venerdì 9 gennaio 2015

JOBS ACT: APPROVATO UN DECRETO, TUTELE VERAMENTE CRESCENTI?


Molti dei nostri lettori si ricorderanno che lo scorso ottobre ho affrontato il tema relativo alle proposte di riforma del mercato del lavoro avanzate dal Governo, senza esimermi dal sollevare serie riserve sugli effettivi benefici in virtù dell’attuale situazione di congiuntura economica. Ebbene, è il momento di tornare sull’argomento dato che, il Consiglio dei Ministri, lo scorso 24 dicembre, ha approvato un decreto attuativo in forza della delega ricevuta, in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, con la Legge 183 del 10 dicembre 2014. Come avevo anticipato, uno dei punti centrali del decreto riguarda la modifica, a mio avviso peggiorativa, dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ma vediamo, in sintesi, gli aspetti più rilevanti del decreto in questione…


CAMPO DI APPLICAZIONE Innanzitutto occorre sin da subito precisare, che la riforma e l’asserita tutela prevista dal decreto in caso di licenziamento illegittimo, riguarda esclusivamente i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti (con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato) dalla data di entrata in vigore del decreto. Un’eccezione è prevista nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della Legge 20 maggio 1970, n. 300: in questo caso il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del nuovo decreto.

COSA ACCADE QUANDO IL LICENZIAMENTO È DISCRIMINATORIO E NULLO? Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità prevista dalla legge. La suddetta tutela si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale. Il Giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. La misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto (per il medesimo periodo, il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali). Fermo quanto sopra, al lavoratore è data comunque la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

IL LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO E GIUSTA CAUSA Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il Giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.

LICENZIAMENTO CON VIZI FORMALI E PROCEDURALI Nel caso in cui il licenziamento sia stato intimato in violazione del requisito di motivazione o con vizi procedurali, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il Giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tutele previste in caso di licenziamento discriminatorio, nullo, per giustificato motivo e giusta causa.

OFFERTA DI CONCILIAZIONE: IL RISCHIO DI “MONETIZZARE” I LICENZIAMENTI DI MASSA In caso di licenziamento dei lavoratori, al fine di evitare il giudizio, il datore può offrire un importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. In caso di licenziamento collettivo intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio previsto nel caso del licenziamento discriminatorio.

IL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE È forse l’unica vera novità positiva. Presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale viene istituito il Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria. Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo, ha il diritto di ricevere dal Centro per l’impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione. Presentando il voucher a un’agenzia per il lavoro pubblica o privata accreditata, il lavoratore ha diritto a sottoscrivere con essa il contratto di ricollocazione che prevede, in sintesi l’assistenza nella ricerca di una nuova occupazione nonché il diritto del lavoratore alla formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico.

IN CONCLUSIONE Come avete avuto modo di constatare, uno dei punti centrali del decreto riguarda la modifica dell’art. 18: sostanzialmente, per i nuovi assunti, il licenziamento per motivi economici e organizzativi (non legati a un comportamento del lavoratore) e per la grande maggioranza dei licenziamenti disciplinari, non darà più il diritto al reintegro sul posto di lavoro, ma a un indennizzo. Il tetto massimo, in caso di risarcimento economico illegittimo, resta a 24 mensilità, ma l’indennizzo varierà a seconda della dimensione dell’azienda. Inoltre, per i licenziamenti disciplinari, la tutela reale rimane solo per i casi di “insussistenza del fatto materiale” dimostrata in giudizio. A onor del vero, è triste dover rilevare che l’osannato “contratto a tutele crescenti” non esiste; anzi, a guardar bene, le tutele non crescono ma diminuiscono rispetto addirittura a quanto aveva previsto la riforma Fornero. Sfugge ancora una volta comprendere per quale ragione la crisi occupazionale debba essere affrontata rendendo più semplice e leggero il licenziamento, riducendo penosamente il diritto al lavoro a pura economia ovvero a un mero calcolo di mensilità. Mi sembra, dunque, quanto mai opportuno ricordare e concludere con le parole di Massimo D’Antona, insigne giuslavorista, quando scriveva "il diritto del lavoro riguarda l’essere anziché l’avere". 



Avv. Roberto Carniel – Studio Comite