Avere un coniuge
assillante, che ti tempesta di telefonate a qualunque ora della giornata, non è
certamente una cosa piacevole. Ancor più, quindi, se lo fa l’ex coniuge. Anzi,
in certi casi, si rischia di imbattersi nel reato di molestia. È quanto è
accaduto a una donna condannata dal Tribunale per molestie e disturbo a seguito
della denuncia presentata dall’ex marito, che lamentava di aver ricevuto per
più di un mese ripetute telefonate e messaggi disturbanti da parte della moglie
separata, nonostante avesse cambiato più volte il numero di telefono. La
frequenza e la continuità delle telefonate dimostravano, infatti, che il mezzo
telefonico era stato utilizzato non per uno scopo normale di comunicazione, ma
per esercitare un indebito disturbo al destinatario. Posto che il suo fine non
era quello di arrecare disturbo, quanto piuttosto di ricercare un contatto con
l’ex nell’interesse dei figli, la donna ha fatto ricorso alla Corte di
Cassazione. Scopriamo come è finita…
QUANDO C’È MOLESTIA? L’art. 660 del codice
penale intitolato “Molestia o disturbo alle persone”, dispone che “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al
pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole
motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei
mesi o con l’ammenda fino a euro 516”. Quindi, perché si possa parlare di reato,
è necessario che il comportamento sia connotato dal carattere della petulanza, cioè da quel modo di agire
pressante, invadente, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che
finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente
nell’altrui sfera di quiete e libertà,
oppure che sia accompagnato da altro
biasimevole motivo, cioè qualsiasi altra motivazione che sia da considerare
riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è
considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza. Sotto
il profilo soggettivo, è sufficiente la coscienza
e volontarietà della condotta oggettivamente idonea a molestare e
disturbare i terzi. Pertanto, l’elemento psicologico del reato in questione
sussiste anche quando l’agente esercita o ritiene di esercitare un suo diritto, se il suo comportamento
si estrinseca in forme tali da arrecare molestia o disturbo con lo specifico
intento di ottenere, eventualmente per vie diverse da quelle legali, il
soddisfacimento di proprie pretese.
IL TELEFONO STRUMENTO
MOLESTO
La giurisprudenza di legittimità, recependo i progressi della tecnologia, già
da qualche anno, ne dà un’interpretazione più ampia ai fini della
configurabilità del reato in questione, facendovi rientrare anche gli SMS.
Infatti, se ricorrono gli elementi oggettivi e soggettivi, anche l’invio di SMS può essere fonte di molestia o
disturbo. Gli SMS, infatti, non possono essere assimilati a messaggi di tipo
epistolare, in quanto il loro destinatario è costretto a leggerli o ascoltarli,
con il conseguente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di
poterne individuare il mittente, che in tal modo realizza l’obiettivo di recare
disturbo al destinatario (ex multis, la
più recente Corte di Cassazione, I sezione penale, sentenza n. 26312 del 23/06/2016).
NELLA VICENDA IN ESAME l’imputata si era
giustificata con la necessità di ottenere un dialogo funzionale e necessario
per il sostentamento e l’educazione dei figli. L’ex marito, infatti, non aveva
rispettato l'obbligo di mantenimento e lei era stata sfrattata per morosità
e aveva difficoltà a gestire i figli. Da qui, le continue telefonate e gli SMS
all’ex, nell’interesse dei figli. Ebbene, se il Tribunale aveva ravvisato in
tale comportamento gli estremi del reato di molestia e condannato la donna, la
Corte di Cassazione, invece, attraverso un’analisi più sottile e quasi
psicologica della storia, la scagiona. A ben vedere, infatti, il marito non era
tanto vittima di una molestia oggettiva
(seppure umanamente giustificabile e comprensibile), quanto piuttosto percepiva come moleste le continue
telefonate e gli SMS in quanto “non gradendo le chiamate le interrompeva”.
Ossia, il classico comportamento di chi, finito male il matrimonio, vuole
tagliare col passato, figli e responsabilità inclusi, rifiutando come molesto e
fastidioso ogni eventuale rigurgito della precedente vita matrimoniale. Tale
meccanismo, abilmente colto dai giudici di legittimità, non è quello che
intende sanzionare la norma, incentrata sulla molestia dell’atto e non certo sulla
percezione che di esso ha il destinatario (Corte
di Cassazione, I sezione penale, sentenza n. 26776 del 28/06/2016).
MEGLIO FARE ATTENZIONE a utilizzare il reato
di molestia per giustificare o schermare il comportamento di chi, per sottrarsi
a precisi obblighi posti a suo carico, rifiuti ogni colloquio con la persona nel
cui interesse sussistono certi obblighi.
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando