Se il loro nome è social network, un motivo ci sarà! Da quando sono nati hanno ricevuto un’attenzione sempre crescente da parte degli internauti, ritagliandosi di fatto un ruolo di primo piano nel panorama della comunicazione. Nonostante ci sia la possibilità di creare una propria cerchia di amici, la diffusione dei contenuti pubblicati dagli utenti, rimane molto poco “circoscritta” al gruppo cui si appartiene, diffondendosi spesso in maniera virale se il contenuto risulta essere interessante. I social network d’altra parte hanno assunto la funzione di avamposto nella creazione di relazioni e nuove conoscenze, dovendosi tuttavia fare carico una serie di problematiche relative proprio alle relazioni umane. I litigi tra conoscenti, amici, parenti oppure tra perfetti sconosciuti hanno così trovato un nuovo ed enorme palcoscenico su cui esibirsi. Attenzione però: molte persone hanno la pessima idea di credere che tutto sia legittimo per il solo fatto di essere nascosti dietro un monitor riparati da mura domestiche. Troppo spesso non ci si rende conto del fatto che ciò che viene scritto su un social, ha una risonanza molto forte, spesso maggiore, rispetto a una qualsiasi frase magari detta tra amici. Pubblicare un contenuto qualsiasi sulla pagina di un utente, significa in pratica, mostrarla contemporaneamente e in tempo reale a tutti coloro che possono accedere al suo profilo in quanto “amici”. Tutto ciò potrebbe non avere una connotazione particolarmente negativa nel caso di opinioni e giudizi positivi o quantomeno educati su qualcuno o qualcosa, ma il discorso cambia radicalmente quando si tratta di…
VITA SOCIAL E INSULTI DIGITALI In quanto centro nevralgico della vita pubblica, i social sono diventati anche luogo in cui le frustrazioni e i litigi nei rapporti sociali prendono vita e si manifestano. Potremmo quasi definirli come delle moderne agorà, in cui ognuno può manifestare il proprio pensiero e le proprie critiche, dimenticando spesso però quali sono i limiti imposti dalla convivenza civile e soprattutto dal codice penale. Non bisogna infatti dimenticare, che il nostro (poco) amato codice Rocco, prevede all’articolo 595 il reato di diffamazione, con il quale viene punito chiunque “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione…” e considera come aggravante della fattispecie, aumentando quindi la pena, la circostanza che esso sia stato commesso “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità..”. Chiunque decida di esternare frasi poco “idilliache” all’indirizzo di amici, sconosciuti o rivali in amore, dovrebbe sapere che rischia di ricevere una condanna alla reclusione da sei mesi a tre anni e una pena pecuniaria non inferiore a 516 Euro. E se le sentenze in cui le colorite esternazioni di qualche utente sono state sanzionate penalmente non mancano di certo (Tribunale di Trento, Sentenza del 14 luglio 2014; Tribunale di Perugia, Sezione II, Sentenza del 10 giugno 2014; Tribunale di Firenze, Sezione I, Sentenza del 18 giugno 2014; Tribunale di Genova, Sezione I, Sentenza del 14 novembre 2013; Tribunale di Aosta, Sentenza del 17 maggio 2012), per quanto concerne la responsabilità civile, il diritto ad un risarcimento per danno non patrimoniale sulla base della norma contenuta nell’art. 2059 del codice civile inizia solo ora ad essere ben definibile e quantificabile.
LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALL’ONORE ED ALLA REPUTAZIONE Il rispetto di questi valori inviolabili della persona, è sancito in ben tre differenti previsioni normative italiane: nel codice penale (come abbiamo già visto agli articoli 594 e 595), nella costituzione agli articoli 2 e 3 ed infine nel codice civile all’interno dell’art. 2059, il quale consente che la violazione di taluni diritti, generi la possibilità di richiedere il risarcimento dei danno non patrimoniale. Come chiarito già dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza dell’11 novembre 2008, n. 26972; Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza del 31 Maggio 2003, n. 8827, e n. 8828) questa tipologia di danno si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica ed il risarcimento è possibile in tutti quei casi in cui si configura la responsabilità civile non contrattuale ex. 2043. Ovviamente, l’ammontare del risarcimento non è facilmente determinabile come sarebbe, invece, se si trattasse dei danni che ha subito un determinato bene, quale può essere l’auto a seguito di un sinistro stradale. Nell’ipotesi di danni non patrimoniali, invece, la quantificazione degli stessi si basa in genere su criteri ben determinati dalla legge (si pensi alla liquidazione del danno biologico da lesioni micro-permanenti) o dai giudici (si pensi alle tabelle milanesi utilizzate per la quantificazione del danno alla salute provocato da lesioni valutate come superiori ai 9 punti di invalidità) o, ancora sul principio dell’equità, come accade nel caso per esempio di quantificazione del danno esistenziale.
100 EURO AL GIORNO A tanto è stata determinata la sanzione nella sentenza del giudice Chiara Zompì, per ogni giorno in cui l’offesa fosse rimasta on-line, dopo l’avvenuta condanna nell’ultimo ma celebre caso di insulti su Facebook. Nel caso specifico, una parrucchiera di Reggio Emilia aveva deciso di ampliare la propria attività con la vendita di prodotti di bellezza, peraltro in maniera completamente legale e con le necessarie autorizzazioni, scatenando le ire del compagno di un’altra professionista del settore impegnata nella vendita dei medesimi prodotti. L’arrivo della concorrenza non era stato per nulla apprezzato da quest’ultimo tanto da spingerlo a pubblicare un post su Facebook che recitava: “vuoi un consiglio…. appena puoi sputati in faccia da sola”. La povera vittima aveva provato in tutti i modi a far sì che l’infelice frase venisse cancellata dall’incauto ed offensivo autore, dapprima chiedendo l’intervento dei Carabinieri e successivamente mediante l’invio di una diffida da parte del proprio avvocato. Ciò nonostante il post non era stato rimosso, lasciandole, come ultima chance, lo strumento giudiziale. Persuaso dall’ordinanza del giudice, ma c’è da credere, più probabilmente, dall’alleggerimento del portafoglio, l’infelice commento è stato infine eliminato!
IL PRECEDENTE DEL 2010 La decisione che possiamo considerare come “pioniere”, in quanto a risarcibilità relativa al danno non patrimoniale subito a seguito di insulti ricevuti sui social, ha stabilito una condanna al risarcimento di ben 15.000 euro (oltre a circa 4.400 euro di spese legali) in virtù della “…evidente lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti (la reputazione, l’onore, il decoro della vittima) e delle conseguenti indubbie sofferenze inferte all’attrice….” (Tribunale di Monza, Sezione IV, Sentenza del 2 marzo 2010, n. 770). Nel caso specifico, il messaggio ritenuto offensivo riguardava le caratteristiche fisiche della vittima (in quanto portatrice di una forma di strabismo) ed allusivo in relazione a sue presunte preferenze sessuali. Evidentemente, proprio perché riguardanti aspetti molto personali della vita di un individuo, il giudice ha ritenuto l’evento particolarmente lesivo ed ha concesso questo cospicuo ed esemplare risarcimento alla parte lesa. Il dato realmente rilevante di questa sentenza dal punto di vista giuridico, tuttavia, è che il giudice ha ritenuto che il risarcimento fosse dovuto indipendentemente dal fatto che l’evento lesivo derivasse dalla commissione di un reato (art. 185 codice penale). Insomma, la sentenza in parola è l’esito di quell’inversione di rotta giurisprudenziale in base alla quale il danno non patrimoniale, nel caso specifico il danno morale soggettivo, viene considerato risarcibile per il solo fatto che rappresenta un “transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima”. “Le maglie” dell’articolo 2059 del codice civile, dunque, si allargano sino a ricomprendere ipotesi non strettamente legate e connesse a reati previsti e puniti dal codice penale.
PROPRIO COME LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA A conferma di questo orientamento, ormai decisamente consolidato, risulta interessante ricordare l’ormai risalente pronuncia della Corte Costituzionale n. 233 dell’11 luglio 2003, la quale ben evidenzia il percorso evolutivo della risarcibilità dei danni non patrimoniali. D’altra parte, risultava logico, oltre che auspicabile, estendere ai reati commessi attraverso l’uso del web la tutela prevista per determinati diritti della persona (onore, decoro ecc..), ormai troppo spesso violati in virtù dell’idea ingiustificata che si possa farla franca grazie alla propria identità digitale. Qualora, quindi, decideste di sfogarvi o lasciarvi scappare epiteti ingiuriosi attraverso internet, sappiate che la questione verrebbe trattata alla stregua di una diffamazione a mezzo stampa e, dunque, potrebbe davvero costarvi molto caro. In estrema sintesi, “uomini avvisati, mezzi salvati”.
Dottor Michael Frasca – Studio Comite