Qualche settimana fa mi è capitato di
leggere un articolo che narrava di un episodio in cui erano stati coinvolti
alcuni studenti, i quali erano stati sospesi poiché colti dall’insegnante a riprenderlo
con il cellulare, durante la lezione. Il video in questione era poi stato
condiviso attraverso WhatsApp allo scopo di ridicolizzarlo. Storie come queste
non sono certamente rare nel mondo della scuola, dove l’uso e l’abuso degli
smartphone ha portato, nei casi più gravi, fino ad episodi di cyberbullismo e a
denunce di insegnanti la cui privacy è stata violata dalle registrazioni
effettuate di nascosto da qualche studente. Ma, questa delle registrazioni, occulte
o fraudolente e del loro impatto
sulla privacy, è una questione molto dibattuta non solo nel mondo della scuola e,
anzi, ha formato oggetto di diverse sentenze della Corte di Cassazione, sia
civile sia penale, con orientamenti talvolta confliggenti tra loro. Di recente,
si è ritornati a parlarne in occasione della riforma del processo penale, attualmente
all’esame del Senato. Cerchiamo, allora, di capire...
si parla di
registrazioni occulte o fraudolente per
indicare le registrazioni, in genere fonografiche, di una conversazione, di un
colloquio, di una telefonata, effettuate da un soggetto che vi partecipa o
comunque è ammesso ad assistervi, all’insaputa degli altri partecipanti. Esse si distinguono dalle intercettazioni proprio
per il diverso ruolo che riveste la persona che registra, che nelle
intercettazioni è un soggetto terzo rispetto ai partecipanti alla discussione o
alla telefonata oggetto della registrazione, che pertanto è disciplinata in
modo specifico. Proprio perché effettuate all’insaputa dei soggetti registrati,
si è generalmente portati a ritenere che le registrazioni occulte possano
determinare una violazione della privacy delle persone inconsapevolmente
registrate. Ma è proprio così?
Il garante per
la protezione dei dati personali non si è
pronunciato espressamente sull’argomento, ma ha fornito alcune indicazioni
di carattere generale nel vademecum del 2010 dedicato al mondo della scuola,
dal titolo “La privacy tra i banchi di scuola”. Nella breve guida, l’Autorità
ammette le registrazioni delle lezioni e l’utilizzo di videofonini e di
apparecchi per la registrazione di suoni e immagini, purché siano per scopi
personali (per esempio, per motivi di studio individuale) e sempre nel rispetto
dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone coinvolte, in
particolare della loro immagine e dignità. Laddove, infatti, se ne faccia un
diverso utilizzo o un’eventuale diffusione, anche su Internet, l’Autorità
ritiene necessario che se ne informino preliminarmente ed adeguatamente
le persone coinvolte nella registrazione e se ne ottenga l’esplicito consenso.
Quindi, ragionando in un contesto generale, sembrerebbe che, ai fini della
tutela della privacy, non importi come viene effettuata la registrazione (in
modo palese o in modo occulto), quanto piuttosto che non finisca in un ambito
pubblico e non sia lesiva per l’immagine e la dignità delle persone registrate,
richiedendosene solo in tal caso l’esplicito consenso e quindi la conoscenza e
la consapevolezza della registrazione.
la giurisprudenza
si è occupata in diverse pronunce del
binomio registrazioni occulte/tutela della privacy, giungendo però a
conclusioni diverse a seconda che se ne sia occupata in sede civile o in sede
penale. In sede civile, infatti, la Corte di Cassazione ha censurato come
lesivo del diritto alla riservatezza dei colleghi il comportamento di un
dipendente che ne aveva registrato e diffuso le conversazioni in ambito
lavorativo allo scopo di utilizzarle per provare il mobbing nei suoi confronti
(Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza
del 21 novembre 2013, n. 26143). La giurisprudenza penale, invece, ammette
oramai pacificamente la liceità delle registrazioni occulte sia quali valide
prove documentali di un fatto storicamente avvenuto e penalmente rilevante sia sotto
il profilo del Codice della Privacy. Secondo la Corte di Cassazione, infatti,
le registrazioni occulte equivalgono a una presa di appunti scritti, sono una
modalità di conservazione di un momento storico e, purché siano effettuate
all’interno di determinati limiti e, comunque, non siano destinate ad una
diffusione per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, non sono
censurabili neppure dal Codice della Privacy. Quindi, è lecito registrare una
conversazione tra soggetti presenti (chi dialoga accetta il rischio che la
conversazione possa essere registrata) e non c’è alcuna violazione della privacy
se la conversazione viene diffusa esclusivamente per la tutela di un diritto.
In questi casi, infatti, per i giudici di legittimità non si configura alcun
trattamento illecito di dati, di cui all’articolo 167 del D.Lgs. n. 196/2003, che
presuppone una diffusione solo per trarne un vantaggio proprio o altrui o per
recare un danno ad altri (Corte di Cassazione, I sezione penale, sentenza 8
giugno 1999, n. 7239; Corte di Cassazione, III sezione penale, sentenza 13
maggio 2011, n. 18908; Corte di Cassazione, III sezione penale, sentenza 6
marzo 2013, n. 10277).
OCCORRE
DISTINGUERE CIò CHE è LECITO DA CIò CHE NON LO è Volendo incardinare la questione all’interno del Codice
della Privacy cercandovi una risposta alla domanda di partenza che non si
limiti solo ad un contesto penale, come ha fatto la giurisprudenza ora
ricordata, possiamo richiamarci al combinato disposto dei suoi articoli 13,
comma 5, lettera b), e 24, lettera f), secondo cui il trattamento dei dati personali può essere effettuato anche senza
la condivisione dell’informativa di cui all’articolo 13, comma 1, del
Codice medesimo ed in difetto del consenso quando, con esclusione della diffusione, esso è finalizzato a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria,
sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il
periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Al di fuori di queste
condizioni, quindi, si configurerà senz’altro una violazione dell’altrui
riservatezza a cui corrisponderà, sotto un profilo penale, un delitto che l’art.
30 del disegno di legge di riforma del processo penale vuole appunto
imputare a chi diffonde, al solo fine di recare
danno alla reputazione o all’immagine altrui, riprese audiovisive o
registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed
effettuate fraudolentemente, salvo che le registrazioni o le riprese siano
utilizzate nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per
l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.
IN CONCLUSIONE occorre
tenere a mente tali criteri per evitare che un’azione legittima si trasformi in
un illecito giuridicamente rilevante e per ciò stesso sanzionabile, anche
eventualmente in sede penale.
Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente
parlando