Nei giorni scorsi ho ricevuto una mail da una giovane signora di Milano i cui genitori (anziani e con non lievi problemi di deambulazione) stanno inziando, dopo averle provate tutte, una vertenza contro il Condominio che continua ad opporsi, negando l’autorizzazione, all’installazione di un impianto elevatore nella tromba delle scale dell’edificio. La signora, mi precisava che il Condominio in questione è composto da due scale e una di queste gode già di un ascensore installato parecchi anni or sono mentre l’altra scala – dove appunto al quinto piano vivono gli anziani genitori – ne è sprovvisto e la sua realizzazione comportereppe una minima riduzione della lunghezza dei gradini, circostanza questa che parrebbe la vera ragione per cui gli altri condomini continuano a negare, con più delibere assunte in sede assembleare, l’autorizzazione in parola. Rispondendo alla nostra gentile lettrice colgo l’occasione per parlare in maniera più approfondita del diritto di ogni singolo condomino (o di più condomini) ad installare l’ascensore in edifici condominiali…
LA RIFORMA: UN LAPSUS POCO GRADITO E’ da ritenersi dato inconfutabile che l’installazione ex novo di un impianto elevatore (nel caso trattasi di semplice ascensore ad uso non promiscuo) rientra nella categoria definita dall’art. 1120 del codice civile quale innovazione e, per tale motivo, la delibera che ne approva la sua esecuzione necessita delle maggioranze qualificate di cui all’art. 1136, V comma, del codice civile ovvero “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio”. Tale norma subiva un’unica deroga introdotta dall’art. 2 della L. 9 gennaio 1989 n. 13 in materia di “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” che consentiva che le relative delibere venissero approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. Con l’introduzione della Legge 220/2012 le cose sono cambiate ma, per quel che ci riguarda, non in meglio. Infatti il nuovo art. 1120, che sembra recepire l’esigenza di “abbassare” il quorum deliberativo su alcune opere ed interventi di interesse primario (come ad esempio: sicurezza e salubrità degli edifici, contenimento del consumo energetico, impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva etc.) in verità poi assoggetta anche (e purtroppo) le opere e gli interventi per eliminare le barriere architettoniche alle medesime maggioranze indicate dal secondo comma dell’art. 1136 c.c. ovvero “…con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”. La citata Legge 9 gennaio 1989 n. 13, come abbiamo visto, invece prevedeva che in seconda convocazione (come sempre accade) l’assemblea potesse deliberare con le maggioranze previste dall’articolo 1136, terzo comma, del codice civile ovvero “con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio”
IL CONDOMINIO MULTISCALE Per quanto riguarda, invece, il diritto di partecipare all’assemblea e quindi al voto è necessario fare alcune considerazioni, ampiamente condivise dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Tutto sta infatti ad individuare la titolarità del diritto a deliberare le innovazioni di cui all’art. 1120 del codice civile in un contesto strutturale che si può definire “condominio multiscale” come quello descritto dalla nostra lettrice. Il Condominio, in questo caso, è costituito da due scale che prevedono due distinti accessi alle parti comuni e solo il secondo accesso è privo di impianto elevatore poiché l’altra scala gode già di un ascensore che serve le unità immobiliari ai piani. Questa situazione di fatto fa sì che il godimento dei servizi si configuri distinto e diverso per i proprietari delle singole scale. Tale struttura viene definita comunemente “condominio multiscale” comportando evidenti differenze sia in ordine alla partecipazione alle spese sia in ordine alla legittimazione dei singoli proprietari titolari del potere di delibera.
