lunedì 10 febbraio 2014

INFORTUNIO SPORTIVO: SE A FARSI MALE NON È BALOTELLI


Un amico mi ha sottoposto una questione che, probabilmente, molti genitori di ragazzi che praticano sport a livello agonistico o amatoriale hanno dovuto affrontare. Il figlio 14enne nel corso di una partita di calcio nel campetto dell’oratorio veniva sgambettato da tergo da un avversario e, cadendo a terra, riportava la frattura del gomito. Il povero ragazzo, portato al più vicino ospedale veniva sottoposto ad intervento chirurgico di sintesi della frattura. L’amico, padre del ragazzo sfortunato, mi chiede se, a fronte della gravità dell’infortunio riportato dal figliolo, potrà richiedere il risarcimento dei danni all’autore del fallo “cattivo”. La questione è complessa e merita, per non creare equivoci in casi come quello trattato, qualche approfondimento della materia…


LA COSTITUZIONE SANCISCE: LO SPORT E’ UNO STRUMENTO DI PROMOZIONE UMANA E SOCIALE Bisogna innanzitutto prendere come punto di partenza la nostra Costituzione la quale sancisce la tutela di quei valori fondamentali strettamente connessi allo sport e riconosce che la cultura e le pratiche sportive costituiscono uno strumento di promozione umana e sociale. L’attività sportiva, intesa in senso lato, trova in diversi articoli della Carta costituzionale ampi spazi di tutela, diretta ed indiretta. Si pensi all’art. 2 della Costituzione che tutela i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Anche l’art 32, stabilendo che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, riconosce all’attività sportiva l’importante finalità di mantenere l’integrità fisica di ogni cittadino. La sempre più stringente e severa politica adottata dal CONI e dalle Federazioni sportive in genere contro il doping è un esempio lampante di realizzazione nel quotidiano dei principi enunciati nella Carta costituzionale. Infine con l’art. 35 lo Stato garantisce al cittadino “la libera iniziativa nella pratica sportiva sotto il profilo educativo, agonistico e anche di spettacolo” ed assicura contemporaneamente interventi nell’istruzione e nella tutela della salute pubblica.

MA QUANDO LO SPORT (MI) FA MALE? Abbiamo visto come lo Stato abbia interesse a tutelare e promuovere lo sport incoraggiando il soddisfacimento dell’interesse generale della collettività a svolgere attività sportiva per il potenziamento fisico dei giovani e meno giovani. Allo sport si riconosce inoltre funzione altamente educativa, sia esso dilettantistico od agonistico, funzione che non si traduce unicamente nel concetto di cultura fisica, ma, anche e soprattutto, di educazione morale dell’individuo al rispetto delle norme ed all’acquisizione delle regole di vita mediante l’applicazione, il sacrificio e l’allenamento. In altre parole lo scopo dello sport è quello di insegnare la lealtà e il rispetto del prossimo. Ciò premesso bisogna domandarsi se e quando chi svolge un’attività sportiva abbia diritto ad essere tutelato negli eventi che possono verificarsi durante lo svolgimento di tale attività, sia amatoriale, sia agonistica. In altre parole se qualcuno durante una gara o un allenamento commette un “fallo” e mi fa male è tenuto a risarcirmi il danno subìto?

C’E’ UN RISCHIO CONSENTITO L’attività sportiva comporta una carica agonistica a cui è connaturato un contatto fisico che può generare la produzione di azioni illecite rilevanti sia sotto il profilo civile che penale (oltre alle lesioni si pensi anche ai casi di ingiurie, minacce, percosse etc.). Per poter distinguere se un comportamento sia lecito o meno nell’attività sportiva la dottrina e la giurisprudenza hanno fatto ricorso al concetto di “rischio consentito”. Cosa si deve intendere quindi per “rischio consentito”? Per comprendere meglio il concetto si deve partire da una premessa ovvero: la partecipazione ad un’attività sportiva presuppone che, oltre al consenso dell’atleta, vengano rispettate le regole del gioco. In giurisprudenza si è da lungo tempo affermato che la condotta dell’atleta potrà considerarsi lecita soltanto quando rispetti in toto le regole specifiche della disciplina praticata. La giurisprudenza, però, ritiene che le regole possano anche essere violate, ma sempre nel rispetto del rischio consentito che si configura, pertanto, come il limite all’attività sportiva lecita. Potremmo quindi affermare che il concetto di “rischio consentito” comprende tutta una serie di comportamenti che vengono ritenuti comunque “leciti” allorché siano posti in essere in occasione di un esercizio o di una competizione sportiva, comportamenti che, quindi, vengono considerati “normali” se rispondenti, avuto riguardo alle peculiari regole di ogni singolo sport, alla connaturale espressione agonistica dei giocatori. 

