La separazione è già un
evento traumatico di per sé, un vero e proprio lutto, difficile da affrontare,
metabolizzare e superare. Devastante sotto molteplici punti di vista.
L’economia domestica si sfalda, l’anima si lacera di fronte alla presa di
coscienza del fallimento di un progetto di vita comune in cui si credeva, la
rabbia, comune a molti, per non essere stati capaci di ricucire le
incomprensioni. Talvolta il rammarico per ciò che non è stato. Ma le relazioni
diadiche, vale a dire di coppia, formali o di fatto che siano, proprio perché
composte da monadi, elementi unici, pensanti, incapaci di organizzarsi e
procedere all’unisono, spesso sono destinate a disgregarsi, per i motivi più
diversi. Il lutto che ne deriva porta inevitabilmente con sé molte paure. La
più grande è quella di perdere la relazione filiale, composta di meravigliosa,
seppur complicata, quotidianità. Un sentimento ricorrente soprattutto nella componente
maschile della coppia. Oggi più che mai. Il dinamismo sociale ha voluto e
preteso padri presenti, collaborativi e compartecipativi della crescita dei
figli sulla base del criterio, necessariamente giusto, della condivisione dei
compiti di cura. Anche il diritto si è dunque adeguato a questa evoluzione di
pensiero recependo l’esigenza di tutelare i minori affinché sia garantita loro
parità di relazione con padre e madre. Ma è proprio così?
LA PARITÀ GENITORIALE! Sulla base del criterio
della bigenitorialità, introdotto dalla Legge n. 54 del 2006 e sviluppato poi
dalle successive norme contenute nella Legge n. 219 del 2012 e nella Legge 154
del 2013, il nostro ordinamento giuridico ha recepito il principio dell’affido condiviso o congiunto. Ciò
significa che l’affidamento dei figli, in caso di separazione e divorzio, ma
anche in ipotesi di disgregazione della famiglia di fatto con prole, non segue
più, come un tempo, la regola dell’affido esclusivo legato all’idea che il
binomio collocamento dei figli – affidamento non potesse e dovesse essere
scisso seppur mantenendo i genitori l’esercizio congiunto della vecchia potestà genitoriale attualmente, mi viene da dire in modo fortunato, sostituita
dalla più coerente figura della responsabilità genitoriale. Oggi, dunque, i
figli di coppie disgregate vengono congiuntamente affidati a madre e padre che
esercitano paritariamente la loro responsabilità
genitoriale. In tal modo entrambi dovranno ed avranno il diritto di contribuire
al progetto di crescita dei loro figli affinché lo sviluppo psico-fisico di
questi ultimi risulti equilibrato e sano.
AFFIDAMENTO NON È
COLLOCAMENTO!
In ogni provvedimento giudiziario, o accordo ratificato, in cui si dispone
l’affido condiviso, sulla base del criterio della parità genitoriale, il
giudice o le parti dovranno individuare, nell’esclusivo interesse della prole,
il genitore presso il quale i figli dovranno fissare la loro abituale residenza, vale a dire appunto
il loro collocamento. In generale si può dire che il nostro ordinamento preveda
tre forme di collocamento dei figli;
quello prevalente presso
l’abitazione di uno o dell’altro genitore (più consueto), quello alternato per il quale il minore vive per
periodi alterni presso ciascuno dei genitori (meno praticato poiché costringe i
figli a continui cambi di residenza e gestione delle quotidiane attività) ed
infine quello invariato in base al
quale sono padre e madre a muoversi da casa secondo turni prestabiliti mentre i
figli restano nel loro ambiente domestico, conservando in tal modo le loro
abitudini ed i propri interessi (solitamente frutto di un accordo della coppia ma
visto con poca simpatia da parte dei giudici poiché spesso genera conflitti
legati appunto alla suddivisione dei periodi ed ai fastidi connaturati
all’alternanza dell’allontanamento da casa di uno e dell’altro).
