lunedì 12 gennaio 2015

SE A CAUSA DI UN INCIDENTE PERDI LA TUA METÀ HAI DIRITTO AL RISARCIMENTO (SOLO SE DIMOSTRI LA RELAZIONE STABILE)


Una recente decisione dei giudici della Suprema Corte mi offre l’occasione per tornare sul tema della risarcibilità dei danni da perdita o lesione di un congiunto derivante, nel caso in questione, da sinistro stradale ma applicabile anche ad altri illeciti da cui scaturisca appunto la morte o il grave ferimento di una persona cara. Molti ritengono, infatti, che l’elemento determinante per la titolarità del diritto al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, sia la convivenza con il soggetto che subisce una lesione grave o addirittura la perdita della vita. Indubbiamente la circostanza della coabitazione, accompagnata da una relazione affettiva, fa nascere in capo al superstite o alla compagna un diritto al risarcimento. Tuttavia, la giurisprudenza, in modo condivisibile, evidenzia che il presupposto condizionante la richiesta risarcitoria è di altra natura. Vediamo allora cosa intendano i giudici con l’espressione prossimi congiunti … 

I PROSSIMI CONGIUNTI HANNO UN PERSONALE DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO MORALE Ciò significa che i congiunti del soggetto leso, ivi compresa la fidanzata o il fidanzato, a causa del fatto illecito compiuto da altri, patiscono un danno morale, in relazione alla particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima, ovvero la lesione del diritto a veder tutelato tale legame affettivo, interrotto o gravemente pregiudicato, rilevante giuridicamente e, quindi, risarcibile. In altre parole i congiunti sono titolari di un diritto personale, altrimenti detto “iure proprio”, al risarcimento del danno contro il responsabile del fatto illecito, e dell’assicuratore di quest’ultimo nell’ipotesi che la lesione o la morte derivino dalla circolazione di un veicolo (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza del 1° luglio 2002, n. 9556).

IL RAPPORTO PARENTALE È UN DIRITTO INVIOLABILE DELLA PERSONA E LA SUA PERDITA GENERA SOFFERENZA La giurisprudenza di legittimità ha chiarito in diverse circostanze che il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, ivi compreso, appunto, il danno morale, che può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità) e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto). Ciò significa, per fare un esempio, che la sofferenza che scaturisce dalla perdita di un congiunto si concretizza in un danno di carattere morale che può avere connotati temporanei, laddove il trascorrere del tempo cancelli tale sofferenza, oppure permanente, laddove questa permanga nonostante l’incedere degli anni (si pensi alla sofferenza per la perdita di un figlio o per le gravi lesioni che costui può subire) (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza dell’11 novembre 2008, n. 26972).

L’INTERRUZIONE DELLA RELAZIONE AFFETTIVA PROVOCA UN DANNO INGIUSTO Una volta che i giudici hanno affrontato il tema della risarcibilità del danno non patrimoniale, quale lesione di un diritto inviolabile della persona, hanno colto l’occasione per chiarire che con il riferimento ai prossimi congiunti della vittima primaria, quali soggetti danneggiati “iure proprio” a cagione del carattere plurioffensivo dell’illecito, si deve intendere coloro che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, subiscono appunto la lesione di tale peculiare situazione affettiva. Ciò connota l’ingiustizia del danno e rende risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate; ovviamente se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza, a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali (Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 10 novembre 2014, n. 46351).

CONVIVENZA: NON SOLO COABITAZIONE MA STABILE LEGAME La giurisprudenza ha da ultimo precisato che, affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza non deve intendersi necessariamente come coabitazione, ma come “stabile legame tra due persone”, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. E si è osservato che, in tale prospettiva, i riferimenti costituzionali non sono da cogliere negli artt. 29 e 30 della Costituzione, così che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare, quanto piuttosto nell’articolo 2 della medesima Carta, che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale (Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 10 novembre 2014, n. 46351; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 21 marzo 2013, n. 7128). In altre parole l’individuo ha diritto di veder tutelate le proprie stabili relazioni personali a prescindere dal rapporto di parentela o affinità che caratterizza le medesime.

LA RELAZIONE AFFETTIVA STABILE DEVE ESSERE PROVATA… Sul piano probatorio colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, in conseguenza della morte o delle gravi lesioni della persona a cui è legato da relazione affettiva, deve documentare e dimostrare l’esistenza e la natura di tale rapporto, la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere rilevanza al momento di verificazione del fatto illecito. Spetta, infatti, al danneggiato che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell’esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi. Al giudice di merito spetta, invece, accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l’apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori (Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 10 novembre 2014, n. 46351; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 21 marzo 2013, n. 7128). 

...COSÌ COME IL DANNO Naturalmente, oltre alla prova della stabile relazione affettiva il danneggiato, dovrà provare in concreto quanto la lesione del diritto in parola abbia inciso sulla propria vita, in termini di sofferenza, esistenza stessa, salute fisica e psichica; ciò in ossequio al principio, ribadito anche recentemente dalla Suprema Corte, secondo cui il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale non può prescindere dall’allegazione, da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cassazione civile, Sezione lavoro, Sentenza del 3 aprile 2014, n. 7818). In proposito appare significativa la decisione della dottoressa Caterina Spinnler, in forza alla Sezione decima del Tribunale di Milano, che ha evidenziato come la prova della stabilità della relazione affettiva sia determinante per il sorgere del diritto in capo al danneggiato che reclama il risarcimento del danno per così dire parentale (meglio relazionale). Oltre a ciò la prova della lesione del bene salute e dell’intensa sofferenza provata dalla fidanzata nell’immediatezza della morte del giovane partner, evinta dalla documentazione medica attestante un percorso di sostegno psicologico, sono indubbiamente il segno che la stessa avesse patito un danno psichico che l’ordinamento giuridico ritiene rilevante e pertanto risarcibile (Tribunale di Milano, Sezione X, Sentenza del 14 gennaio 2009, nelle cause riunite aventi R.G. 49297 del 2004 e 22869 del 2005).

E VIENE RIDOTTO IN RELAZIONE ALLE CIRCOSTANZE DEL CASO D’altro canto, l’ulteriore circostanza per la quale la ragazza in questione avesse conosciuto a distanza di soli sei mesi un altro uomo con il quale ha poi intrapreso una relazione stabile da cui è nato un figlio costituisce un elemento di prova da cui si evince la capacità della stessa giovane di ricostruire, in un lasso di tempo relativamente breve, la propria vita e l’assetto dei propri rapporti affettivi, elaborando e superando il lutto patito in conseguenza della morte dell’ex partner. Tale circostanza, secondo il giudice meneghino va considerata ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale sofferto dalla medesima reclamante (Tribunale di Milano, Sezione X, Sentenza del 14 gennaio 2009, nelle cause riunite aventi R.G. 49297 del 2004 e 22869 del 2005). 

IN CONCLUSIONE La giurisprudenza di merito e di legittimità ritiene che il partner o la fidanzata del danneggiato, per avere diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, debba dimostrare non solo l’esistenza di un rapporto affettivo che lo legava alla vittima, ma anche la stabilità della relazione al momento del sinistro, continuativa nel tempo e non occasionale. 

Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite

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