Le
tanto agognate vacanze stanno arrivando per molti di noi; per altri sono già
terminate. Sole, mare o montagna, divertimento e relax sono ciò che accomunano
questi ultimi caldi mesi. Eppure
c’è un altro elemento che, da qualche anno, purtroppo, sembra essere una
costante del periodo estivo: l’abbandono dei nostri amici animali. Avere animali domestici comporta una serie di responsabilità, non mi riferisco solo
al dovergli dare da mangiare o al doverlo portare fuori la mattina presto. Anche
gli animali hanno una loro dignità e sensibilità e, pertanto, comportamenti
tali da provocargli sofferenze sono penalmente rilevanti. È ciò che ha ribadito
recentemente una pronuncia del Tribunale di Campobasso. Esaminiamo, allora,
insieme questa bella sentenza…
COSA
DICE LA LEGGE SULL’ABBANDONO DI ANIMALI? Da sempre il nostro Legislatore è attento alla tutela degli
animali, prevedendo una serie di misure volte a garantire la loro salute e la
loro stessa vita. Tra tali norme troviamo, prima fra tutte, l’articolo 727 del
codice penale intitolato oggi “Abbandono
di animali” che sanziona chiunque abbandona
animali domestici (primo comma) o li detiene in condizioni incompatibili
alla loro natura e produttive di gravi
sofferenze (secondo comma). Si tratta di due regole che, se violate,
comportano la sanzione della contravvenzione. Esse sono distinte tra loro ma
accomunate dal medesimo bene giuridico protetto: il sentimento di comune pietà verso gli animali, in quanto esseri
viventi capaci di soffrire e provare dolore. Queste regole si pongono in un
rapporto di continuità con i delitti previsti dagli articoli 544bis e seguenti
del codice penale, introdotti nel 2004 ove si sanzionano condotte ritenute più
gravi (uccisione di animali; maltrattamento di animali ecc). Per giurisprudenza
costante, per abbandono di animali si intende tanto la condotta di chi
volontariamente si allontana dallo stesso, quanto quella di chi tiene un
colposo comportamento di indifferenza o inerzia nella ricerca dell’animale. Ad
esempio, si violano le regole contenute nell’art 727 del codice penale sia
nell’ipotesi in cui un soggetto abbia lasciato l’animale nel canile con la
consapevolezza di non andare più a riprenderlo, sia laddove il proprietario del
cane non abbia prontamente denunciato la scomparsa dello stesso. Si
configurerà, altresì, lo stesso reato anche quando gli animali vengano detenuti
in condizioni di abbandono, ossia con modalità incompatibili alla cura e alla
nutrizione degli stessi.
IL
CASO Il Tribunale
monocratico di Campobasso è stato chiamato a pronunciarsi su una vicenda che,
in alcune zone d’Italia, è purtroppo molto frequente. L’imputato era
l’amministratore unico di una società che deteneva 33 animali di varie specie
in condizioni incompatibili con la loro natura e idonei a cagionare agli stessi
gravi sofferenze. In particolare gli
animali si trovavano in una stalla di poco più di 200mq, chiusa all’esterno
e totalmente priva di aperture
capaci di far entrare luce e aria. Inoltre, i muri di questa struttura erano
pieni di spuntoni di ferro in grado di cagionare lesioni, il pavimento era coperto di letame e non vi
erano sistemi di abbeveraggio. Tale situazione era stata documentata dai
rappresentati locali del Corpo Forestale dello Stato con cospicua
documentazione, anche fotografica. Sulla base delle prove prodotte e sui
testimoni ascoltati, il Giudice di Campobasso ha ritenuto, appunto, di
condannare l’imputato per il reato di cui all’art 727 del codice penale (Tribunale di Campobasso, sezione penale,
sentenza 4 aprile 2016, n. 223).
GLI
ANIMALI NON DEVONO SOFFRIRE! Nel
pronunciare una sentenza di condanna per la contravvenzione di cui all’art 727 del
codice penale, il Tribunale di Campobasso si è allineato all’orientamento
giurisprudenziale per il quale la detenzione di animali in stato di sovraffollamento
è penalmente rilevante quando cagiona
una grave sofferenza agli stessi. Proprio quest’ultimo elemento è ciò che
deve caratterizzare il caso concreto per poter essere riferito al reato in
analisi: saranno punite penalmente solo quelle situazioni in cui, secondo la
comune esperienza o la scienza, l’animale subisca un patimento psicofisico. Non
è, però, necessario che dal fatto derivi una lesione o la morte perché, in tal
caso, non si dovrà più parlare di abbandono di animali ma di uccisione degli
stessi (art. 544 bis del codice penale) o di maltrattamento di animali (544 ter
del medesimo codice). Le sofferenze,
poi, devono essere gravi ossia di
significativa intensità. Al di sotto di tale soglia, che potrà essere accertata
anche tramite perizia, non potrà dirsi integrato il reato.
DA
CIÒ DERIVA CHE anche gli
animali hanno una propria dignità e, così, qualsiasi condotta volta a cagionare
loro una situazione di intenso disagio merita di essere sanzionata penalmente.
La sentenza, come auspicabile, appare coerente con l’interpretazione
consolidata delle regole che ho menzionato oltre che apprezzabile dal lato
umano.
Avvocato
Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente Parlando