LA SCELTA DEL GENITORE Laddove sorga conflitto
con riguardo al collocamento dei figli, i giudici hanno ritenuto che lo stesso
debba essere stabilito tenendo conto del criterio, formatosi nella
giurisprudenza, secondo il quale l’individuazione del genitore collocatario
deve essere effettuata sulla base di un giudizio prognostico riguardo alla capacità del genitore medesimo di crescere
ed educare il figlio nella nuova situazione conseguente al fallimento
dell’unione. Tale giudizio deve formarsi su elementi concreti, risultanti non soltanto dalle modalità con le
quali ciascuno dei genitori ha svolto i propri compiti in passato, ma anche
dalla capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione, disponibilità
ad un rapporto assiduo, personalità del genitore, consuetudini di vita dello
stesso, ambiente sociale e familiare che il genitore è in grado di offrire al
figlio minore (Corte di Cassazione,
nella Sentenza n. 18817 del 23 settembre 2015).
CAMBIO DI TENDENZA Se la prassi di anni ed
anni di giurisprudenza indica la madre come scelta naturale in materia di collocamento,
oggi si assiste ad un positivo, a mio avviso, cambio di rotta. Non si può certo
dire che si tratti di una svolta, tuttavia è pacifico che una timida inversione
di tendenza vi sia stata. Alcuni giudici, infatti, nell’ipotesi in cui entrambi
i genitori si erano rivelati idonei alla cura dei figli hanno optato per il collocamento presso la residenza paterna
con conseguente obbligo di contribuzione al mantenimento a carico della madre.
In particolare, di recente il Tribunale etneo di Catania ha osservato che “…Vi è una tendenza diffusa ad affrontare il
tema del collocamento dei figli sulla base di un non confessato pregiudizio di
fondo per il quale: 1) i figli piccoli “sarebbero” principalmente delle madri;
2) ai padri verrebbe solo “consentito” di esercitare i loro diritti/doveri; 3)
il collocamento “naturale” dei figli dovrebbe essere presso la madre; 4) il
collocamento presso il padre dovrebbe ritenersi “innaturale” ed “eccezionale” e
il provvedimento che lo dispone abbisognevole di motivazioni particolari e
straordinarie, mentre invece lo stato del diritto e dei principi etici
generalmente condivisi nel nostro Paese è al contrario, poiché i figli sono di
entrambi i genitori, che hanno uguali diritti e uguali doveri e, in mancanza di
prove del contrario, entrambi sono idonei ad esercitare le loro responsabilità
e a divenire collocatari dei figli” (Tribunale
di Catania, decisione del 2 dicembre 2016, dott. Felice Lima; nello stesso
senso Tribunale di Milano, Decreto del 19
ottobre 2016; Tribunale di Bergamo, Sentenza del 15 settembre 2016; Tribunale
di Alessandria, 28 settembre 2016; Cassazione civile, Ordinanza del 16 novembre
2016, n. 23324; Tribunale di Milano, Sezione IX civile, Decreto del 14 gennaio 2015).
UN’INTERESSANTE
CONSIDERAZIONE!
Sempre secondo il Tribunale etneo “una
maggiore ricorrenza statistica di provvedimenti giudiziari di collocamento dei
figli presso i padri contribuirebbe, peraltro, alla diminuzione del numero di
“padri disimpegnati” e “madri proprietarie” che tanti danni arrecano
all’educazione e serena crescita dei figli minorenni” (Tribunale di Catania, decisione del 2 dicembre 2016, dott. Felice Lima).
Tale considerazione ristabilisce indubbiamente la par condicio voluta dal legislatore, tra i coniugi in procinto di
separarsi, i quali, tenendo conto di tali riflessioni, sarebbero certamente più
attenti e collaborativi nel ricercare soluzioni condivise. In sintesi, si può
dire che, com’era auspicabile che fosse, il concetto di maternal preference si sta lentamente sgretolando. Il Tribunale
meneghino, con il piglio avveniristico che spesso lo caratterizza ha, infatti,
molto acutamente osservato che “Il
principio di piena bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno
condotto all’abbandono del criterio della “maternal preference” a mezzo di
“gender neutral child custody laws”, ossia normative incentrate sul criterio
della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre,
sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di
prevalente collocamento, non potendo essere il solo genere a determinare una
preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale” (Tribunale di Milano, Decreto del 19 ottobre 2016). Ciò significa
che non va privilegiato il ruolo della madre di per sé stesso assunto!
Avvocato
Patrizia Comite - Studio Comite