sabato 14 giugno 2014

007 LA SPIA CHE MI PEDINAVA: IN CASO DI SEPARAZIONE VALE LA RELAZIONE INVESTIGATIVA CHE DOCUMENTA L’ADULTERIO?


Questo è uno dei quesiti che mi vengono posti più di frequente quando mi si affida l’incarico di procedere con la domanda di separazione giudiziale, a fronte della scoperta dell’infedeltà (magari prolungata) di uno dei due coniugi. In altre parole: qual è l’efficacia probatoria della relazione investigativa assunta e allegata come prova del tradimento nella causa di separazione con richiesta di addebito al coniuge fedifrago? Oppure ancora mi capita di sentir dire “… ma avvocato, lei ritiene che affidare l’incarico a un’agenzia investigativa per documentare l’adulterio sia davvero utile oppure si tratta di un mero tentativo che non è detto venga valutato dal giudice?” Domande legittime a cui una recente sentenza della Cassazione ha dato risposta ponendo, d’altro canto, in evidenza che la questione relativa alla liceità della relazione investigativa è già stata affrontata dai giudici, sia di merito sia di legittimità in molte occasioni e, quindi, la decisione di qualche settimana fa va coordinata con i provvedimenti assunti in passato sullo stesso argomento. Mi pare, dunque, giusto porre in evidenza il principio che è stato enunciato anche al fine di fornire una risposta chiara ed esauriente ai quesiti.


SE MI TRADISCI, CI SEPARIAMO… Lo stabilisce l’art. 151 del codice civile che disciplina l’istituto giuridico della Separazione giudiziale, laddove dispone che “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole”. Il tradimento del coniuge, prolungato oppure anche solo occasionale, può, dunque, ben essere la causa che rende intollerabile la prosecuzione della convivenza e, quindi, giustificare la richiesta di separazione giudiziale. In tal caso il giudice valuterà, proprio in base alle prove indiziarie, testimoniali e documentali se il fatto addotto da una delle parti, ovvero l’infedeltà, si è effettivamente verificato ai fini della pronuncia della separazione.

…E NON TI MANTENGO L’art. 151 del codice civile prosegue, al secondo comma stabilendo che “Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”. Ciò significa, in parole semplici, che il giudice potrà addebitare la separazione al coniuge infedele solo se il tradimento è la causa della crisi coniugale e non l’effetto; vale a dire che se il matrimonio era già irrimediabilmente compromesso per ragioni indipendenti dalla relazione adulterina e, quindi, per il venir meno dell’affectio coniugalis, il giudice non potrà dar luogo alla pronuncia di addebito a carico dell’infedele. L’addebito produce, come ho rammentato in diverse occasioni, la conseguenza del venir meno del diritto all’assegno di mantenimento previsto e disciplinato dall’art. 156 del codice civile. In pratica chi tradisce e causa la crisi matrimoniale non può vantare alcun diritto ad essere mantenuto.

MA IL TRADIMENTO VA PROVATO Per cominciare a rispondere ai quesiti posti in evidenza nell’incipit va dunque precisato che la relazione investigativa, stilata da professionisti seri e non improvvisata, rispettosa delle norme sulla privacy e sulle indagini difensive, è indiscutibilmente un mezzo di prova, sebbene atipico. Nella recente decisione della Suprema Corte viene posta, infatti, in evidenza la legittimità della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna la quale aveva ritenuto comprovata l’infedeltà, in questo caso della moglie, proprio sulla base della documentazione prodotta a corredo della relazione investigativa, ovvero fotografie e tabulati telefonici. I giudici felsinei avevano quindi sottolineato che l’adulterio risultava provato da fatti oggettivi (tabulati e foto con data antecedente alla domanda di separazione) e non da mere deduzioni dell’investigatore privato. La Cassazione, con giudizio ineccepibile, ha quindi confermato la conformità alla legge della decisione in questione poiché l’accertamento “in fatto” operato dai colleghi bolognesi risultava adeguatamente motivato e dunque incensurabile (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 23 maggio 2014, n. 11516).

