mercoledì 11 giugno 2014

MIGLIOR AMICO DELL’UOMO O PEGGIOR NEMICO DEL VICINO?


Una delle novità della legge di riforma del condominio è quella che sancisce il diritto dei proprietari di detenere animali domestici all’interno della propria abitazione. Il legislatore, infatti, ha introdotto all’articolo 1138 del codice civile un comma, il quinto, che espressamente dispone che “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. Una norma che vuole essere espressione del principio di quelle libertà che spettano ad ogni singolo condomino di poter godere e disporre al meglio della propria proprietà esclusiva facendo rientrare a pieno titolo la detenzione degli animali domestici nelle facoltà di godimento del proprietario dell’immobile. Ne consegue che un divieto non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali approvati dalla maggioranza dei partecipanti ma solo in un regolamento approvato con il consenso unanime dei condomini poiché solo in tal modo è possibile limitare le facoltà comprese nel diritto di proprietà. Come si concilia, quindi, il diritto alla detenzione di animali in appartamento con il diritto alla quiete e al riposo dei vicini di casa?


UNA MOLESTIA CHE PUÒ ESSERE ANCHE REATO Sebbene il legislatore con questa norma abbia sancito l’impossibilità di apporre limitazioni, nei regolamenti condominiali, alla possibilità di ospitare animali domestici all’interno degli appartamenti, bisogna ricordare che questa libertà del singolo non esclude che la detenzione di un animale possa integrare in astratto la fattispecie dell’articolo 844 del codice civile di immissione molesta e intollerabile che rechi pregiudizio ai condomini sotto forma di disturbo alla quiete. Il proprietario dell’animale è responsabile, inoltre, ai sensi dell’articolo 2052 del codice civile, dei danni cagionati dallo stesso e la sua custodia, senza le debite cautele, può assumere gli estremi di un comportamento censurabile anche sotto il profilo penale ai sensi degli articoli 672 e 659 del codice penale. Due sono le tipologie di molestie che possono derivare dalla presenza di cani in appartamento: le immissioni di natura acustica (i latrati o l’abbaio insistente) e le immissioni di natura olfattiva

MA NON TUTTE LE IMMISSIONI ACUSTICHE SONO MOLESTIA Per quanto riguarda le immissioni di natura acustica l’orientamento della giurisprudenza più recente ritiene che il semplice ed occasionale abbaio del cane sia da considerarsi un’esternazione naturale dell’animale il cui rumore sia assimilabile ai normali rumori di fondo che caratterizzano il vivere collettivo. Da tale premessa deriva che sarà molestia solo e soltanto quando sia tale da superare la normale tollerabilità così come previsto ai sensi dell’articolo 844 del codice civile. Sul punto si è così espressa la Suprema Corte che ha avuto modo di precisare che la normale tollerabilità viene superata solo quando i latrati (e quindi non saltuari episodi di disturbo) siano insistenti specie nelle ore notturne (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 26 marzo 2008, n. 7856).

IL PADRONE DEVE VIGILARE SULL’ANIMALE Certo è che la natura del cane non può essere repressa sino al punto di impedirgli di abbaiare del tutto mentre gioca un ruolo fondamentale la capacità del padrone di vigilare sull’animale e di porre in essere un atteggiamento che non induca l’animale ad essere nervoso ed iperattivo. Non è raro, inoltre, registrare che molte lamentele dei vicini, infastiditi dal continuo abbaiare del cane siano riferite a cani che per molte ore del giorno vengono lasciati soli negli appartamenti dai padroni distratti i quali molto spesso sottovalutano come anche i migliori amici dell’uomo patiscano la solitudine che rappresenta una delle principali cause della loro iperattività sonora.  

