mercoledì 31 agosto 2016

LAVORO: INVESTIGATORI PRIVATI SULLE TRACCE DEI FURBETTI?


La cronaca di questi ultimi tempi ci ha raccontato spesso di lavoratori fannulloni, infedeli ed assenteisti, che, ora fingendosi malati, ora abusando dei permessi previsti dalla legge, ora assentandosi ingiustificatamente dal luogo di lavoro, violano gli obblighi di diligenza e di fedeltà sanciti dagli articoli del codice civile, arrecando anche un danno, economico e di immagine, al datore di lavoro. Sebbene gli episodi più eclatanti riguardino dipendenti pubblici, non è immune a tale fenomeno anche il settore privato, dove infatti gli imprenditori sempre più spesso ricorrono ad investigatori privati, per far pedinare i dipendenti sospettati di tali comportamenti ed accertarne la violazione degli obblighi. Ma, è legittima una tale forma di controllo o costituisce una lesione della privacy, una violazione dei principi sanciti dallo Statuto dei lavoratori? Vediamo cosa stabilisce una recentissima sentenza della Corte di Cassazione…


LA VICENDA da cui scaturisce la decisione in esame, è una come tante, la più classica: il licenziamento per simulazione fraudolenta dello stato di malattia di un lavoratore, incastrato appunto da filmati, fotografie e testimonianze di un agente investigativo, che lo aveva colto nel compimento di “tutta una serie di azioni e movimenti del tutto incompatibili con la sussistenza della malattia impeditiva della prestazione di lavoro”, certificata come lombalgia. Tra i motivi della conseguente impugnativa del licenziamento patito, il lavoratore aveva addotto appunto l’inammissibilità della “ricerca degli elementi utili a verificare l’attendibilità della certificazione medica inviata… compiuta da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro”, in quanto contrastante con gli articoli 2, 3 4 e 5 dello Statuto dei lavoratori e, più in generale, con gli articoli 1 e seguenti del Codice della Privacy, di cui al Decreto Legislativo n. 196/2003.

LA CORTE DI CASSAZIONE ha però dato ragione al datore di lavoro, richiamando e confermando un orientamento prevalente già emerso in precedenti pronunce emesse per analoghe fattispecie. Per i giudici di legittimità, infatti, le disposizioni contenute nell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori in materia accertamenti sanitari, non precludono al datore di lavoro di verificare e contestare l’attendibilità del certificato medico prodotto dal lavoratore (e in genere degli accertamenti di carattere sanitario), qualora sussistano circostanze di fatto, pur non risultanti da un accertamento sanitario, idonee a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza del lavoratore. Ben può, quindi, il datore di lavoro prendere conoscenza, attraverso l’utilizzo di investigatori privati, di comportamenti del lavoratore che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, siano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. In tale contesto, quindi, può assumere rilievo disciplinare anche una condotta che, seppur compiuta al di fuori della prestazione lavorativa, sia idonea ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, al datore di lavoro. Laddove, infatti, come nel caso di specie, la malattia del lavoratore, rimasto assente per dichiarata lombalgia, si riveli insussistente o, comunque, tale da non impedirne l’attività lavorativa, si configurano mala fede e slealtà nei confronti del datore di lavoro tale da incidere sul rapporto fiduciario e legittimare l’adozione di un provvedimento di licenziamento per giusta causa (Cassazione civile, Sezione lavoro, Sentenza del 16 agosto 2016, n. 17113; così anche Cassazione civile, Sezione lavoro, Sentenza del 26 novembre 2014,  n. 25162).

L’UTILIZZO DI INVESTIGATORI PRIVATI NON È TUTTAVIA SENZA LIMITI Certo, da un punto di vista generale, anche le disposizioni di cui agli articoli 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori, pur delimitando, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi (tutela del patrimonio aziendale e vigilanza dell’attività lavorativa), non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, appunto, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica l’adempimento delle prestazioni lavorative ai sensi degli articoli 2086 e 2104 del codice civile. Tuttavia, e qui c’è il limite, per i giudici di legittimità, l’attività delle agenzie investigative non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento né l’inadempimento dell’obbligazione lavorativa, ma deve limitarsi agli atti illeciti, alle condotte di natura fraudolenta del lavoratore, non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione, ma comunque incidenti in maniera pregiudizievole sul rapporto lavorativo. In sostanza, quindi, è lecito utilizzare ai predetti fini le agenzie investigative, ma a condizione che la loro attività non sconfini nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, che l’art. 3 dello Statuto riserva direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori (Cassazione civile, Sezione lavoro, Sentenza del 7 giugno 2003, n. 9167).

E NEL PUBBLICO IMPIEGO? Di recente, la Corte dei Conti, probabilmente recependo l’indignazione generale scatenata dai tanti casi dei cosiddetti furbetti del cartellino, ha ribaltato, con alcune sentenze, consolidate posizioni precedenti, consentendo anche alla Pubblica Amministrazione di avvalersi dei servizi investigativi privati per stanare in maniera più incisiva, rapida ed efficace, i dipendenti infedeli e riconoscendo valore probatorio alle indagini private finalizzate ad accertare e contrastare le violazioni contrattuali dei dipendenti pubblici (Corte dei Conti, seconda sezione centrale di appello, Sentenza n. 71 del 22 gennaio 2016).


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando