Per riprendere una delle più celebri espressioni che il Manzoni, nel noto romanzo “I promessi sposi”, mise in bocca ad uno dei bravi, rivolta al povero curato, Don Abbondio, per fare in modo che gli sventurati Renzo e Lucia non convolassero a nozze, allo stesso modo sembra tuonare con tono solenne e imperioso il Pubblico Ministero, capo della Procura di Grosseto, dott. Francesco Verusio. A scatenare la reazione del magistrato è stata l’ordinanza emessa il 3 aprile scorso, e depositata pochi giorni dopo, a mezzo della quale il dott. Paolo Cesare Ottati, Presidente della Camera di Consiglio del Tribunale toscano, che ha deciso la questione, ha ordinato all’Ufficiale dello stato civile del Comune di Grosseto di trascrivere il matrimonio celebrato nel dicembre dell’anno 2012, a New York, tra Stefano B. e Giuseppe C. La pronuncia, prima nel suo genere, è destinata a far discutere. Vediamo, quindi, quali sono gli antefatti e quali le questioni rilevanti da un punto di vista giuridico…
IL FATTO: DA NEW YORK CON AMORE Per la cronaca e per non ingenerare equivoci, al di là della citazione letteraria, chiarisco che il matrimonio tra Stefano e Giuseppe era già stato appunto celebrato secondo la legislazione americana che consente a persone dello stesso sesso di unirsi formalmente in matrimonio. Così Stefano e Giuseppe rientrati in Italia hanno chiesto che l’atto venisse riconosciuto e quindi trascritto nel registro di stato civile del loro Comune di residenza, ovvero Grosseto. Ma il Sindaco, del medesimo municipio, si è rifiutato adducendo ben quattro motivi, ovvero:
1. la normativa italiana non consente che persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio;
2. non è possibile trascrivere l’atto di matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso in quanto ciò è in contrasto con l’ordine pubblico;
3. l’art. 27 della Legge 218 del 1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) dispone che la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio;
4. non è applicabile, nel caso di specie, la normativa contenuta nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ancorché ratificata con la Legge n. 849 del 1955, la quale la esclude stabilendo all’art. 9 che “il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
Stefano e Giuseppe non si sono arresi di fronte al diniego e si sono rivolti al Tribunale della Città che ha stabilito che …
QUESTO MATRIMONIO S’HA DA TRASCRIVERE Con la citata ordinanza il giudice di Grosseto, Paolo Cesare Ottati, ha dato il via libera alla trascrizione. Nelle motivazioni del provvedimento si legge che il matrimonio civile tra due persone dello stesso sesso celebrato all’estero non può più essere considerato inesistente per lo Stato italiano e non è contrario all’ordine pubblico, come la Suprema Corte ha riconosciuto, sia pure implicitamente, nella seconda parte della decisione n. 4184 del 2012, laddove ha richiamato la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 24 giugno 2010 (prima sez. caso Shalk e Kopf contro Austria) con la quale è stato stabilito che la “Corte non ritiene più che il diritto al matrimonio di cui all’art. 12 della CEDU debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio di persone di sesso opposto” ed ha affermato che il diritto al matrimonio riconosciuto dall’art. 12 della CEDU ha acquisito un nuovo e più ampio contenuto, inclusivo anche del matrimonio contratto tra due persone dello stesso sesso. Ancora nella decisione del Tribunale di Grosseto si sottolinea che nel codice civile, nelle norme che vanno dall’art. 84 all’art. 88, “non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie per contrarre matrimonio”. Nella sentenza, il giudice, dott. Ottati, spiega che non è previsto, nel nostro ordinamento, alcun impedimento derivante da disposizioni di legge alla trascrizione di un atto di matrimonio celebrato all’estero. Infine si precisa che “la trascrizione non ha natura costitutiva, ma soltanto certificativa e di pubblicità di un atto già valido di per sé”. In pratica: il matrimonio celebrato negli Stati Uniti è valido e non c’è norma che ne impedisca la trascrizione in Italia.