E ALLORA CHIAMO LO 007, È LEGITTIMO Uno dei motivi di ricorso al giudice di legittimità, nella vicenda affrontata dai giudici modenesi in primo grado e bolognesi in secondo, è stato quello che la relazione investigativa essendo stata redatta da un terzo, incaricato solo dal marito, avrebbe leso il principio del contraddittorio. In altre parole a parere della ricorrente fedifraga l’investigatore aveva espresso dei giudizi senza che un consulente dell’altra parte potesse esprimere la propria opinione sulle risultanze dell’indagine e sulla certezza delle date. La Suprema Corte, in proposito, ha graniticamente affermato che è lecita la condotta di una delle parti che abbia utilizzato la relazione investigativa redatta da un tecnico finalizzata a documentare un comportamento considerato illecito. Ciò significa, come logica conseguenza, peraltro sottolineata in diverse altre sentenze, che le risultanze dell’indagine, per essere legittime e utilizzabili quale prova della commissione dell’illecito, potranno e dovranno avere per oggetto solo la dimostrazione del fatto ritenuto appunto illecito dalle disposizioni legislative (quale per esempio l’infedeltà in materia di famiglia ritenuta una condotta contraria ai doveri che discendono dal matrimonio).

NELLE QUESTIONI DI LAVORO Il principio affermato dalla recente pronuncia della Suprema Corte corrisponde, peraltro, come ribadito nell’occasione, a un orientamento ormai consolidato nella materia del diritto del lavoro nella quale, più volte, è stato seguito il criterio secondo cui il datore di lavoro ha facoltà di incaricare un’agenzia investigativa al fine di verificare condotte illecite da parte dei dipendenti finalizzata altresì ad assicurare la stessa sopravvivenza dell’impresa contro attività fraudolente. Queste agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 23 maggio 2014, n. 11516; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 4 marzo 2014, n. 4984; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 22 novembre 2012, n. 20613; Cassazione civile Sezione Lavoro, Sentenza dell’8 giugno 2011, n. 12489; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 14 febbraio 2011, n. 3590).

MA ANCHE IN MATERIA FAMILIARE Non è stata negata, in linea teorica, la possibilità di ricorrere alla relazione investigativa per dar prova dell’infedeltà, sebbene in tal caso mancasse, sino ad ora, un precedente così articolato come per il diritto del lavoro. Infatti, i pochi provvedimenti della Suprema Corte sul punto si sono limitati a stabilire la potenziale liceità dell’utilizzo di tale strumento ma negandone di fatto nel caso specifico la ripetizione dei costi poiché l’adulterio documentato era risultato non essere la causa determinante della crisi coniugale. Il recente provvedimento, invece, evidenzia in modo decisamente più incisivo che laddove la relazione extraconiugale venga documentata attraverso riscontri oggettivi, vale a dire fotografie e tabulati telefonici che siano antecedenti al deposito del ricorso per separazione giudiziale, e non attraverso deduzioni dell’investigatore l’utilizzo della relazione investigativa non potrà che essere lecito (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 23 maggio 2014, n. 11516; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 12 aprile 2006, n. 8512; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 24 febbraio 1975, n. 683). 

TRIBUNALE DI MILANO IN CONTROTENDENZA MA… Una significativa ordinanza di rigetto dell’istanza di ammissione della relazione investigativa, sembra infatti accogliere un criterio in controtendenza in base al quale l’utilizzo di tale strumento non sarebbe ammesso. Il provvedimento è, tuttavia, solo apparentemente contrario al principio enunciato di recente dai giudici di legittimità poiché pur evidenziando che nel caso affrontato la relazione non era ammissibile, l’estensore, dott. Giuseppe Buffone, precisa in modo dettagliato e analitico, i criteri in base ai quali le relazioni investigative possono essere utilizzate. Chiarisce, infatti, che nel processo civile non possono essere usate le dichiarazioni testimoniali scritte degli investigatori poiché queste costituirebbero uno strappo al “giusto processo” per il quale la deposizione deve essere acquisita con il vaglio del Giudice e nel contraddittorio delle parti.



…SE I FATTI SONO DESCRITTI IN MODO PRECISO… Laddove invece le relazioni investigative non si traducano in dichiarazioni testimoniali degli investigatori ma semmai in descrizioni di fatti precisi, circostanziati e chiari, topograficamente e temporalmente, antecedenti alla domanda di separazione, che il terzo (l’investigatore) abbia appreso con la sua percezione diretta, allora le stesse saranno ammissibili attraverso lo strumento della prova orale che dovrà essere articolata attraverso specifici capitoli e non tramite la semplice conferma generica del contenuto della relazione (Tribunale di Milano, Sezione IX, Ordinanza ex art. 183, comma VII, del codice di procedura civile dell’8 aprile 2013, estensore Giudice dott. Giuseppe Buffone). In estrema sintesi, dunque, l’utilizzo delle relazioni investigative che rivestano il carattere dell’oggettività e non si limitino a riportare mere deduzioni dell’investigatore sarà ritenuto lecito tenendo conto di quanto opportunamente indicato nell’ordinanza del giudice meneghino.

Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite