giovedì 24 aprile 2014

SINISTRO STRADALE: IL GIUDICE CHIEDE AIUTO, MA IL CONSULENTE NON CI AZZECCA



Traggo spunto da una recente sentenza della Suprema Corte per sottoporre all’attenzione dei lettori alcune tematiche piuttosto ricorrenti nella complessa materia del risarcimento dei danni derivanti da sinistro stradale. Mi riferisco principalmente alle modalità e ai criteri utilizzati per la valutazione del comportamento dei conducenti dei veicoli coinvolti in un incidente al fine di determinare la misura di responsabilità degli stessi. Altro argomento piuttosto ricorrente, e che induce noi tecnici del diritto a vere e proprie acrobazie dialettiche (e non solo), è poi indubbiamente quello che riguarda la valenza della consulenza, spesso disposta dai giudici quale supporto di carattere tecnico per l’esame di aspetti per i quali il magistrato stesso non possiede sufficiente competenza, nei procedimenti aventi ad oggetto appunto domande di risarcimento danni, subiti a causa di un sinistro. Vediamo allora quali sono questi criteri e se hanno valenza rigida o solo indicativa, ma soprattutto è interessante evidenziare quale valore, secondo i giudici della Cassazione, sia corretto attribuire alle risultanze della consulenza tecnica, disposta in corso di causa al fine di valutare gli elementi e le prove portate nel processo, per la determinazione della misura di responsabilità da porre in capo alle parti coinvolte…


UNA DOVEROSA PREMESSA Il Codice delle Assicurazioni Private (Decreto Legislativo 7 settembre 2005, n.209 e successive modifiche e integrazioni) che ha disciplinato e raccolto in un unico testo normativo anche la complessa materia del risarcimento del danno derivante da sinistro stradale prevedeva al suo art. 150 la necessità, poi soddisfatta, di dettagliare, con apposito regolamento e in relazione al sistema di indennizzo diretto, i criteri di determinazione del grado di responsabilità delle parti. L’art. 12 di detto regolamento (Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2006, n. 254, successivamente integrato dal D.P.R. 18 febbraio 2009, n. 28) ha, dunque, stabilito che:

1. L’impresa adotta le proprie determinazioni in ordine alla richiesta del danneggiato, applicando i criteri di accertamento della responsabilità dei sinistri stabiliti nella tabella dell’Allegato A, (contenuto nel medesimo regolamento), in conformità alla disciplina legislativa e regolamentare in materia di circolazione stradale.

2. Qualora il sinistro non rientri in alcuna delle ipotesi previste dalla tabella di cui al comma 1, l’accertamento della responsabilità è compiuto con riferimento alla fattispecie concreta, nel rispetto dei principi generali in tema di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli.

I CRITERI SONO INDICATIVI Dall’esame delle norme contenute nell’articolo in questione, fornendo quindi risposta a uno dei quesiti, si desume che i criteri di cui all’allegato A sono indicativi e che gli stessi potranno essere modulati in relazione alle circostanze concrete e nel rispetto dei principi generali vigenti in tema di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli (tra questi principi vi sono indubbiamente le norme dettate dal Codice della Strada). Occorre, peraltro, precisare che nella prassi l’applicazione di tali criteri non è riservata alla gestione dei sinistri che soggiacciono alla disciplina dell’indennizzo diretto (sul caso dei sinistri sottoposti a tale regime potete leggere anche il post del 31 luglio 2013), ma si applicano a tutti i sinistri in generale.

L’ALLEGATO “A” STABILISCE che ai fini dell’accertamento della responsabilità, in ordine ai sinistri per i quali è applicabile l’indennizzo diretto (con la precisazione su evidenziata) si applicano i seguenti principi:

- se due veicoli circolano nella stessa direzione e sulla medesima fila, il veicolo che urta quello antistante è responsabile al 100% del sinistro.

- se i due veicoli circolano su due file differenti, il veicolo che cambia fila è responsabile al 100% del sinistro. Se il contatto tra i due veicoli avviene senza cambiamento di fila, si presume una responsabilità concorsuale al 50%.

- se uno dei due veicoli si rimette nel flusso della circolazione da una posizione di sosta o uscendo da un’area privata e urta un veicolo in circolazione è responsabile al 100% del sinistro.

- se i due veicoli circolano in senso inverso, impegnando o sorpassando l’asse mediano della carreggiata, e si scontrano frontalmente, si presume una responsabilità concorsuale al 50%. Se invece è solo uno dei due veicoli a sorpassare l’asse mediano della carreggiata la responsabilità è integralmente a carico di quest’ultimo.

- se i due veicoli provengono da due strade differenti, le cui direzioni si intersecano o si congiungono, la responsabilità è interamente a carico di quello che proviene da sinistra a meno che le precedenze non siano indicate in maniera differente da segnali stradali o semaforici.
- se un veicolo in circolazione urta un veicolo in sosta è interamente responsabile del sinistro.
- se uno dei veicoli circola in retromarcia è responsabile del sinistro.

