giovedì 13 febbraio 2014

(SE FAI I SOLDI MI AUMENTI L'ASSEGNO) SE LI FACCIO IO...



In virtù di alcuni commenti, apparsi sui social, al post pubblicato in data 8 febbraio 2014 dal titolo “SE FAI I SOLDI MI AUMENTI L’ASSEGNO”, ritengo opportuno approfondire l’argomento con l’auspicio, in questo modo, di far comprendere che l’informazione giuridica corretta è un presupposto fondamentale per la richiesta di tutela e ciò a prescindere dalle parti rappresentate e soprattutto da ciò che potrebbe essere avvertito, da taluni, come “business”. Fatta questa doverosa e opportuna premessa, credo sia necessario innanzitutto chiarire il motivo per cui, in materia di diritto di famiglia, è possibile tornare su questioni già affrontate e decise dai giudici senza che, con questo, si possa parlare di “sentenze illegali” o peggio di “aumento retroattivo dell’assegno di mantenimento”. L’aumento o la diminuzione dell’assegno in favore dell’altro coniuge, così come del contributo al mantenimento per i figli, disposti da un altro giudice, in un secondo momento, rispetto a quello della separazione o del divorzio, non sono mai retroattivi né le decisioni in tal senso possono essere considerate illegali poiché poggiano su principi normativi specifici e relativi al diritto di famiglia per rispondere alle esigenze che, naturalmente, in tale ambito, sono passibili di cambiamento (si pensi per esempio a un figlio e a come mutino nel tempo le esigenze dello stesso in relazione alle diverse fasi evolutive). Il magistrato cui vengono sottoposti i c.d. fatti nuovi, infatti, dispone per il futuro in relazione alle sopravvenute circostanze attuali evidenziate nel processo. Tale affermazione trova riscontro nella legge…


LE NORME STABILISCONO infatti quanto segue. L’art. 156 del codice civile, ultimo comma, in relazione ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, dispone che “Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti”. Si tratta, dunque, di una sopravvenienza rispetto al passato che richiede una revisione, non automatica, che andrà sottoposta al vaglio di un giudice, il quale se ritiene che la situazione patrimoniale del beneficiario dell’assegno o dell’obbligato indifferentemente, valutata sempre nel suo complesso e non limitata all’esame della sola dichiarazione dei redditi, che ha solo finalità fiscali, si sia modificata, in meglio o in peggio, rispetto alle circostanze presenti al tempo della separazione o del divorzio, dispone la revoca dell’assegno o la modifica del suo ammontare. Analogamente in materia di divorzio l’art. 9 della Legge 898/1970 al suo primo comma stabilisce che “Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6”. Ancora l’art. 337 quinquies del codice civile, introdotto nel medesimo codice dal recente decreto legislativo 154/2013 entrato in vigore lo scorso 7 febbraio 2014, che ha sostituito il vecchio art. 155 ter, dello stesso codice, ora abrogato, in relazione alla revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, dispone che “I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo”.

E LA GIURISPRUDENZA ATTUA LE NORME infatti, oltre alle sentenze già citate nel precedente post, la Suprema Corte qualche giorno fa ha confermato la legittimità della decisione assunta dalla Corte d’Appello di Roma che ha ritenuto di disporre, su istanza dell’ex marito su cui gravava l’obbligo, la revoca dell’assegno di mantenimento in favore della moglie che aveva ricevuto in eredità dal padre una cospicua sommetta. In particolare, i giudici della Cassazione in tale occasione hanno ribadito che i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, anche se non incidono sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale, perché intervenuti dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato, e quindi anche ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge beneficiario (Cassazione civile, Sezione VI, Ordinanza del 5 febbraio 2014, n. 2542). Nel caso di specie, dunque, è stata la moglie ad avere la peggio!

REVOCA E MODIFICA NON SONO AUTOMATICHE nel senso che deve essere necessariamente un giudice ad entrare nel merito delle questioni nuove sopravvenute alla separazione o al divorzio e, infatti, gli ermellini un po’ meno di recente hanno sottolineato che la sopravvenienza di fatti nuovi, successivi alla sentenza di divorzio, non è di per sé idonea ad incidere, direttamente ed immediatamente, sulle statuizioni di ordine economico in essa contenute e, quindi a determinarne automaticamente la modifica, essendo al contrario necessario che i “giustificati motivi” sopravvenuti siano esaminati, ai sensi dell’art. 9 della Legge n. 898del 1970 e successive modifiche, dal giudice da tale norma previsto, e che questi, valutati detti fatti, rimodelli, in relazione alla nuova situazione, ricorrendone le condizioni di legge, le precedenti statuizioni. Da ciò consegue che l’ex coniuge tenuto, in forza della sentenza di divorzio, alla somministrazione periodica dell’assegno divorzile, il quale abbia ricevuto la notifica di atto di precetto con l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dalla predetta sentenza, non può, in mancanza di revisione giudiziaria, argomentare la sopravvenienza del fatto nuovo nel giudizio di opposizione a precetto né questo giudice ha il potere di rimettere gli atti al giudice competente per la revisione al fine di provvedere alle statuizioni su tale punto (Cassazione civile, Sezione VI - 1, Ordinanza del 18 luglio 2013, n. 17618).

ANCORA UNA DOVEROSA PRECISAZIONE chiedere la revisione dell’assegno è cosa diversa dal fare appello contro una decisione che si ritiene sbagliata. Differenti sono le norme procedurali di riferimento poiché regolatrici di procedimenti diversi tra loro, così come differenti sono i poteri attribuiti ai giudici dell’appello rispetto a quelli che fanno capo ai magistrati competenti a decidere sulla revisione di quanto statuito nella separazione e nel divorzio. Mi spiego meglio: i casi sono due. Può capitare che una delle parti insoddisfatta del giudicato assunto dall’autorità di primo grado, argomentando sull’errore in cui ritiene sia incorso detto giudice, proponga appello affinché venga riformata tale sentenza (non ancora definitiva) secondo la propria prospettazione. Altro caso è, invece, l’ipotesi in cui vi sia una decisione passata in giudicato in relazione alle circostanze esaminate nel giudizio (passaggio in giudicato rebus sic stantibus), ovvero definitiva e, tuttavia, siano sopravvenuti fatti nuovi che impongono una revisione delle decisioni già prese (sia in senso favorevole che in senso peggiorativo) per conformare dette statuizioni alla nuova situazione venutasi a creare. In tale ultima circostanza, il procedimento è regolato dall’art. 710 del codice di procedura civile, per la separazione e dall’art. 9 della L. 898/1970 e successive modifiche per il divorzio. Sulla diversità delle procedure e, conseguentemente, dei poteri che fanno capo ai magistrati dell’una e dell’altra procedura è intervenuta anche la Suprema Corte sottolineando appunto che il giudizio di revisione si riferisce alla possibilità dei coniugi di richiedere in ogni tempo la modificazione delle statuizioni precedentemente assunte mediante un procedimento specifico regolato, quanto alla separazione dagli artt. 155 ter del codice civile (ora abrogato e sostituito dall’art. 337 quinquies) e 710 del codice di procedura civile, e per il divorzio dall’art. 9 della L. 898/1970 e successive modificazioni. Oggetto di tale giudizio è l’allegazione e la prova di circostanze sopravvenute rispetto a quelle sulle quali si era fondata la pregressa valutazione giudiziale.

SE IL GIUDICE SBAGLIA Riguardo all’impugnazione della sentenza di primo grado, la Corte ha, invece, sottolineato che la stessa si fonda tendenzialmente sulla richiesta di una diversa valutazione delle medesime circostanze di fatto, allegate e dimostrate nel primo grado pur potendo, il giudice dell’appello, prendere in considerazione anche elementi nuovi, eventualmente maturati nel corso del procedimento, quali l’incremento delle esigenze dei figli minori, connesse alla loro crescita. In conclusione, gli ermellini escludono che in sede d’appello della sentenza di separazione personale tra coniugi, il Collegio possa procedere alla modifica delle statuizioni economiche in favore del coniuge o dei figli minori solo in presenza di circostanze nuove, essendo tale requisito richiesto esclusivamente per le domande di revisione secondo l’art. 155 ter del codice civile e 9 l. n. 898 del 1970 e successive modificazioni, pur non essendo esclusa la possibilità di tenere conto di nuovi elementi di valutazione, essendo tale estensione del sindacato del giudice sottesa alla natura degli interessi in gioco e all’immanenza del principio “rebus sic stantibus” che permea i procedimenti in materia di famiglia (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza dell’8 maggio 2013, n. 10720; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 12 marzo 2012, n. 3925; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 2 maggio 2006, n. 10119).

LA REVISIONE PUO’ ESSERE CONGIUNTA Nel senso che la modifica delle condizioni di separazione o divorzio può avvenire anche mediante accordo tra i coniugi che per avere efficacia esecutiva necessiterà della ratifica del Tribunale. In tal caso occorrerà depositare un ricorso giudiziale congiunto con la necessaria e obbligatoria assistenza di un avvocato.

Articoli correlati, leggi anche:

Ricordate che qualora aveste necessità di ricevere chiarimenti e/o assistenza in materia di separazione, divorzio e/o revisione di tali provvedimenti potrete contattarmi telefonicamente ai recapiti dello studio per un primo consulto.