LA QUESTIONE È PACIFICA poiché è principio sedimentato nella dottrina e nella giurisprudenza (non solo di merito) quello che afferma che se in un unico complesso condominiale esiste una pluralità di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve, per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all’uso e al godimento di una parte soltanto dell’immobile, essa cosa o servizio deve considerarsi comune non già alla totalità dei condomini bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso comune è funzionalmente e strutturalmente destinata. Sulla questione ebbe ad occuparsi la Cassazione già nel lontano 1971 (Cassazione civile, Sentenza del 26 gennaio 1971, n. 196) ed è oggi confortata da molteplici pronunce successive. La ragione logica e giuridica, del principio di cui sopra trova puntuale riscontro normativo nel disposto di cui all’art. 1123 comma III, del codice civile. Pertanto, è (o meglio sarebbe, come meglio si dirà più avanti) incontrovertibile che la convocazione da parte dell’amministratore di una seduta assembleare debba avvenire, nel rispetto delle regole sopra richiamate, in regime di condominio parziale, ovvero mediante convocazione dei soli proprietari potenzialmente interessati all’installazione dell’ascensore. Solo infatti chi gode (o vorrà godere in futuro) del servizio, sopportandone le spese secondo l’approvanda tabella millesimale, ha il diritto di deliberarne l’installazione restando, dunque, escluso dal processo decisionale ogni altro proprietario che di tale servizio, per ragioni funzionali, non ne abbia il godimento. In tale ipotesi la convocazione “plenaria” ovvero indistintamente di tutti i proprietari dell’edificio risulta illegittima ed altretanto illegittima è la conseguente delibera (che dovrà essere impugnata ai sensi dell’art. 1137 del codice civile) assunta con i voti di chi difetta del potere di decidere.
INTERESSI IN EQUILIBRIO Bisogna ricordare inoltre che l’installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o parte autonoma di esso), che ne sia sprovvisto, può essere attuata anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell’impianto ed in quelle di manutenzione dell’opera. Considerata la fattispecie concreta sottoposta alla mia attenzione, è bene ricordare che debbono essere considerate innovazioni vietate (per le quali si richiede l’unanimità dei consensi dei condomini) soltanto quelle che, pur essendo volute dalla maggioranza nell’interesse del condominio, compromettono la facoltà di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facoltà di godimento per tutti i condomini, a meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al posto della tromba delle scale e dell’andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell’utilizzazione di dette parti comuni dell’edificio nell’identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell’art. 1120 del codice civile perché, se pur resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto migliore, onde la posizione dei dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto (Cassazione civile, Sentenza dell’8 ottobre 2010, n. 20902).
TUTELATO IL DIRITTO ANCHE DEL SINGOLO Quanto detto sin qui vale allorché la delibera sia adottata da una pluralità di condomini che rappresenta la maggioranza qualificata di cui, come poc’anzi detto, all’art. 1136, V comma, del codice civile. Allorquando, invece, la volontà di installare l’ascensore ex novo nelle parti comuni sia ascrivibile ad un solo condomino la questione assume un’altra dimensione concettuale e giuridica facendo venire meno la necessità delle maggioranze testé citate. Infatti la norma di cui all’art. 1120 del codice civile, nel prevedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con maggioranze “qualificate”, è tesa esclusivamente a disciplinare (e subordinare) l’approvazione di innovazioni che, per loro natura, comportino il nascere di obbligazioni “collettive” ovvero il pagamento di spese che riguardano tutti i condomini da ripartirsi su base millesimale. Se dette spese riguardano, tuttavia, un solo condomino risulterà applicabile non più l’art. 1120 del codice civile bensì la norma generale di cui all’art. 1102 del codice civile che disciplina, in tema di comunione, le innovazioni apportate alla cosa comune. Sussiste sempre, alla stregua dell’art. 1102, il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un impianto di ascensore nel vano delle scale in cui è ubicata la propria unità immobiliare, salva la facoltà di ogni altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all’utilizzo dell’opera, previa corresponsione della quota di spesa dovuta secondo legge. Il principio è stato ben stabilito dalla nota sentenza del Tribunale di Milano (Tribunale civile di Milano, Sezione VIII, Sentenza del 12 ottobre 1989, n. 8434) ed è stata ribadita dalla Pretura di Taranto che infatti pedissequamente osserva “…l'installazione dell'ascensore, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, può essere attuata anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera”.(Pret. civ. Taranto, ord. 5 ottobre 1993, in Arch. loc. e cond. 1994. 383 ma anche Pret. Civ. Messina, ord. 07.12.1991, in Giur. Merito 1993, 351).