LA RIPARTIZIONE DELLE RESPONSABILITÀ Dopo l’elencazione dei criteri l’allegato “A” pone in evidenza lo schema di ripartizione delle responsabilità, secondo le casistiche più ricorrenti (né più e né meno di quelle riportate nel cosiddetto modulo di constatazione amichevole di incidente, c.d. C.A.I. ovvero C.I.D.). 

Viene, poi, precisato che “le percentuali di responsabilità indicate nello schema possono variare in funzione:

- della corresponsabilità dovuta al mancato rispetto del limite di velocità, quantificabile in una misura che varia dal 30% al 70%.

- del mancato rispetto delle modalità previste dal Codice della strada per le svolte a destra e sinistra, quantificabile in una misura che varia dal 30% al 70%.

A prescindere dalle indicazioni riportate nella suddetta tabella, ogni sinistro andrà valutato nel caso concreto tenendo conto anche di ulteriori circostanze che possono aver influito sulla dinamica del sinistro”. La norma di chiusura conferma, dunque, il contenuto del secondo comma dell’art. 12 del regolamento in esame ovvero che ogni sinistro andrà valutato tenendo conto di tutti gli elementi che hanno contribuito alla sua produzione e influito sulla sua dinamica. 

E LA SUPREMA CORTE CONFERMA IL PRINCIPIO Nell’esaminare la decisione emessa dalla Corte d’Appello di Bologna, che aveva ritenuto esclusivamente responsabile di un sinistro stradale il conducente di un motoveicolo per aver condotto il mezzo con una velocità non adeguata alle condizioni di tempo e luogo, evidenziata come causa esclusiva dell’incidente dal consulente tecnico nominato nel corso del giudizio di primo grado, gli ermellini la censurano laddove la stessa non considera, tra i criteri adottati, quello per cui, accertata la responsabilità di un conducente, occorre, parimenti, valutare anche la condotta dell’altro automobilista al fine di stabilire se sussista una corresponsabilità di quest’ultimo. In altre parole i giudici felsinei hanno sbagliato poiché hanno valutato la condotta di uno solo dei conducenti, ovvero il motociclista che procedendo con velocità eccessiva non era stato in grado di fermarsi ed evitare la collisione. Gli stessi avrebbero invece dovuto “valutare comparativamente la condotta di entrambi i conducenti nell’effettuare le rispettive manovre al fine di valutare le loro colpe concrete e presunte”. Gli ermellini proseguono, infatti, evidenziando che, se è pur vero che la segnaletica orizzontale consentiva all’automobilista di immettersi nella pubblica via con svolta a sinistra, è altrettanto vero che nell’effettuare tale manovra egli avrebbe dovuto comportarsi con la dovuta diligenza in relazione al suo dovere di concedere la precedenza, in fase di immissione da un passo privato, nel corso di tutta la sua manovra di svolta a sinistra e non solo all’inizio della stessa (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 26 febbraio 2014, n. 4561; analogamente Cassazione penale, Sezione IV, Sentenza del 5 luglio 2013, n. 28805).

MA I GIUDICI DEL MERITO HANNO DECISO IN BASE AL PARERE DEL CONSULENTE cui era stato demandato, da parte degli stessi, il compito di valutare tutti gli elementi rappresentati dalle parti processuali nei propri scritti difensivi. Alla luce delle prove allegate, allo scopo di ricostruire la dinamica del sinistro, il giudice infatti aveva completamente omesso di considerare la condotta dell’automobilista, ignorando persino le dichiarazioni rese da quest’ultimo in sede di interrogatorio formale, limitandosi all’esame del solo comportamento di guida del motociclista, con ciò compiendo un errore grossolano. D’altro canto, i giudici della Suprema Corte, precisano e ribadiscono che, in caso di scontro tra autoveicoli, l’art. 2054, comma 2, del codice civile, non esclude affatto che, “accertata la colpa di uno dei due conducenti, sia solo per questo esclusa la colpa dell’altro, a meno che non sia ritenuto che la condotta del primo abbia costituito la causa esclusiva dell’incidente”.

OCCORRE CHIEDERE UNA NUOVA CONSULENZA TECNICA In tutti i casi come quello descritto, allo scopo di cercare in tutti i modi di evitare che il magistrato, cui è stato demandato il compito di decidere, commetta o reiteri degli errori, occorre che l’avvocato evidenzi a chiare lettere e a più riprese la lacuna di valutazione, anche per il tramite del proprio esperto. Laddove il consulente non ritenga di modificare la propria posizione, è necessario chiedere al giudice che disponga una rinnovazione di consulenza o che, per la sommarietà dell’elaborato peritale, non tenga conto delle risultanze dello stesso. 

Avv. Patrizia Comite - Studio Comite