Due recenti pronunce della giurisprudenza di merito hanno portato nuovamente alla ribalta una questione “scottante”, ovvero quella riguardante la possibilità di pignorare il conto corrente del condominio da parte dei creditori insoddisfatti. La questione è divenuta ancor più spinosa dopo l’entrata in vigore della Legge di riforma del condominio (L. 220/2012) che, novellando l’art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile, dispone espressamente che l’amministratore “…è tenuto a comunicare ai creditori insoddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi” (primo comma) e che “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti se non dopo l’escussione degli altri condomini morosi” (secondo comma). Le due norme generano non pochi dubbi interpretativi: vediamo perché …
IL LEGISLATORE NON È STATO PRECISO Cercando di interpretare la volontà del legislatore la norma sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo, affermare che il creditore (di solito un prestatore d’opera materiale o intellettuale, vale a dire un fornitore del condominio) non possa pignorare il conto corrente condominiale se non dopo aver tentato di recuperare quanto gli spetta dai condomini morosi (ovvero da quelli che non hanno pagato le spese condominiali e che a causa del loro comportamento hanno messo in difficoltà la gestione economica del condominio). Questa plausibile interpretazione induce a ritenere la parziale impignorabilità del conto corrente condominiale, parziale in quanto subordinata alla preventiva azione esecutiva nei confronti del condomino moroso. Solo all’esito negativo di tale procedura, sembra sancire la norma in questione, il creditore potrà agire nei confronti dei condomini virtuosi aggredendo anche i loro beni rappresentati, in questo caso, dalle somme versate a titolo di spese condominiali sul conto corrente del condominio. Dobbiamo osservare che il legislatore, pur trattando di una questione assai complessa, è stato abbastanza vago laddove, invece, sarebbe stata necessaria una maggior precisione anche in termini procedurali. La norma non specifica, infatti, se il creditore deve dimostrare di aver solo cercato di soddisfare il proprio credito nei confronti del condomino moroso per poi poter agire nei confronti del condominio o se deve dimostrare di aver escusso, pur pro quota, il patrimonio del condomino moroso.
L’ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA SUSCITA POLEMICHE Come anticipato in premessa secondo alcune recenti pronunce (Tribunale di Milano, con ordinanza del 27 maggio 2014 e Tribunale di Reggio Emilia, con ordinanza del 16 maggio 2014) non vige la regola della parziarietà e quindi il conto corrente condominiale può essere aggredito, per intero, dai creditori. Costoro, pertanto, possono chiederne l’escussione, per i crediti vantati, senza sottostare alla regola della parziarietà delle obbligazioni dei condomini verso i terzi secondo la quale, invece, si potrebbero pignorare le sole somme, fra quelle versate, riconducibili a condomini morosi e non a quelli in regola coi canoni. La Riforma del Condominio, come ho detto, ha posto la regola secondo cui i creditori, nell’effettuare esecuzione forzata contro il condominio moroso nel pagamento delle fatture, devono prima chiedere all’amministratore l’elenco dei proprietari in regola con i pagamenti dei canoni e di quelli che non lo sono, potendo aggredire, prima, solo questi ultimi. In altre parole: prima si pignorano i beni di chi non è in regola coi pagamenti e poi, eventualmente, degli altri condomini. Quando si parla di pignoramento del conto corrente condominiale questa regola è stata del tutto disattesa e sconfessata dai recenti orientamenti testé richiamati, orientamenti che, tuttavia, non mancheranno di suscitare polemiche ed eccezioni di diritto.
