Sulle pagine dei giornali sempre più spesso si legge di fatti, talvolta gravi, che vedono protagonisti giovani di minore età. Si va da atti di vandalismo a comportamenti di bullismo, dentro e fuori le mura scolastiche, sino ad arrivare al compimento di reati che destano un forte allarme sociale quali rapine, violenze sessuali e persino omicidi. Non bisogna neppure trascurare, tuttavia, tutti quei comportamenti che, seppur non reati, sono però meri atti illeciti colposi i quali, comunque, secondo le normali regole che presiedono la responsabilità civile, obbligano ad un risarcimento talvolta cospicuo. Ma se è un minore a fare il danno, chi risarcisce?
Secondo quanto dispone l’art. 2048 del Cod. Civ. i genitori sono ritenuti responsabili dei danni cagionati dai figli minori a meno che non provino di non aver potuto impedire il fatto. La questione è apparentemente semplice ma in molte sue pronunce la giurisprudenza (sia di merito che di legittimità) ha chiarito che la locuzione “non aver potuto impedire” in realtà presuppone un complesso di comportamenti positivi dei genitori da cui desumere la prova che gli stessi abbiano saputo ben vigilare sul minore ed abbiano impartito un’educazione adeguata ovvero sufficiente a impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità (vedi Trib. Milano, sez. X, 16.10.2009 ).
Nel caso in cui un minore, capace di intendere e volere, commetta un fatto illecito l’art. 2048 infatti pone a carico una duplice presunzione di responsabilità ovvero da un lato quella di non avere impartito un’adeguata educazione , dall’altra quella di non aver vigilato sulla sua condotta. Per vincere tale duplice (e gravosa) presunzione di responsabilità i genitori devono dimostrare rigorosamente di avere adempiuto tutti i doveri ed esercitato tutti i poteri idonei ad impedire l’illecita condotta del figlio minore impartendo un’educazione, secondo l’indole ed il carattere dello stesso, diretta a far percepire i valori della vita sociale per una corretta gestione dei rapporti interpersonali oltre che fondata sul rispetto delle regole e dei doveri in maniera commisurata all’età.
I genitori devono inoltre dimostrare di aver vigilato con perseveranza, prima dell’accadimento del fatto dannoso, sulla condotta del minore medesimo anche in ambito extrafamigliare e scolastico, sia correggendone i difetti sia inducendolo a tenersi lontano da comportamenti illeciti o da ambienti e frequentazioni che possano agevolare detti comportamenti. Si tratta certo di una prova assai ardua da fornire specie se il minore sia già entrato nella fase adolescenziale dove non solo il progetto educativo si presume per certi versi concluso ma, sappiamo bene, quando diventa assai più difficile porre in essere una vigilanza sui comportamenti e sulle attività dello stesso che si svolgono ormai in piena autonomia al di fuori dell’ambiente famigliare.
Ritengo utile ricordare che tanto più grave è il fatto commesso (e qui mi riallaccio ai fatti costituenti reato) tanto più è ritenuta sussistere la duplice presunzione responsabilità a carico dei genitori (c.d. culpa in educando e culpa in vigilando). La gravità dell’illecito commesso dal minore depone infatti, sempre secondo conforme giurisprudenza, nel far ritenere ipso facto non adeguato il processo educativo fornito al minore così come carente il dovere di vigilanza sullo stesso.