È trascorso qualche tempo da quando ho fatto il punto sul tema del risarcimento che spetta a coloro che, a seguito di un sinistro stradale, abbiano subito il danneggiamento della propria autovettura. In quell’occasione, rispondendo al quesito di un lettore, avevo evidenziato che nel momento in cui si è costretti a sopportare il fermo dell’auto a causa dei danni che la stessa ha riportato in conseguenza di un incidente stradale si ha diritto ad un risarcimento per il solo fatto che si sia in grado di dimostrare che il veicolo resterà in riparazione per un certo periodo di tempo. Tale partita è meglio nota come “danno da fermo tecnico” ovvero quel danno cagionato dall’inutilizzabilità del bene dovuta alla sosta forzata necessaria per la riparazione dello stesso bene ed a prescindere dall’uso che se ne fa abitualmente. Qualche giorno fa i giudici della Suprema Corte sono tornati sull’argomento, richiamando l’orientamento ormai consolidato. Il proprietario del veicolo danneggiato ha dunque, in linea di principio, sempre diritto ad essere risarcito per il mancato utilizzo dell’auto durante l’affidamento della stessa al professionista che ne curerà la riparazione, salvo che …
PER IL RISARCIMENTO NON SERVONO PROVE SPECIFICHE DEL DANNO Tale criterio è diventato una vera e propria regola. Tanto che sono ormai poco frequenti i casi in cui i preposti delle compagnie di assicurazione, vale a dire i liquidatori, sollevano banali pretesti per non provvedere al risarcimento di tale voce di danno, giudicato equo risarcire per un ammontare di circa cinquanta euro ogni otto ore di lavorazione. Gli ermellini hanno dunque confermato che il principio in virtù del quale il “danno da fermo tecnico”, patito dal proprietario di un autoveicolo a causa dell’impossibilità di utilizzarlo durante il tempo necessario alla sua riparazione, può essere risarcito anche in assenza di una prova specifica, poiché rileva unicamente che il danneggiato sia stato privato dell’auto per un certo periodo di tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato. Ciò significa che si ha diritto a tale partita risarcitoria a prescindere dal fatto che l’auto venga utilizzata per sopperire alle necessità personali e familiari del danneggiato o per motivi di lavoro. L’autoveicolo, infatti, anche durante la sosta forzata è una fonte di spesa per il proprietario (tenuto a sostenere gli oneri per la tassa di circolazione e il premio di assicurazione), ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 26 giugno 2015, n. 13215).
…E QUINDI SI HA SEMPRE DIRITTO AL RISARCIMENTO Il pregiudizio che il danneggiato subisce è strettamente correlato alla sosta forzata che l’autovettura (ma tali considerazioni sono valide per tutti i veicoli in generale) subisce. Ciò significa che l’unica prova che occorre fornire sono i giorni in cui il veicolo è rimasto fermo in officina, fatta salva naturalmente la prova contraria che l’impresa di assicurazione può fornire. Ogni giorno equivale a otto ore di lavoro cui corrisponde un risarcimento che oscilla tra i quaranta ed i sessanta euro. La ragionevolezza di tale forma risarcitoria risiede nel fatto che mentre l’auto è in sosta forzata, il proprietario va incontro a diverse spese, tra cui il premio di assicurazione e la tassa di circolazione, oltre al fatto che il mezzo è “soggetto a un naturale deprezzamento di valore”. Quanto, invece, agli ulteriori danni indiretti in termini sia di danno emergente, vale a dire di spese sostenute, sia di mancato guadagno (si pensi ai tassisti che avendo l’auto ferma non possono produrre reddito), essendo appunto ricollegabili alla sosta forzata per la riparazione solo in via indiretta, spetterà al proprietario fornire la prova specifica di averli subiti (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 9 agosto 2011, n. 17135). In parole semplici se il danneggiato adduce di aver noleggiato un veicolo sostitutivo, dovrà esibire la ricevuta di spesa attestante tale esborso e la circostanza stessa di essere ricorso a tale sostituzione temporanea. Se afferma, invece, di aver subito un mancato guadagno a causa della mancata utilizzazione del bene, dovrà in concreto dimostrare il calo di redditività.
FATTA ECCEZIONE PER UN UNICO CASO… L’unica ipotesi per la quale non si può ipotizzare un risarcimento da fermo tecnico, affermano i giudici in un’altra decisione, è quella per la quale la durata della riparazione sia stata talmente breve da rendere irrilevante l’entità della spesa per tassa di circolazione, per premio di assicurazione e per deprezzamento di valore del veicolo ai quali si fa riferimento abitualmente per giustificare la liquidazione equitativa di tale danno. In altra parole non si può prescindere dall’analisi concreta di ogni singolo caso per valutare se il pregiudizio subito è degno di essere riconosciuto e, dunque, è rilevante per il nostro ordinamento giuridico (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 19 aprile 2013, n. 9626).
IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE Ciò che, a questo punto, è importante sottolineare è che occorre distinguere le partite di danno, mentre talvolta i liquidatori furbetti tentano di mischiare le carte in tavola per confondere le idee ai loro interlocutori. Cercano, quindi, di convincere il danneggiato, o il loro avvocato, che il danno da fermo tecnico (ricordiamo, dovuto alla riparazione presso un tecnico qualificato) dipende da alcune variabili che, qualora inesistenti, impedirebbero tale forma risarcitoria. Questo è sbagliato, fuorviante, oltre che scorretto! Il danno da fermo tecnico è comunque risarcibile sia che il danneggiato abbia dovuto fare ricorso al noleggio di un altro veicolo sia che non lo abbia ritenuto necessario poiché, al limite, tale voce di spesa costituirà un’ulteriore partita di danno ma non si sovrappone mai alla questione circa la risarcibilità o meno del danno da fermo tecnico che poggia su criteri differenti. Ricordatelo!
Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite