Se il marito eredita, l’assegno di mantenimento per moglie e figli aumenta, è quanto ha stabilito recentemente la Cassazione in ossequio ai principi contenuti nell’art. 156 del codice civile e a quelli di solidarietà coniugale richiamati dall’art. 143 del medesimo codice. La decisione appare, dunque, assolutamente allineata con il sistema di diritto il quale sostanzialmente ammette, nel caso di separazione e divorzio, che sia concessa una somma a titolo di mantenimento, anche all’altro coniuge, e non solo ai figli, qualora sussistano determinati presupposti. In molte circostanze, infatti, è capitato a noi avvocati che la nostra cliente (in genere si discute del mantenimento della moglie, piuttosto che del marito, ma non manca anche qualche caso inverso) lamenti che il coniuge da cui intende separarsi pur dichiarando al fisco piccole somme, goda in realtà di redditi decisamente più cospicui in virtù di lasciti ereditari o di vincite milionarie al superenalotto o ancora, come più frequentemente accade, di ricavi non denunciati all’erario. I giudici della Suprema Corte, sia nella citata sentenza sia in altre occasioni, hanno confermato tale orientamento realizzando gli interessi di tutti quei soggetti che hanno goduto, durante il matrimonio, di un determinato tenore di vita e che, giustamente, ne reclamino, nel momento della crisi, la conservazione. Vediamo, insieme, in che termini…
MANTENERE E’ DOVERE Il mantenimento dell’altro coniuge è dovuto lo dispone l’art. 156 del codice civile secondo il quale “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a carico del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”. In pratica i presupposti per la concessione dell’assegno di mantenimento da parte del giudice chiamato a decidere sulla separazione sono, secondo quanto confermato dalla Suprema Corte (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 27 giugno 2006, n. 14840), i seguenti:
- al coniuge che reclama l’assegno di mantenimento non deve essere addebitabile la separazione; se così fosse questo non sarebbe dovuto anche nel caso sia privo di redditi propri. Al più sarebbe dovuto, in caso di comprovate necessità di sopravvivenza, un assegno alimentare non rapportato al tenore di vita tenuto durante il matrimonio ma alle sole primarie esigenze di vita;
- moglie o marito che fanno tale richiesta devono essere privi di adeguati redditi propri;
- tra i patrimoni dei due coniugi vi deve essere disparità economica.
Riguardo a tale ultimo punto ciò significa che il giudice di merito deve anzitutto accertare il tenore di vita goduto durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge pretendente gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 12 giugno del 2006, n. 13592). Peraltro, secondo tale ultima decisione, le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia relativa a rapporti estranei al sistema tributario, concernente l’attribuzione o la quantificazione dell’assegno di mantenimento, valore vincolante per il giudice della separazione, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può fondare il suo convincimento su altre risultanze probatorie.
NONSOLOSOLDI Il reddito del coniuge obbligato non e’ costituito solo dal denaro, ma anche da altre utilità purché economicamente apprezzabili quali ad esempio i beni immobili posseduti, sia dal punto di vista del valore implicito che essi hanno, sia dal punto di vista del ricavato di una eventuale locazione o vendita degli stessi. Ancora, in tale ampia accezione di reddito possono rientrare i crediti esigibili di cui il coniuge obbligato sia ancora titolare, i risparmi investiti o produttivi, l’eventuale disponibilità della casa coniugale, di titoli di credito, di partecipazioni in società o della titolarità di aziende (Cassazione civile, Sezione VI - 1, ordinanza del 5 febbraio 2014, n. 2537; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 25 agosto 2006, n. 18547). Poiché l’art. 156 del codice civile fa riferimento anche alle “circostanze” per la determinazione dell’ammontare della somministrazione, il giudice potrà tenere conto anche di altri elementi concreti, non propriamente reddituali, quali per esempio la possibilità del coniuge beneficiario di svolgere un’attività lavorativa in relazione all’età, alle condizioni di salute, alla posizione assunta durante il matrimonio con riguardo all’accudimento della prole, al livello di istruzione, al tempo trascorso dall’ultima prestazione di lavoro e, infine, riguardo alla situazione del mercato del lavoro con particolare riferimento al territorio in cui il beneficiario vive. In sintesi non si tratta di una valutazione aritmetica dei redditi ma solo di un’analisi volta ad accertarne l’ammontare complessivo approssimativo, in cui rientreranno anche le eventuali maggiorazioni o diminuzioni intercorse durante il giudizio di separazione, in ossequio al principio di solidarietà economica che lega i coniugi sia nella fortuna sia nella cattiva sorte (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 7 febbraio 2006, n. 2626; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 24 dicembre 2002, n. 18327; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 3 dicembre 2002, n. 17103).
MA ANCHE TESTAMENTI Fra gli elementi di valutazione rientrano anche i lasciti testamentari e quindi la Cassazione ha confermato la decisione assunta dal Tribunale di Orvieto, poi condivisa dai giudici della Corte d’Appello di Perugia, sottolineando che appare legittima la presa in considerazione del sopravvenuto lascito paterno in favore del coniuge obbligato, dato il già affermato e condiviso principio di diritto secondo cui nella determinazione dell’assegno divorzile, i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, anche se non incidenti sulla valutazione del tenore di vita matrimoniale perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 17 gennaio 2014, n. 932; Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 19 novembre 2010, n. 23508). I giudici di piazza Cavour ribadiscono, inoltre, il principio secondo cui condizione necessaria per ottenere l’aumento dell’assegno di mantenimento è che il beneficiario abbia redditi propri inadeguati rispetto a quelli che avrebbe se il matrimonio fosse continuato. In ipotesi di stretta indigenza appare, infine, legittimo addossare soltanto al marito tutte le spese straordinarie che riguardano i figli.
E VINCITE AL SUPERENALOTTO Benché queste siano un evento eccezionale, occasionale e imprevedibile vanno comunque tenute presenti al fine della rideterminazione della posizione economica dell’ex marito, obbligato alla corresponsione dell’assegno mensile di mantenimento. La ragione di tale decisione, che conferma la legittimità di quanto affermato dai giudici del merito, risiede nel fatto che nei criteri da adottare nella determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento occorre far riferimento non solo al tenore di vita tenuto durante il matrimonio ma anche alla consistenza patrimoniale dell’obbligato (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 12 marzo 2012, n. 3914).
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