UNA PRONUNCIA INTERESSANTE ANCHE A TUTELA DEI PIU’ DEBOLI I problemi dell’installazione dell’ascensore negli edifici condominiali continuano a essere oggetto di esame da parte dei magistrati e alcune questioni arrivano fino alla Corte di Cassazione. Con la recente sentenza n. 2156 del 14 febbraio 2012, la Suprema Corte ha confermato, ancora una volta, che le modifiche alle parti comuni indispensabili per installare un ascensore non rendono l’opera illegittima. Si tratta di un principio già applicato in passato al quale corrisponde la regola secondo cui, qualora l’ascensore venga realizzato non per effetto di una delibera assembleare, ma a opera soltanto di un gruppo di condomini, tutti gli altri condomini restano esonerati da ogni spesa. Per rispondere alla nostra lettrice segnaliamo che la citata sentenza della Suprema Corte, riferendosi proprio al problema specifico della riduzione della larghezza delle scale (nel caso concreto da 120 cm a 83-81 cm), motiva la propria decisione rilevando testualmente che, nel conflitto tra le esigenze dei condomini disabili abitanti a un piano alto, che si vedono in pratica impossibilitati, in considerazione del loro stato fisico, a raggiungere la propria abitazione a piedi, e le esigenze degli altri partecipanti al condominio, per i quali il pregiudizio derivante dall’installazione dell’ascensore si risolve non nella totale impossibilità di un ordinario uso della scala comune, ma soltanto in disagio e scomodità derivanti dalla relativa restrizione e nella difficoltà in caso di usi eccezionali della stessa, sono le prime che l’ordinamento tutela.
IL CASO Nella vicenda che ha dato origine alla sentenza della Suprema Corte un gruppo di condomini aveva iniziato i lavori per installare un ascensore nella tromba delle scale dell’edificio e il condominio aveva proposto una duplice azione giudiziaria (come possessoria e come danno temuto); mentre la prima era stata dichiarata inammissibile dal Tribunale, la seconda era stata invece accolta con conseguente sospensione provvisoria dell’installazione dell’ascensore. Il condominio aveva, quindi, azionato la causa di merito (che, secondo il codice di procedura, deve seguire quella cautelare), la quale però era poi stata respinta dal Tribunale, con conseguente revoca pure dell’ordinanza di sospensione emessa nella fase cautelare. L’appello del condominio era stato rigettato dai giudici di secondo grado, i quali avevano osservato che, nell’ambito della valutazione comparativa delle opposte esigenze, quella dei condomini portatori di handicap a installare il nuovo impianto e quelle degli altri condomini a continuare a fruire della scala, non essendo risultato il restringimento di quest’ultima tale da impedirne del tutto l’uso per il trasporto di oggetti ingombranti (come le barelle), ma solo più difficoltoso, prevalevano le prime; e che anche le risultanze della consulenza di ufficio avevano escluso ogni pericolo per la statica dell’edificio. Avverso la sentenza d’appello il Condominio decideva di proporre ricorso in Cassazione. La questione approdava davanti alla Suprema Corte che con la richiamata pronuncia (Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-02-2012, n. 2156), premettendo che risultava legittima la riduzione della scala in considerazione delle esigenze del "portatore di handicap", ribadiva il principio “regolante ogni tipo di comunione, dettato dall'art. 1102 c.c., secondo cui ciascuno dei partecipanti alla cosa comune può servirsene, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimente uso secondo il loro diritto, con facoltà di apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della stessa”.
Avvocato Patrizia Comite – Studio Comite