CHE RICOMPRENDE E SCUSA… Il rischio consentito ricomprende e scusa, infatti, condotte civilmente, oltre che penalmente, rilevanti. Si potrebbe quindi affermare che il superamento del rischio consentito si verifica quando viene posta a repentaglio l’incolumità fisica dei giocatori e prodotta una lesione alla loro integrità fisica (Cassazione Penale, Sezione V, Sentenza del 20 giugno 2001, n. 24942); tuttavia, l’assunto necessita delle dovute precisazioni. In particolare la giurisprudenza penale si è sempre preoccupata di distinguere i vari casi che si possono presentare. Ad esempio risponde a titolo di “colpa” l’atleta che – nell’esercizio dell’attività sportiva – cagiona una lesione all’avversario per aver violato le regole del gioco ed aver superato il rischio consentito. Risponde, invece, a titolo di “dolo eventuale” il giocatore che agisce non con la volontà di ledere l’integrità fisica dell’avversario, ma, intimamente convinto della sua “abilità sportiva”, agisce non prevedendo le lesione, ma accettandone il rischio. Ed ancora: si configura una vera e propria fattispecie dolosa allorché l’attività agonistica diventi un mero pretesto della condotta lesiva dell’incolumità fisica dell’avversario.

…L’ARDORE AGONISTICO Quindi la giurisprudenza distingue tra conseguenze lesive frutto di un ardore agonistico che, pur essendo il frutto della violazione delle regole sportive, sono positivamente considerate dall’ordinamento in quanto fisiologicamente connesse all’ansia da risultato; poi vi sono le conseguenze lesive di condotte frutto di involontarie violazioni delle regole del gioco; ed infine le conseguenze lesive di comportamenti volontariamente assunti in spregio delle norme sportive. Ancora, a fronte di lesioni discendenti da coscienti violazioni delle regole del gioco, si pone un distinguo tra l’ipotesi in cui, pur non difettando la volontarietà della inosservanza, lo sportivo miri a raggiungere un risultato connesso alla gara, diverso da quello della intenzionale lesione, e quella in cui la competizione diviene mero pretesto per assumere certi comportamenti dannosi. Pertanto, quando la violazione è voluta, ed è deliberatamente piegata al conseguimento del risultato, con cieca indifferenza per l’altrui integrità fisica o, addirittura, con volontaria accettazione del rischio di pregiudicarla, allora, in caso di lesioni personali, si entra nell’area del penalmente rilevante. Per quanto sopra detto si deve ritenere che si ha causa di giustificazione non codificata dell’esercizio di un’attività sportiva quando le lesioni derivate dall’esercizio di detta attività siano state procurate nel rispetto delle regole alle quali la singola pratica sportiva è informata, nel senso che il comportamento lesivo può ritenersi tollerato soltanto ove posto in essere nel rispetto delle regole della disciplina specifica e del dovere di lealtà nei riguardi dell’avversario.

E LA RESPONSABILITA’ NON SUSSISTE SE… In sostanza, quando derivino lesioni personali ad un partecipante all’attività a seguito di un fatto posto in essere da diverso partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco; con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità di chi agisce in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell’attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso (Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza dell’8 agosto 2002, n. 12012).

Tenuto conto di tutto quanto sopra detto occorre evidenziare, tuttavia, la circostanza, non marginale, secondo la quale palestre, circoli sportivi e, talvolta, anche oratori assicurano questo tipo di eventi e, pertanto, la prima cosa da verificare, nell’ipotesi di richieste risarcitorie, è proprio questa al fine di indirizzare la domanda all’impresa assicurativa che ha assunto il rischio.

Chiunque desideri ulteriori informazioni in tema di responsabilità civile e in particolare di infortunio sportivo e/o scolastico potrà contattarmi ai recapiti dello studio.