Negli ultimi anni, si è
assistito ad un preoccupante calo delle vaccinazioni, anche obbligatorie, a
causa dei timori circa un possibile nesso causale tra esse ed alcune malattie,
quali l’autismo. I casi di obiezioni di coscienza, sia di genitori sia di
medici, infatti, sono aumentati sempre più, provocando un crollo della
copertura vaccinale nel nostro paese al limite della soglia di sicurezza. Da
qualche tempo, però, o perché sembrano aumentati i casi di meningite o perché
premono gli interessi economici delle case farmaceutiche, l’importanza delle
vaccinazioni è ritornata al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e
dello stesso Servizio Sanitario Nazionale. Nei nuovi LEA 2017, i livelli essenziali
di assistenza sanitaria di recente approvati dal Presidente del Consiglio,
infatti, sono state inserite anche le vaccinazioni e presto sarà attivato il
Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017- 2019. Ma, anche la
giurisprudenza ha contribuito in tal senso, valutando legittima la delibera
comunale, che pone quale requisito per l’accesso alle scuole materne comunali e
ai servizi per la prima infanzia l’assolvimento dell’obbligo vaccinale. Vediamo
meglio.
FACCIAMO PRIMA CHIAREZZA
Attualmente,
in Italia esistono quattro vaccinazioni
obbligatorie, fissate con quattro distinte leggi: la n. 891 del 1939 sulla
vaccinazione antidifterica, la n. 292 del 1963 su quella antitetanica, la n. 51
del 1966 sulla vaccinazione antipoliomelitica e infine la n. 165 del 1981 sulla
vaccinazione contro l’epatite B. Vi sono, poi, le vaccinazioni raccomandate, cioè quelle che, pur non essendo
obbligatorie, sono considerate molto importanti dalla comunità pediatrica. Sono
quelle contro la pertosse, il morbillo, la parotite, la rosolia e
l’antihaemophilus influenzale B. Infine, ci sono due vaccini consigliati, di cui si parla molto in queste settimane, a
seguito dei casi di meningite che si sono verificati in alcune Regioni:
l’antipneumococco e l’antimeningococco.
L’OBBLIGO DI
VACCINAZIONE NON È MAI STATO ABROGATO neanche dal D.P.R. n. 355/1999, in materia di
certificazioni relative alle vaccinazioni obbligatorie. Non vale, infatti, ad
eliminare l’obbligatorietà dei suddetti vaccini la disposizione contenuta nel
suo art. 1, secondo cui, all’atto dell’ammissione dell’alunno alla scuola o
agli esami, la mancata produzione della
certificazione comprovante l’avvenuta vaccinazione obbligatoria non comporta il rifiuto di ammissione
dell’alunno alla scuola dell’obbligo o agli esami. Con tale disposizione,
infatti, si è inteso solo consentire che, laddove i genitori, contrariamente
all’obbligo di legge, scelgano di non vaccinare i propri figli, ciò non
presenta conseguenze negative per quanto riguarda l’iscrizione degli stessi
alla scuola dell’obbligo. In sostanza, viene solo inibita la conseguenza della
mancata iscrizione, ma permane pienamente l’obbligo di vaccinare i propri bimbi
per le quattro malattie sopra indicate, così come permane l’impegno, in capo al
direttore, di comunicare la mancata vaccinazione all’azienda sanitaria di
appartenenza dell’alunno ed al Ministero della sanità, per gli opportuni e
tempestivi interventi. Si tratta, infatti, di una norma concepita per tutelare,
contemperandoli, due diritti
costituzionalmente sanciti, ma che possono venire a confliggere: il diritto alla salute della collettività
e del singolo individuo (art. 32 Costituzione) ed il diritto all’istruzione (artt. 33 e 34 Costituzione).
L’AMMISSIBILITÀ
SCOLASTICA PER I BAMBINI NON VACCINATI tuttavia vale solo per la scuola dell’obbligo.
È quanto, infatti, ha chiarito una recente sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia, occupandosi di un ricorso presentato da
due coppie di genitori di due bimbi in età
prescolare avverso la delibera comunale che, modificando il regolamento
delle scuole materne comunali e dei servizi per la prima infanzia, di fatto ne
vietava l’accesso a quei bambini non vaccinati. Il giudice amministrativo,
infatti, dopo aver riconosciuto la particolare rilevanza della questione
sottoposta alla sua valutazione anche per le disquisizioni scientifiche
condotte sull’argomento, ha escluso l’applicabilità al caso in esame dell’art.
1 sopra richiamato, fermo restando che esso non abroga affatto l’obbligo delle
quattro vaccinazioni previste per legge, ma ne elimina solo una conseguenza.
Secondo la sentenza, infatti, e contrariamente a quanto ritenuto dai genitori
ricorrenti, la suddetta norma non
costituisce un principio generale regolatore in materia di accesso al sistema
educativo scolastico estendibile quindi anche alla scuola dell’infanzia.
Anzi. Si tratta di una norma del tutto
eccezionale e quindi, come tale, non può essere estesa oltre la scuola
dell’obbligo, ambito a cui espressamente si applica. In altri termini, il fatto
che l’obbligatorietà delle vaccinazioni sia rimasta nell’ordinamento, non
consente di estendere un beneficio particolare oltre l’ambito previsto dalla
norma espressa. Non è, quindi, consentito né il ricorso all’analogia né
all’interpretazione estensiva (TAR
Friuli Venezia Giulia, sezione I, sentenza del 16/01/2017, n. 20).
IN CONCLUSIONE per il giudice
amministrativo l’adozione di un siffatto divieto di accesso alla scuola materna
in assenza di vaccinazioni obbligatorie non
solo è legittima alla luce della normativa vigente, ma sarebbe addirittura auspicabile nella misura in
cui essa è finalizzata alla cura ed alla
tutela dell’interesse e della salute collettiva. Infatti, agendo
diversamente, non solo si rischia di incentivare indirettamente le obiezioni di
coscienza che, al di là delle valutazioni strettamente medico – scientifiche,
possono rivelarsi un pericoloso boomerang per la collettività tutta, ma
soprattutto si rischia di sostenere indirettamente un interesse individuale. Ossia l’interesse di chi decide di non vaccinare
i figli, perché ritiene che il rischio delle vaccinazioni sia maggiore del
rischio derivante dalle malattie oggetto di dette vaccinazioni. Ma ciò è vero
solo se gli altri soggetti della collettività abbiano sottoposto i propri figli
alle vaccinazioni, con la conseguenza che l’interesse individuale presuppone un obbligo collettivo. Il che è
evidentemente inaccettabile.
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando