In questi giorni, si è
fatto un gran parlare di un disegno di legge, giunto all’esame del Senato, che
prevede che, in caso di malattia per un periodo inferiore a tre giorni, sia lo
stesso lavoratore a comunicare il proprio stato di salute al medico curante,
che a sua volta ha il solo compito di inoltrare la comunicazione all’INSPS e al
datore di lavoro. Infatti, sebbene il disegno di legge abbia il dichiarato fine
di semplificare la normativa vigente in materia di certificazione dello stato
di malattia del dipendente pubblico e privato, presenta, nello stesso tempo,
anche un evidente punto debole: quello di agevolare i lavoratori assenteisti o
semplicemente fannulloni. Questi, infatti, non essendo più obbligatoria la
certificazione medica che attesti lo stato di malattia con dati clinici
direttamente constatati e oggettivamente documentati dal medico curante,
avrebbero vita facile. Cerchiamo allora di capire meglio.
IL DISEGNO DI LEGGE in questione è il n.
2059, intitolato “Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in
materia di false attestazioni o
certificazioni e controlli sulle assenze”. Esso, infatti, intende
modificare alcune disposizioni del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche. In particolare, l’obiettivo del disegno di legge è quello di apportare dei correttivi agli articoli 55-quinquies e 55-septies
del decreto legislativo, in materia di
false attestazioni del lavoratore e del medico curante nei casi di assenza dal
lavoro per malattia. La normativa vigente prevede infatti che, in tutti i
casi di assenza per malattia, la certificazione medica attestante lo stato di
salute del lavoratore debba essere inviata per via telematica, a partire dal
primo giorno di assenza, dal medico, o dalla struttura sanitaria che la
rilascia, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). La
certificazione medica inviata deve inoltre attestare dati clinici direttamente
constatati e oggettivamente documentati. In mancanza di queste caratteristiche,
infatti, al medico si applicano le stesse sanzioni previste nei casi di
certificazione medica falsa.
SECONDO GLI ESTENSORI del disegno di legge,
tuttavia, nel disciplinare la materia, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto
che ogni giorno vengono inviati all’INPS moltissimi certificati di malattia
che, nella maggior parte dei casi, sono relativi ad assenze dal lavoro inferiori a tre giorni e riguardanti
sintomi riferiti dal paziente, difficilmente
verificabili sul piano clinico e con limitate possibilità di accertamento
da parte del medico, che spesso certifica lo stato di malattia sulla base di un
rapporto di fiducia con il proprio paziente. Si tratta in questi casi di stati
di malessere generale, mal di testa o dolori addominali, tutti disturbi di rado
accertabili da parte del medico. Da qui, il disegno di legge in esame. Ma, ed
ecco il punto debole di cui si parlava all’inizio, anziché cercare di adeguare
la normativa vigente in modo da disciplinare sì, ma in maniera adeguata e
rigorosa, tali casi (oramai sempre più frequenti e diffusi, e dietro i quali
spesso si nascondono casi di assenteismo), il disegno di legge sembra in qualche modo recepire e liberalizzare tali stati di malattia non
comprovabili clinicamente, sottraendoli addirittura ad una, sia pur minima,
verifica medica!
VARI SONO I PROFILI DI
CRITICITÀ
della proposta di legge. Leggendo il documento, infatti, ci si rende immediatamente
conto non solo della pochezza dei suoi contenuti, a fronte della portata della
modifica normativa che intende apportare, ma anche dei limiti e della
incompletezza della disciplina che propone. Tanto per cominciare, infatti, il
documento, imponendo la certificazione medica solo per le malattie superiori a tre giorni (in modifica dell’attuale art.
55-septies, comma 2, primo periodo, D. Lgs. n. 165/2001) e consentendo
l’autodichiarazione del lavoratore solo nei casi di malattie inferiori a tre giorni (aggiungendo un comma 2 bis
all’attuale art. 55-septies del D. Lgs. n. 165/2001), sembra dimenticarsi del
tutto dei casi di assenza per malattie
di durata pari a tre giorni. Inoltre, bene si sarebbe fatto se si fosse
delimitata l’utilizzabilità da parte del lavoratore di detta autodichiarazione,
che, così come configurata nell’attuale testo del disegno di legge, appare
senza alcun limite. Nessun controllo (anche a campione) è infatti previsto
circa la sua veridicità. Né è previsto un numero
massimo di autodichiarazioni validamente rilasciabili dal lavoratore.
Perché, infatti, non prevedere un limite annuale, superato il quale imporre la
certificazione medica? Perché non prevedere anche una distanza temporale minima
tra una autodichiarazione e l’altra, per evitare assenze continue e
ravvicinate, che senza dubbio inciderebbero sulla continuità della prestazione
lavorativa con evidenti ripercussione sulla produttività del dipendente? Che
senso ha, poi, il ruolo di semplice “passa
carte” del medico? Perché non escluderlo del tutto, visto che di fatto non
svolge alcuna funzione medica nel procedimento?
SENZA DUBBIO sono considerazioni
premature, sono solo riflessioni, che lasciano il tempo che trovano. Si tratta
solo, infatti, di un disegno di legge, in discussione al Parlamento già da un
paio di anni e che non è detto giunga ad un’approvazione finale! Ma sono
comunque considerazioni che vale la pena di fare, sia per cultura giuridica sia
perché danno l’idea di come certe tematiche, nonostante ampiamente discusse e sentite dall’opinione pubblica e giunte
finanche all’attenzione della giurisprudenza di legittimità,
vengano spesso affrontate con superficialità e inadeguatezza da chi, invece, è
deputato a conoscerle approfonditamente e a normarle conseguentemente.
Avvocato
Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando