lunedì 22 luglio 2013

ESTETICA: CHIRURGO CHE SBAGLIA PAGA


Un vero e proprio fenomeno sociale che porta con sé il rischio, non trascurabile, che molte operazioni non siano eseguite correttamente. Gli interventi mal riusciti comportano  talvolta danni rilevanti per i pazienti che vanno valutati non solo sotto il profilo strettamente biologico ma anche psicologico o morale.  La chirurgia plastica nel nostro Paese ha conosciuto un vero proprio boom nell’ultimo decennio: oltre 600.000 gli interventi effettuati con finalità estetiche ogni anno.


In caso di errore medico nell’ambito della chirurgia estetica è legittimo domandarsi quali siano i criteri per ottenere un giusto risarcimento. Molto spesso infatti gli interventi di chirurgia estetica non riusciti costringono il paziente a ricorrere nuovamente ad una nuova operazione poiché la prima non ha conseguito gli effetti previsti.

Tuttavia, se a causa degli effetti dell’intervento riconosciuto “inefficace”, il paziente si vede costretto a sottoporsi ad un successivo intervento, la valutazione del danno complessivo di cui si ha diritto al risarcimento è più articolata.  Una volta verificata in sede di accertamento medico legale l’inutilità del primo intervento, il risarcimento è pacificamente dovuto nella misura della spesa sostenuta ovvero il paziente ha diritto di chiedere la restituzione dal chirurgo del compenso pattuito per l’operazione.

In questo caso, infatti, bisogna tenere conto, ai fini di una corretta richiesta di risarcimento, delle probabili difficoltà che il chirurgo incontrerà eseguendo un secondo intervento “correttivo” sulla medesima parte del corpo incidendo su tessuti già alterati nella precedente operazione. Non solo. Occorrerà tenere anche in debito conto se, per tale motivo, il secondo intervento comporterà maggiori rischi e maggiori spese per il paziente. Infine dovrà essere valutato lo stress psicofisico a cui lo stesso paziente sarà esposto sottoponendosi ad un ulteriore intervento che necessiti, con tutta probabilità, un periodo più lungo di degenza clinica e di riabilitazione.

Sotto un profilo squisitamente patrimoniale non vi è dubbio che, una volta accertata l’esistenza di un danno, il risarcimento deve tenere conto quindi di tutte le sue componenti (presenti e future) e quindi non solo del “valore di mercato” della prestazione non eseguita a regola d’arte ma anche di tutte le conseguenze patrimoniali dirette e negative che colpiscono il creditore,  come bene espresso dall’art. 1223 Cod. civ.. Ciò premesso è bene ricordare che se al momento della richiesta di risarcimento del danno il paziente non ha ancora sostenuto le spese di un secondo intervento “correttivo” del primo la loro risarcibilità non è affatto esclusa, essendo ammessa dal nostro ordinamento il risarcimento dei danni “futuri” allorquando questi siano obiettivamente preventivabili alla luce della causa efficiente costituita dalla natura del danno e dalla necessità di eliminare le sue conseguenze.

Tuttavia, al di là dell’aspetto patrimoniale ed in ossequio al principio che il danno vada risarcito in tutte le sue componenti essenziali, la Cassazione ha riconosciuto al paziente anche il risarcimento del danno non patrimoniale. Infatti la Suprema Corte ha osservato che anche nel caso in cui la prima operazione “non riuscita” non abbia determinato un peggioramento dello stato di salute del paziente, risultando per questo motivo semplicemente inefficace rispetto al risultato estetico pattuito, ciò ha comunque arrecato un danno biologico al paziente, danno costituito dall’incisione di parti del corpo, dalle cicatrici e dall’assunzione di farmaci nonché dal periodo di inabilità temporanea assoluta e/o parziale conseguita all’intervento “inutile” e, soprattutto, dallo stress e turbamento psicologico insorto nel periodo post-operatorio ed, infine, dal più che legittimo timore di un secondo intervento.

(Cass. Civ. , III sez., 20/09/2004 n° 18853 e analogamente nel merito App. Roma, sez. III, 10.01.2012; Trib. Terni sent. 30.09.2011; Trib. Catanzaro, sez. III, 31.03.2011; Trib. Salerno, sez. II, 21.06.2010; Trib. Milano, sez. V, 9.02.2009)