giovedì 19 settembre 2013

LUOGO TRANQUILLO, AMBIENTE PULITO, SENZA CUSTODE, CITOFONARE… AFFITTARE ALLA SQUILLO E’ REATO, MA ANCHE NO!



Il tema che tratto oggi riguarda una questione che, sebbene sottopostami da un gentile lettore, coinvolge ormai molti proprietari di casa. Accade infatti che talvolta un appartamento venga affittato a una o più persone che esercitano il mestiere più antico del mondo. Se le lamentele degli altri proprietari, una volta scoperta l’attività di meretricio della nuova inquilina, possono ingenerare, da un lato, dissapori e incomprensioni nei rapporti tra condomini (e con l’amministratore), dall’altro vi è il concreto rischio che il padrone di casa possa essere indagato per favoreggiamento della prostituzione allorché venga provato che l’unità immobiliare concessa in locazione sia stata trasformata in una casa di appuntamenti anche, come talvolta accade, all’insaputa dello stesso. Il rischio di subire un processo penale per tale titolo di reato certo esiste ma l’orientamento prevalente della più recente giurisprudenza ha ben circoscritto l’ambito di applicazione della norma di riferimento contenuta nella L. 20/02/1958 n. 75 (la famosa “legge Merlin”, per intenderci) rassicurando, purché siano rispettate alcune condizioni, gli sventurati locatori. Infatti…

…la mera concessione in locazione di un appartamento a chi vi esercita il meretricio, non è da sola sufficiente a costituire favoreggiamento della prostituzione. Se è pur vero che la legge Merlin, punisce “chiunque, avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione” nonché “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui” tuttavia, come fa osservare anche una recentissima sentenza della Suprema Corte (Cassazione Penale, Sezione III, Sentenza del 31 luglio 2013, n. 33160) affittare il proprio immobile ad una prostituta, che all’interno eserciti l’attività di meretricio, non integra ipso facto gli estremi del reato di cui all’art. 3 comma 1 n. 8 L. 75/1958, essendo necessario che sussista una reale e concreta volontà da parte del locatore di favorire (o sfruttare) l’esercizio della prostituzione. 

La citata sentenza della Cassazione, infatti, richiamando una più “antica” giurisprudenza, ha ritenuto che “per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nella L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, nn. 1 e 2 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio” (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Campanella, m. 214228). Da questa premessa è stata poi coerentemente tratta la conseguenza che “…il reato di chi, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa, la concede in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione non sussiste, pertanto, quando il locatore conceda in locazione l’immobile ad una sola donna, pur essendo consapevole che la locataria è una prostituta, e che eserciterà nella casa locata autonomamente e per proprio conto” (Sez. 3, 19.5.1999, n. 8600, Campanella, m. 214228, cit.) e che “…non integra il reato di locazione di immobile al fine dell’esercizio di una casa di prostituzione concedere in locazione un appartamento all’interno del quale, sebbene con frequente turnazione, venga esercitata la prostituzione di volta in volta da una sola donna” (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, Rinciari, m. 228971).

In sostanza, per ravvisare una casa di prostituzione e quindi per integrare il reato è necessario che, all’interno della stessa “casa”, vi sia un minimo di stabile organizzazione della prostituzione, implicante una pluralità di persone esercenti contestualmente il meretricio negli stessi locali, e l’intervento di un soggetto che predisponga, sovrintenda e sfrutti l’attività delle persone che si prostituiscono, appunto alla stregua di quanto avveniva prima della legge Merlin nelle c.d. case di tolleranza. Infatti, se la locazione non è concessa allo scopo specifico di esercitare nell’immobile locato una casa di prostituzione (nel qual caso ricorrerebbe l’ipotesi di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 2), la condotta del locatore non configura propriamente un aiuto alla prostituzione esercitata dalla locataria, ma semplicemente la stipulazione di un contratto attraverso cui è consentito a quest’ultima di realizzare il suo diritto all’abitazione. Insomma l’aiuto (o più esattamente il negozio giuridico) riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non la sua attività di prostituta. E’ vero che indirettamente ne è agevolata anche la prostituzione, ma questo rapporto indiretto non può essere incluso nel nesso causale penalmente rilevante tra condotta dell’agente ed evento di favoreggiamento della prostituzione.

In verità – com’è noto - secondo la L. n. 75 del 1958 la prostituzione per se stessa non è prevista come reato, mentre è penalmente sanzionata ogni attività che induca, favorisca o sfrutti la prostituzione altrui, giacché il legislatore è mosso dallo scopo evidente di evitare che il mercimonio del sesso (penalmente irrilevante, ma socialmente riprovevole) sia comunque incentivato o agevolato da interessi o da comportamenti di terzi. Orbene, anche quando il reato previsto è a forma libera (come il favoreggiamento e lo sfruttamento, che possono essere commessi “in qualsiasi modo”), la condotta dell’agente deve essere legata all’evento da un nesso causale penalmente rilevante.

Vale quindi il principio che non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi concede in locazione a prezzo di mercato un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà l’attività di meretricio. Si configura, invece, il reato di favoreggiamento allorché il proprietario, oltre a concedere il godimento dell’immobile, fornisca ulteriori e specifiche prestazioni o attività che non siano inerenti al mero oggetto del contratto di locazione ed in concreto agevolino l’esercizio della prostituzione mentre è configurabile il reato di sfruttamento della prostituzione quando lo stesso proprietario si avvantaggi in maniera diretta della locazione concessa a chi si prostituisce ovvero quando (non infrequentemente) venga pattuito un canone di locazione del tutto sproporzionato per eccesso rispetto ai prezzi di mercato riferibili ad abitazione analoga e nel medesimo contesto urbano.