ALTRIMENTI POTREBBE ANCHE COMMETTERE REATO Quanto menzionato nei precedenti paragrafi riguarda gli aspetti civilistici del problema ma, non bisogna dimenticare la responsabilità sotto l’ottica del diritto penale. Infatti l’abbaiare del cane può, in certi casi, integrare il reato di disturbo alla quiete pubblica previso dall’art. 659 del codice penale. Anche in questo alcune recenti sentenze della Suprema Corte possono essere considerate l’espressione di un orientamento giurisprudenziale ormai condiviso. Utile precisare che l’abbaio del cane può integrare la fattispecie di disturbo alla quiete pubblica quando ricorrano congiuntamente due elementi. Un elemento soggettivo, ovvero la condotta volontaria del proprietario dell’animale a non impedire i continui latrati del proprio cane, ed uno oggettivo che si manifesta quando il disturbo non sia arrecato ai soli vicini ma sia tale da arrecare pregiudizio a diversi soggetti ( Cassazione penale, Sezione I, Sentenza del 12 febbraio 2014, n. 6685; Cassazione penale, Sezione I, Sentenza del 6 giugno 2013, n. 24886; Cassazione penale, Sezione I, Sentenza del 20 aprile 2012, n. 15230).

STESSI PRINCIPI ANCHE PER I GIUDICI DI MERITO Tali pronunce peraltro seguono un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui il disturbo previsto dall'articolo 659 del codice penale non si identifica con qualsiasi molestia, bensì con una sensibile alterazione delle normali condizioni in cui si svolgono il riposo, le occupazioni e le altre attività previste dalla norma; quindi è necessario il pericolo di disturbo che superi i limiti di normale tollerabilità, la cui valutazione deve essere effettuata con criteri oggettivi riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono nell'ambiente dove i rumori vengono percepiti; per tali ragioni la giurisprudenza della Suprema Corte ha sempre ritenuto che oggetto dell'accertamento in sede penale è la potenzialità del rumore ad  investire un numero indeterminato di persone o quantomeno alla generalità di coloro che sono a diretto contatto con la fonte del disturbo; qualora al contrario i rumori non superino la normale tollerabilità o non sia oggettivamente possibile il disturbo di un numero indeterminato di persone, il fatto deve essere inquadrato nell'ambito dei rapporti di vicinato, disciplinati dal codice civile (Tribunale L’Aquila, Sezione penale, Sentenza del 14 maggio 2010;Tribunale di Bari, Sezione I, Sentenza del 7 luglio 2008). 

PULIZIA E SICUREZZA, DUE REGOLE CHE VANNO RISPETTATE Se è stato sancito ormai un diritto che tutela l’accesso degli animali in condominio non bisogna dimenticare che l’esercizio di tale diritto va inoltre contemperato con il rispetto di norme igienico sanitarie da rispettare all’interno del condominio e di corretta convivenza con i vicini. Basti qui ricordare che le ordinanze del Ministero della salute (del 3 settembre 2013 e del 23 marzo 2009) prevedono l’obbligo in capo ai padroni degli animali di mantenere pulita l’area di passaggio, di utilizzare un guinzaglio di misura non superiore a metri 1,5 e, nel caso di animali mordaci o aggressivi, di applicare la museruola la quale peraltro deve essere sempre portata dal proprio cane quando questo viene portato a passeggio. 

E IL SENSO DI RESPONSABILITÀ NON DEVE MANCARE MAI È inutile nascondere, però, che la nuova norma potrebbe dar luogo a un incremento della litigiosità all’interno del condominio specialmente quando i vicini non tollerano l’abbaiare, talvolta insistente, del nostro Fido. In  ogni caso il plauso che va tributato alla norma che sancisce, all’interno del contesto condominiale, il diritto del proprietario di detenere animali domestici, a cui va riconosciuto un ruolo sociale importante specie se rappresentano l’unica ed assidua compagnia di persone sole, deve essere sempre accompagnato da un senso di responsabilità (nel senso più ampio del termine) dei padroni tenendo a mente che anche i vicini hanno dei diritti. E qui, si sa, il buon senso e l’educazione sopravanzano ogni buona norma o divieto. 

Dottor Massimo Botti – Studio Comite