NON FINISCE QUI! Così ha dichiarato, subito dopo la pubblicazione, il Pubblico Ministero Francesco Verusio richiamando proprio la sentenza della Cassazione n. 4184 del 2012, ultimo grado del primo procedimento in Italia originato proprio dalla richiesta di trascrivere un matrimonio, celebrato in Olanda, presso il Comune di Latina e che è poi sfociato in un ricorso attualmente pendente dinanzi alla Corte EDU (caso Garullo e Ottocento contro Italia, ricorso n. 60088/12). Il Comune di Grosseto, attraverso la voce del suo primo cittadino, Emilio Bonifazi, ha invece dichiarato che si adeguerà da subito alle decisioni del tribunale senza alcuna opposizione, aggiungendo che la decisione consente indubbiamente di superare ostacoli e difficoltà emersi a causa della mancanza di norme chiare cui attenersi auspicandosi, d’altro canto, un veloce intervento legislativo definitivamente chiarificatore.
UNO SPIRAGLIO DI APERTURA C’È Si è pronunciata sul ricorso proposto da Antonio e Mario, la prima coppia gay italiana riuscita a sposarsi all’estero, che si è vista opporre il rifiuto alla trascrizione del matrimonio sia dal Tribunale di Latina, in primo grado, sia dalla Corte d’Appello di Roma che ha esaminato la questione in seconda istanza. La Suprema Corte investita del caso ha rigettato il ricorso della coppia dichiarando che le unioni omosessuali non sono trascrivibili per “la loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”. Nelle motivazioni viene sottolineato che la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 giugno 2010, ha riconosciuto che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 della CEDU non è più limitato in tutti i casi al matrimonio tra persone di sesso opposto, lasciando, tuttavia, la scelta alle legislazioni nazionali se permettere o meno il matrimonio omosessuale. La questione non è di poco conto, poiché è sulla base di tale considerazione che, di fatto, i giudici della Suprema Corte hanno riconosciuto l’esistenza dell’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso, assegnandogli così rilievo giuridico e sociale e, pur tuttavia, stabilendo che in Italia non possono spiegare effetti poiché la legislazione nazionale non permette, almeno per ora, la loro trascrizione (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184). In sintesi: l’Italia, per ora, non lo permette, e la Corte europea, pur riconoscendolo come un diritto legittimo, non lo impone.
UN CONSIGLIO PREZIOSO Proprio in base a queste considerazioni, la Cassazione, non potendo autorizzare la trascrizione del matrimonio dei due coniugi, offre loro, un consiglio prezioso, stabilendo che i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia –, quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie. In concreto, ad esempio, se a uno dei conviventi di una coppia stabile omosessuale verrà negata la possibilità di assistere in ospedale il proprio compagno o di percepire la sua pensione di reversibilità, in caso di decesso, la magistratura potrà ordinare che al convivente gay sia riservato un trattamento uguale a quello della coppia sposata, e, se necessario, potrà riformare per vizio di incostituzionalità le leggi che lo impediscono.
ANCHE LA CORTE COSTITUZIONALE SI ERA PRONUNCIATA NEL 2010 I giudici costituzionali avevano ritenuto che nell’articolo 2 della Costituzione Italiana (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità) rientri anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Ma precisava: si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate. Ne deriva, dunque, che […] spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni. Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza (Corte Costituzionale, Sentenza del 23 marzo 2010, n. 138).
IL TRIBUNALE DI VENEZIA OSSERVAVA nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale che “non si può ignorare il rapido trasformarsi della società e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si è assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia normale, tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e, come quello, mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civiltà, chiedono tutela, imponendo un’attenta meditazione sulla persistente compatibilità dell’interpretazione tradizionale con i principi costituzionali”.
Come non condividere?
Avv. Patrizia Comite – Studio Comite