IL TRIBUNALE DI MILANO ESPRIME IL SUO PARERE Secondo il Tribunale di Milano, pronunciandosi sull’opposizione di un condominio al pignoramento del proprio conto corrente bancario a mezzo della quale si sottolineava appunto la mancata applicazione da parte del creditore del criterio di parziarietà delle obbligazioni condominiali, ha ritenuto legittima l’azione esecutiva (pignoramento dell’intero conto corrente condominiale) esercitata nei confronti del condominio medesimo. Secondo il Tribunale meneghino, infatti, il conto bancario è autonomo rispetto al patrimonio dei condòmini ai sensi del novellato art. 1129, comma sette, del codice civile. Nell’art. 1129 del codice civile, oltre che all’obbligo per l’amministratore di istituire per ogni condominio un conto corrente sul quale far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, si fa menzione infatti ad un patrimonio del condominio (comma dodici, n. 4) che deve essere ben distinto dal patrimonio personale dell’amministratore o di altri condòmini. Inoltre, osserva sempre il Tribunale di Milano, il saldo del conto bancario condominiale è a immediata disposizione del correntista condominio. In particolare, il Tribunale ha motivato che “tutti i contributi versati dai partecipanti si confondono con le altre somme già ivi esistenti andando perciò ad integrare quel saldo che è ad immediata disposizione del correntista “condominio” (…), senza che mantenga alcun rilievo lo specifico titolo dell’annotazione a credito, né la provenienza della provvista dall’uno o dall’altro condomino”. Secondo tale interpretazione il pignoramento del saldo del conto corrente condominiale, servirebbe quindi a soddisfare in via esecutiva la sola obbligazione per l’intero gravante sul condominio senza interferire con il meccanismo del beneficio di escussione che tutela unicamente i distinti obblighi pro quota spettanti ai singoli condomini (Tribunale di Milano, Ordinanza del 27 maggio 2014, Sezione III, Giudice dott.ssa Bottiglieri).
ED È IDENTICO A QUELLO DEL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA Percorrendo il medesimo solco interpretativo il Tribunale di Reggio Emilia, che pronunciandosi su caso del tutto analogo a quello sottoposto al giudizio del Tribunale milanese, con ordinanza del 16 maggio 2014, ha ritenuto legittima la procedura di pignoramento presso terzi del conto corrente condominiale, avviata dal creditore del condominio. Anche secondo il Tribunale emiliano le somme versate sul conto, in quanto vincolate alla gestione condominiale, costituirebbero un patrimonio condominiale distinto da quello dei singoli condomini, direttamente aggredibile dai creditori del condominio.
MA QUAL È IL PRINCIPIO APPLICATO? Le pronunce in esame appartengono a quell’orientamento critico che, pur ritenendo il condominio quale mero ente di gestione, tendono a considerarlo quale autonomo centro d'imputazione giuridica. Infatti pur riconoscendo la sostanziale assenza in capo al condominio di qualunque soggettività o imputabilità patrimoniale, per questo orientamento è plausibile che nei rapporti negoziali con i terzi il condominio si atteggi quanto meno quale centro autonomo di imputazione di posizioni giuridiche. Secondo le sopra citate ordinanze, infatti, allorché risulti costituito un “patrimonio condominiale” e in particolare, un conto corrente intestato formalmente all’ente di gestione condominio, si realizza una forma di autonomia patrimoniale derivante proprio dalle attività di gestione che, per ciò solo, determina l’imputabilità della titolarità di essi in capo esclusivamente al condominio. Pertanto, ai fini della liceità delle azioni esecutive dei creditori, vale il ragionamento secondo cui si debba ritenere che le somme esistenti sul conto corrente sono intestate formalmente al condominio (che può disporne solo sulla base delle decisioni adottate dall’assemblea o in base alle necessità contingenti) e quindi sottratte alla disponibilità dei singoli condomini. Logica conseguenza a tale assunto è la possibilità per i creditori del condominio di soddisfarsi direttamente sul conto corrente condominiale. Le somme versate sul conto, dunque, non apparterrebbero più ai singoli condomini, ma al condominio o ente di gestione unitariamente inteso. Secondo tale orientamento le somme depositate nel conto corrente condominiale sono soggette ad un vincolo di destinazione che, analogamente a quanto accade per le parti comuni dell’edificio, determina la rottura del legame giuridico tra singoli condomini e l’ente di gestione o condominio.
LA CRITICA È DOVEROSA Esaminati gli orientamenti della giurisprudenza susseguenti all’obbligo introdotto ex lege di accendere per ogni condominio un conto corrente, ci si deve domandare come e in qual misura la riconosciuta legittimità del pignoramento del conto corrente condominiale riesca a coniugarsi in modo coerente con il beneficio di escussione di cui all’art. 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile. Secondo il giudice emiliano questa norma non esclude che i creditori, prim’ancora di agire contro i morosi, possano provare a soddisfare le proprie pretese creditorie direttamente contro il condominio, il quale è soggetto diverso rispetto ai condomini diligenti e a quelli morosi. Questa interpretazione sembra, tuttavia, vanificare da un lato l’operatività e la materiale applicabilità dello stesso art. 63 e, dall’altro, sembra comportare una situazione di conflitto con la natura giuridica del condominio. Risulta infatti di tutta evidenza che, a fronte della possibilità di aggredire alla fonte i beni del Condominio, i creditori non avranno alcun interesse a frazionare l’escussione del proprio credito agendo contro i condomini morosi (peraltro, con procedure assai più lunghe ed onerose). Ne consegue la scarsa (e del tutto residuale) applicazione del beneficium exscussionis voluto dal legislatore proprio per tutelare in prima istanza i condomini in regola con i pagamenti (ricordiamo: “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo la esecuzione degli altri condomini”). In secondo luogo ci sembra che ne esca ridimensionata o alterata nei presupposti la natura stessa del condominio il quale, sotto il profilo giuridico, non possiede alcuna soggettività giuridica, né possiede autonomia patrimoniale propria. Mi preme sottolineare, infatti, che lo stesso amministratore rappresenta i singoli condomini, non il condominio, così come correttamente affermato dalle (Sezioni Unite della Cassazione sentenza n. 9148/2008) e la stessa Legge di riforma del 2012 non sembra aver introdotto elementi di novità che facciano presupporre il contrario.
TUTTAVIA LA GIURISPRUDENZA NON PREMIA I CONDOMINI DILIGENTI Orbene se il condominio non è soggetto giuridicamente autonomo, le somme depositate sul conto corrente condominiale appartengono, come logica conseguenza, ai condomini che le hanno versate in funzione di una destinazione ed in base ad un piano di riparto approvato. Consentire al creditore di pignorare il conto corrente condominiale equivale quindi, secondo l’opinione di chi scrive, a rendere legittima l’aggressione del patrimonio dei singoli condomini, compresi quelli in regola con i pagamenti dei contributi condominiali e ciò pare in netto contrasto con quella voluntas legis (vale a dire l’intento che si era prefigurato il legislatore) ben espressa dall’art. 63, comma 3, delle disposizioni di attuazione al codice civile. A rigore di logica sarebbe allora più corretto, in prima istanza, consentire il pignoramento delle sole somme, presenti nel conto condominiale, riferibili ai condomini morosi. Non dimentichiamo infatti che la Legge 220/2012 di riforma del condominio ha introdotto la solidarietà sussidiaria del debito del condominio, e ha precisato che i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.
COME AVREBBE VOLUTO LA LEGGE La norma prevede infatti un preciso obbligo in capo all’amministratore il quale è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi. A tutela dei terzi creditori la stessa legge prevede che l’amministratore abbia l’obbligo di riscuotere i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea e, senza bisogno di autorizzazione, può richiedere e ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo nonostante opposizione. Proprio la medesima Legge 220/2012 ha voluto inoltre stabilire i tempi entro i quali l’amministratore, per adempiere correttamente il mandato ricevuto, ha l’obbligo di rivolgersi all’autorità giudiziaria per il recupero dei crediti (sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso) a rischio di una sua possibile revoca giudiziaria.
LA SOLUZIONE LASCIA DUNQUE PERPLESSI Certo è che la questione è complessa e rischia di provocare un’impasse giudiziario laddove si cristallizzino orientamenti differenti e contrastanti rispetto alla legittimità del pignoramento del conto corrente condominiale. Stante l’incertezza, dovuta anche alla poca chiarezza della norma che lascia ai giudici di merito ampi spazi interpretativi, sarebbe opportuno che il legislatore mettesse nuovamente mano alla questione delineando, tanto sotto il profilo procedurale quanto sotto quello di diritto, linee guida più esaustive e più chiare per tutti.
Dottor Massimo Botti – Studio Comite