contatore ovvero senza contatori di sottrazione per ogni singola unità. L’origine della controversia nasce da una particolare modalità di ripartizione delle spese per il servizio di erogazione dell’acqua potabile adottata con delibera dall’assemblea di un condominio. Con tale delibera le spese per l’acqua potabile venivano suddivise in proporzione al numero degli occupanti delle unità immobiliari, con esonero di quelle che risultavano disabitate. Non è il caso di prestare particolare attenzione all’iter procedimentale della vicenda ma piuttosto è importante soffermarsi sulle motivazioni della sentenza in esame (Cassazione civile, Sezione II, 1° agosto 2014, n. 17557).
UNA SENTENZA COERENTE AL PRINCIPIO LEGISLATIVO La pronuncia pone come premessa che “le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche”. Anche i giudici della Suprema Corte si riferiscono, quindi, al contatore di sottrazione e, infatti, proseguono: “l’installazione in ogni singola unità immobiliare di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l’addebito dei costi, salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell’acqua che serve per le parti comuni dell’edificio”. Gli ermellini passano poi a considerare il caso concreto in cui, invece, le unità immobiliari non siano dotate di contatore di sottrazione. In tale ipotesi, afferma la Corte, “il sistema dell’art. 1123 cod. civ. non ammette che, salvo diversa convenzione tra le parti, il costo relativo all’erogazione dell’acqua, con una delibera assunta a maggioranza, sia suddiviso in base al numero di persone che abitano stabilmente nel condominio e che resti di conseguenza esente dalla partecipazione alla spesa il singolo condomino il cui appartamento sia rimasto disabitato nel corso dell’anno. Il comma 1 della citata disposizione, infatti, detta un criterio per le spese di tutti i beni e servizi di cui i condomini godono indistintamente, basato su una corrispondenza proporzionale tra l’onere contributivo ed il valore della proprietà di cui ciascuno condomino è titolare”
I PROPRIETARI DI APPARTAMENTI DISABITATI PAGANO COMUNQUE La Suprema Corte poi, pur non ritenendo espressamente inapplicabile, alla materia della ripartizione dei costi dell’acqua, quanto stabilito dal secondo comma dell’art. 1123, secondo comma, del codice civile, secondo cui “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne”, precisa che il servizio differente verso ciascun condomino deve guardare all’utilizzazione potenziale. Dire, infatti, che in una casa non abitata non si consuma acqua, può essere vero ma non è assolutamente certo. In quell’abitazione potrebbe, infatti, esserci una perdita, oppure si potrebbe utilizzare il servizio per le periodiche pulizie o per l’annaffiatura delle piante. Allo stesso modo stabilire un criterio di ripartizione più oneroso per il caso in cui in un’abitazione siano presenti una o più persone, è sfornito di ogni ragionevolezza, tant’è che i giudici precisano che: “… esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all’annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura dell’acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo”. Pertanto, secondo la Corte di Cassazione deve essere sempre tenuto presente il principio di carattere generale, secondo il quale “in tema di condominio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali delle singole proprietà, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”.
IMPUGNATE LE DELIBERE CHE IMPONGONO CRITERI DIVERSI! Il processo logico giuridico contenuto nella decisione che ho esaminato risulta particolarmente interessante (ed innovativo) in quanto ha il merito di porre in evidenza che molte consuetudini condominiali, possono essere contestate così come possono essere impugnate le delibere che non applichino criteri di riparto della spesa diversi da quello indicato dall’art. 1123, comma primo, del codice civile. Certo è che adottare sistemi di misurazione dei consumi per ogni singola unità rimane la soluzione giuridicamente e logicamente da preferire, anche se inizialmente comporta maggiori costi per le opere di installazione del contatore di sottrazione. Senza contare poi che il contatore personale induce, in genere, i condomini a una maggiore accortezza d’uso e a non cedere alla tentazione dello spreco di un bene che, per quanto immenso, purtroppo non è inesauribile come si pensa!
Dottor Massimo Botti - Studio Comite